L’iter per ottenerla è tortuoso. Ma L’Orientale ce l’ha fatta. Dopo un lungo processo di preparazione, di contatti e affinamento della tematica, l’Ateneo fondato da Matteo Ripa ha ottenuto la sua prima Cattedra Unesco, si intitola ‘Gender, Climate Change, Sustainable Development in the MENA Region and Africa: Advancing International Cooperation’ (fa parte del macrosettore Education, Gender Equality and Climate Action) e sarà diretta dalle prof.sse Ersilia Francesca e Valeria Saggiomo, che si occupano rispettivamente di Storia dei Paesi islamici e Cooperazioni internazionali. L’accordo è stato siglato dal Rettore, prof. Roberto Tottoli, lo scorso aprile a Palazzo Corigliano.
La presentazione è avvenuta nella due giorni organizzata il 15 e il 16 settembre. Come noto, quello delle Cattedre Unesco è un progetto lanciato nel 1992 per promuovere “la collaborazione internazionale interuniversitaria e l’organizzazione in rete per rilanciare le capacità istituzionali attraverso la condivisione di conoscenze e il lavoro collaborativo”, come rende noto l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite.
L’orizzonte culturale di riferimento di ogni cattedra deve essere necessariamente vicino a settori come educazione, scienze naturali e sociali, cultura e comunicazione. Il network italiano annovera a oggi 44 Cattedre; in Campania, dopo quella conferita all’Orientale, il numero sale a sette. “Siamo molto contente – spiega la prof.ssa Francesca – è una vetrina molto importante per l’Ateneo”. Sullo scopo dell’iniziativa ha detto: “vogliamo analizzare i rapporti che esistono tra genere e cambiamento climatico.
È molto evidente che le donne sono le più colpite da questo fenomeno, specialmente in Africa: rappresentano la parte più vulnerabile della popolazione, sono occupate spesso nell’agricoltura, nella raccolta dell’acqua, nel prendersi cura degli animali; dunque desertificazione, inondazioni e quant’altro le colpiscono fortemente perché aumentano il loro ruolo di cura in modo sproporzionato. A questo si aggiunge il fatto che le donne hanno meno opportunità rispetto agli uomini di accedere a programmi di training per processi di resilienza ai cambiamenti climatici, senza contare l’esposizione alle violenze”.
Ma se questa rappresenta la parte destruens di un progetto molto ampio, ce n’è un’altra altrettanto importante, se non di più, dedicata al ruolo di “vettori di cambiamento” delle donne: “Abbiamo già un caso studio molto interessante di una collega della Cairo University che ha studiato delle cucine comuni gestite da donne che non solo hanno prodotti biologici a filiera corta, ma riescono a coinvolgere più famiglie sfruttando al meglio le risorse energetiche evitando sprechi”.
Naturalmente, il progetto prevede dei Paesi target: “ci concentreremo su Africa settentrionale (Egitto e Marocco) e Africa subsahariana (Kenya, Tanzania, Mozambico, Sudafrica), toccando tematiche di genere, cambiamento climatico e il ruolo che può svolgere la cooperazione internazionale. Inoltre, abbiamo cooperazioni strutturate con alcune Ong, per esempio il Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli (Cisp) e alcuni Atenei europei come l’Inalco di Parigi e l’Università di Oslo, ma anche con un istituto di Londra che si occupa di ricerca e cooperazione”.
La Cattedra ha una durata di cinque anni più l’eventuale rinnovo, un lasso di tempo durante il quale, a Napoli, si organizzeranno “una serie di seminari, incontri, Summer school – per quest’anno già finanziato un convegno. Dunque, esiste anche un processo di formazione degli studenti sulle tematiche di cambiamento climatico, uguaglianza di genere ed educazione”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n. 13-14 – 2025 – Pagina 5