La voce lascia intendere che sul viso sorge un sorriso spontaneo quando si parla di Italia. E pure di Napoli. La dott.ssa Nagihan Ay è collaboratrice esperta linguistica (Cel) di turco da quasi cinque anni all’Orientale. E proprio la spola ideale tra la lingua madre e quella italiana, sua grande passione, nella quale si è laureata all’Università di Ankara, ben rivela una fetta della sua vita.
Che dalla sua città d’origine Sakarya l’ha portata prima nella capitale turca, poi a Venezia e dopo a Perugia, dove ha conseguito ai tempi la Magistrale in Insegnamento dell’italiano a stranieri e dove vive tutt’oggi – lì lavora nella Scuola dell’Esercito – trascorrendo però due giorni a settimana all’ombra del Vesuvio. Ma ha fatto tappa anche a Roma, dov’è arrivata nel 2012 passando prima dall’Istituto Yunus Emre e poi al Ministero degli Affari esteri.
In questa intervista, le curiosità linguistiche e quelle personali – come il piacere di trasmettere il turco agli studenti – si fondono e raccontano di piccoli ponti costruiti ogni giorno tra due Paesi che la dottoressa sente casa, seppur in modo del tutto differente. E il principio non potrebbe che essere proprio l’insegnamento. Una vera e propria indole: “è sempre stato un mio desiderio fin da bambina, camminavo per strada, ascoltavo le persone parlare e per gioco notavo piccole cose che non andavano”.
A far scoccare l’amore per l’italiano la scelta all’università nel 2007: “al tempo studiavano tutti inglese, sembrava non valesse la pena approfondire altre lingue. Io al contrario, già allora, pensavo fosse necessario aprirsi anche ad altro. Conoscendo già l’inglese decisi di lanciarmi nell’italiano, che sentivo vicino culturalmente e che mi affascinava moltissimo come suono”.
Ad ogni modo, “durante il percorso universitario pensavo di insegnare italiano in Turchia, non di venire a lavorare in Italia. Quando invece sono arrivata qui per il primo Erasmus nel 2009, a Cà Foscari, a Venezia ho vissuto un anno, me ne sono innamorata. Della storia, dell’arte, del cibo, dei borghi fantastici – Matera mi ricorda la Cappadocia. A quel punto mi sono detta: perché non insegnare il turco in Italia? Avevo il lavoro a portata di mano e non me ne ero accorta. Le porte, in questo senso, si sono aperte definitivamente dal 2017”.
Tra l’altro, a Venezia Ay ha vinto anche un concorso, ma non ha accettato: “mi piace tantissimo lavorare a Napoli, amo il sud. La città somiglia tanto alla Turchia, le persone aiutano molto, sono più aperte. Insegnare qui mi piace a tal punto che quasi non lo reputo un lavoro, ma un hobby. Mi sento sempre a casa”. E, a proposito di ciò che fa tra le mura dell’Orientale, la dottoressa si sofferma sul turco, che negli anni sta attraendo un numero crescente di studentesse e studenti: “chi sceglie la lingua ha una passione già insita, c’è alla base una volontà di imparare ben precisa, di solito sempre forte.
Noto che l’interesse sta aumentando, anche perché oggi si viaggia tantissimo, i ragazzi riescono ad andare in Turchia tramite borse di studio e non solo, ne sono così attratti che è raro trovare studenti che non ci sono ancora stati. Alcuni addirittura si trasferiscono lì, si sposano, trovano lavoro. Un nostro ex studente ha imparato la lingua in un anno ed è andato a vivere lì”.
Entrando nell’aspetto più tecnico dello studio del turco: “si impara in poco tempo. Con impegno si arriva anche a un A2 in dodici mesi. Questo perché non abbiamo tantissimi verbi e, soprattutto, in quelli la radice resta sempre la stessa per qualsiasi tempo, fatto che rende più facile l’apprendimento. Inoltre, non abbiamo né genere maschile né quello femminile”. Ay ha un metodo di insegnamento che definisce “molto comunicativo”.
Cioè “fin dai primi giorni si parla tanto, a tal punto che si arriva alla terza settimana che si sa già pronunciare e gestire una frase complessa per prendere un appuntamento, per esempio”. Imparare tutto ciò per aprirsi a mondi inaspettati. Questo può fare una lingua. Il turco in particolare “è un ponte tra Oriente e Occidente”.
E conclude, al di là dell’aspetto lavorativo: “c’è una parte di mondo alla quale non si penserebbe – Kazakistan, Turkmenistan, Mongolia, anche i Balcani – dove è presente una forte influenza turca, frutto dei 500 anni di vita dell’Impero Ottomano”. Stupore e meraviglia. Anzi, con un’espressione che i turchi (e gli arabi) usano spesso per richiamare quelle sensazioni e non solo, “mashallah!”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n.18 – 2025 – Pagina 49







