In una città che ha sempre fatto dell’accoglienza una delle sue vocazioni più antiche, la presenza della comunità Srilankese si è intrecciata nel tempo con il tessuto urbano e sociale in modo profondo. Tra le strade del centro storico, soprattutto nei quartieri popolari – Rione Sanità, Stella, Avvocata e San Lorenzo – il rapporto tra Napoli e singalesi si è costruito giorno per giorno dando vita a una contaminazione armoniosa.
E non si tratta di mera coabitazione: è una convivenza fondata sull’assunzione di tratti di napoletanità da parte della comunità srilankese senza abbandonare i propri usi, rituali e costumi. “La comunità srilankese è la più popolosa tra quelle straniere a Napoli – dovrebbero esserci 14.819 residenti nel capoluogo campano, secondo le ultime stime”, spiega la prof.ssa Marta Maffia, che si occupa da tempo della comunità srilankese ed è docente di Didattica delle lingue moderne. Poi aggiunge: “la cosa interessante è che questa comunità ha una storia lunga di permanenza nella nostra città, che tra l’altro a livello nazionale è una di quelle che ne accoglie di più.
I primi immigrati, soprattutto uomini, sono arrivati agli inizi degli anni ’70, poi in seguito anche le donne per processi di ricongiungimento familiare dopo la guerra civile tra srilankesi e i tamil”. La migrazione è continuata fino a oggi: “ci sono famiglie di seconda e anche terza generazione, infatti le scuole napoletane sono popolate da ragazzi e ragazze di origini srilankesi”.
Una delle particolarità riguardanti questa comunità è che perlopiù risiede in quartieri molto popolari della città, dunque “in un tessuto fortemente napoletano”. A tal punto che la docente parla di “scugnizzi srilankesi”: “sembra un ossimoro, invece è il simbolo di una comunità fortemente consolidata e assolutamente napoletana”. Naturalmente, come in ogni comunità che emigra sussiste anche l’aspetto della conservazione religiosa, linguistica e più in generale culturale: “nel tempo tutto questo conosce un’evoluzione, accade che le seconde e terze generazioni restano legate alle usanze e alle tradizioni del paese di origine di genitori e nonni, ma sono perfettamente integrate nel tessuto sociale napoletano”.
Insomma, L’Orientale dimostra sempre di avere rapporti saldi con il territorio e le associazioni che lo popolano, portando avanti filoni di studi lunghi anni come quello di Maffia sull’insegnamento e apprendimento dell’italiano come lingua seconda. Tuttavia, nel rivolgersi a un pubblico ampio e variegato, per far arrivare messaggi di solidarietà e integrazione bisogna accompagnare allo studio e alla ricerca una comunicazione efficace, “rendendo più fruibili contenuti divisivi e che vengono spesso presentati come elementi dissonanti delle nostre società, come la migrazione”, ha spiegato la prof.ssa Valeria Caruso, che pure insegna Didattica delle lingue moderne e che ha preso parte all’organizzazione della Notte Europea dei Ricercatori.
Poi, a proposito di quest’ultimo evento, che all’Orientale è andato di pari passo con il Festival delle Lingue, quest’anno a tema ‘Identità plurime’, ha aggiunto: “ho voluto fortemente che ci fosse un focus sulla migrazione, in particolare a Napoli. In questo senso, come Ateneo, abbiamo portato avanti tante attività negli ultimi anni per promuovere l’integrazione, il rafforzamento delle politiche volte ai migranti sul territorio”. Ecco perché una mostra fotografica è sembrata la modalità migliore: “l’immediatezza dell’immagine offre la possibilità di comprendere visivamente lo sguardo dell’altro”.
Ed è negli spazi suggestivi di Palazzo Santa Maria Porta Coeli che si è aperto uno squarcio su questa reciprocità: un racconto visivo che scosta delicatamente un velo per mostrare il legame quotidiano tra la comunità napoletana e quella srilankese fatto di un intreccio di volti, gesti e luoghi che, pur nella distanza geografica delle origini, si salda in identità che si influenzano a vicenda. La mostra si intitola infatti ‘Napoli oltre Napoli’, è stata inaugurata il 24 settembre ed è rimasta aperta fino al 3 ottobre.
L’esposizione è stata curata da Mariano Cinque e Valerio Muto in qualità di fotografi, e proprio dalle prof.sse Caruso e Maffia, in collaborazione con l’associazione Sritaly Play, che raccoglie giovani di seconde generazioni srilankesi. Sulle peculiarità dell’esposizione, Caruso ha detto: “la mostra vuole porsi come momento di riflessione sulla presenza della comunità srilankese a Napoli. Gli scatti di Cinque e Muto offrono uno sguardo sulla città e restituiscono un dialogo tra i luoghi più iconici e gli scorci meno patinati, alla scoperta della pluralità di identità che la abitano.
Il primo, Direttore di Unior Press e grafico, ha consegnato scatti di paesaggi, architetture e panorami; mentre il secondo ha condotto un percorso di ricerca sulla comunità srilankese. Inoltre, l’allestimento stesso è insolito: le bacheche per gli avvisi sono diventate cornici di panorami e volti; le foto sono state stampate in formato gigante per rendere il tutto a maggior impatto emotivo, alternando immagini di Napoli a immagini degli srilankesi”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n.15 – 2025 – Pagina 36