Meno giovani, meno iscritti alle Università. Meno iscritti, più rischi per la sussistenza degli Atenei italiani, in particolare per quelli del Mezzogiorno. È quanto affermano Massimo Armenise e Federico Benassi, ricercatori presso l’ISTAT, in un articolo recentemente pubblicato sul sito di informazione e analisi Neodemos, dal titolo “Le Università senza studenti”.
I due studiosi sono partiti da una previsione dell’ISTAT – una significativa decrescita nel numero dei giovani in età da università che si avrà tra vent’anni – per poi analizzare gli open data sugli iscritti presso le Università italiane, di base, quasi tutte, poco attrattive per gli studenti stranieri e il cui bacino di utenza proviene per lo più dalla provincia in cui queste hanno sede. Ed ecco, quindi, un quadro piuttosto negativo che supporta una tesi altrettanto poco incoraggiante. Ma è effettivamente questo che dovremo aspettarci in futuro? “Non è il momento di spaventarsi – premette il prof. Andrea Regoli, docente di Statistica economica all’Università Parthenope e Coordinatore del Corso di Laurea in Statistica e informatica per l’azienda, la finanza e le assicurazioni, a cui abbiamo chiesto un parere – Come si legge nelle prime righe dell’articolo, lo studio in questione si inserisce in un dibattito sulla promozione della formazione terziaria e, quindi, immagino non abbia lo scopo di mettere il dito nella piaga, ma di stimolare gli Atenei ad impegnarsi di più”. I due ricercatori hanno distinto tra Università ad alta/scarsa vocazione locale – a seconda della provenienza degli iscritti, con sede in territori ad alto/basso grado di autocontenimento, in base ai flussi migratori degli studenti.
In particolare, quelle napoletane “sono considerate tutte ad alta vocazione locale, in un territorio con un alto grado di autocontenimento. È una collocazione che ci aspettavamo”. Il docente fa poi un riferimento diretto alla Parthenope: “I nostri Corsi, per quanto ne sappia, hanno un basso numero di studenti da fuori regione o stranieri. Proprio sugli stranieri, però, va condotto un discorso a parte perché di manifestazioni di interesse dall’estero ne riceviamo. Il problema è che l’interesse cala nel momento in cui questi ragazzi si rendono conto che non c’è una vasta offerta in lingua inglese, soprattutto per i Corsi Triennali”. All’offerta in lingua, però, si vanno a sommare quell’aura di eccellenza che i giovani tendono ad associare, spesso, agli Atenei del Nord così come la volontà di migrare in prospettiva della futura collocazione professionale: “Ci sono tanti fattori in gioco, senza tenere conto dell’impatto della pandemia.
Generare attrazione verso gli studenti stranieri o di altre regioni è un primo passo, così come bisogna impegnarsi a far sì che sempre più studenti, dopo la scuola, decidano di iscriversi all’Università”. Queste misure, a parer di Armenise e Benassi, potrebbero comunque non tamponare la situazione nel Mezzogiorno (in cui si prevede una diminuzione della popolazione giovanile maggiore rispetto al Nord): “Le Università monitorano annualmente il loro stato di salute proprio per capire dove intervenire sul breve così come sul lungo periodo. Ribadisco, non bisogna insistere sulla questione al momento. Bisogna, piuttosto, continuare a migliorarsi”.
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