Quando un problema diventa sistemico, riguarda la cultura di un’intera società e riesce a serpeggiare anche nelle menti più decostruite, è il momento di capire che il cambiamento non può essere a carico di una sola parte: serve una presa di coscienza collettiva.
Un’urgenza che risuona con forza ogni volta che la cronaca ci restituisce una donna uccisa, maltrattata o violentata (il che accade in media una volta ogni due giorni) e che è stata intercettata dalla Scuola Superiore Meridionale, all’alba della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne attraverso la scelta di non organizzare un seminario, bensì una vera e propria conversazione tra studenti, dottorandi e due ospiti di eccezione. Si tratta di Don Antonio Loffredo, simbolo della Rinascita del Quartiere Sanità e fondatore della cooperativa sociale ‘La paranza’, e di Annalisa Sirignano, linguista e autrice del podcast ‘Ti leggiamo una femminista’.
A moderare il dibattito è stata la prof.ssa Margherita Interlandi, componente del dottorato in Law and Organizational Studies for the Promotion of Diversity and Inclusion e organizzatrice dell’evento, accompagnata dai saluti del responsabile della Scuola Superiore Meridionale, prof. Arturo De Vivo, e del prof. Giuseppe Recinto, componente del Comitato Tecnico Ordinatore. Si parte con un video: alcune donne si confrontano su cosa significhi la parola femminismo.
Sembra quasi un tabù, anche per loro, perché nell’immaginario collettivo troneggia il bias per cui questo non è altro che un’ideologia collocata all’estremo opposto del maschilismo, a discapito di ciò che realmente è: un movimento che lotta per la parità in tutti i campi e per entrambi i sessi. Non un’ideologia, come sottolinea Sirignano, ma una “pratica viva che cambia le vite che tocca”.
Una lente attraverso cui guardare il mondo e mettere a fuoco le dinamiche della violenza, delle disuguaglianze e dei meccanismi di potere che le generano. Padre Loffredo, invece, racconta l’esperienza di un gruppo di donne della sua comunità che ha dato vita, dal basso, ad un gruppo di ascolto e di confronto tra vittime di violenza, a seguito di un brutale femminicidio che aveva scosso il quartiere. Durante i funerali della vittima, uccisa a colpi di stampella dal marito, il prete scelse di mandare un messaggio forte attraverso il linguaggio della liturgia. Non vestì di viola, come l’occasione vorrebbe, ma di rosso: il colore usato per i martiri.
Da qui in poi la parola passa subito alla platea: la dinamica frontale viene rovesciata a favore di un dibattito che si anima del contributo degli studenti e dei dottorandi presenti, ciascuno dei quali ha messo al servizio del tema il proprio campo di studi, generando l’alternarsi di prospettive sempre diverse.
Così una dottoranda in Psicologia, che sottolinea come non basti proteggere le donne ma sia necessario “ampliare la finestra di tolleranza degli uomini”, cioè educarli alla gestione del conflitto e della frustrazione, decostruire i rigidi copioni di genere e creare spazi di confronto anche per loro. Poi si aggiunge un altro dottorando, stavolta di area giuridica, che ipotizza la possibilità anche per i terzi di denunciare il carnefice, come sostegno in più alla vittima quando non ce la fa da sola, fino ad eventualmente configurare una “omissione di denuncia” nel caso in cui si sia a conoscenza di episodi di violenza e non si intervenga.
Negli stereotipi di genere cadiamo tutti, anche i più consapevoli, come suggerisce la prof.ssa Interlandi, sottolineando quanto la “donna emancipata” spesso sia costruita sull’immagine maschile o si trovi nella condizione di dover assumere atteggiamenti socialmente definiti “da uomo” per farsi accettare e rispettare. E non mancano, nel corso della discussione, i riferimenti alle modifiche del Codice penale sul tema del ‘consenso libero e attuale’, che, nello stesso istante in cui il convegno si svolge, sta passando al vaglio del Senato dove però, da lì a qualche ora, si arenerà.
La modalità con cui si è svolto l’incontro è stata premiante a detta di Pierpaolo Cacciapuoti, studente di Giurisprudenza, che ha apprezzato la prevalenza del tempo riservato alle domande e agli interventi. Confessa, inoltre, che la testimonianza di Padre Loffredo lo ha spinto a mettere in discussione il modo di trattare certi argomenti: “spesso noi studenti quando parliamo di certi temi ci circoscriviamo troppo al contesto universitario e non andiamo a vedere i territori”, ammette.
Per il dottorando Pasquale Abatiello, invece, sono stati una bella scossa i continui inviti della dott.ssa Sirignano a prestare attenzione alle parole usate nel corso degli interventi: “mi hanno aperto gli occhi su quanto, in un modo o nell’altro, tutti i giorni utilizziamo termini che sono specchio della cultura patriarcale”, rivela. Per quanto si ritenga abbastanza consapevole sui temi delle discriminazioni di genere, poi, confessa che l’incontro gli ha fatto pensare che “forse il deficit più grande ce l’ho proprio in ambito giuridico, che è il mio campo, e mi piacerebbe colmare questo gap con gli strumenti che mi sono più propri”.
Annamaria Santarpia, studentessa di Giurisprudenza, rivela invece di aver scoperto l’esistenza di altre forme di violenza meno evidenti di quella fisica, ma altrettanto invalidanti, e che ad averla colpita è stata soprattutto “la presenza ancora troppo marcata della cultura patriarcale anche all’interno dei tribunali, come dimostrano alcune sentenze che sono state citate”.
Concorda il collega Giovanni Antelitano, matricola di Giurisprudenza e allievo ordinario della Scuola Superiore Meridionale: “Queste pronunce sono specchio di un’ideologia assolutamente inadeguata all’interno di aule che dovrebbero mirare sempre all’equità e alla giustizia” e sottolinea come l’incontro sia stato una preziosa occasione per tornare a riflettere su temi già trattati al liceo in diverse occasioni, ma sui quali “non basta essere semplicemente consapevoli, perché ogni forma di conoscenza deve essere continuamente rinnovata”.
La discussione si chiude così com’era stata aperta: con un video. Stavolta sullo schermo appare Michela Murgia, scrittrice e filosofa femminista scomparsa nel 2023, che in un’intervista afferma: “Davanti ad un’ingiustizia non esiste la neutralità: o la combatti oppure la sostieni, attivamente o col tuo silenzio, ma tutti gli atteggiamenti che non siano di messa in discussione sono atteggiamenti di complicità”.
Giulia Cioffi
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Ateneapoli – n.19-20 – 2025 – Pagina 31







