Ai ‘Punti Benessere’ gli studenti riscoprono il valore del gioco

C’è un tavolo da biliardo nel chiostro di un Ateneo. Intorno, studenti che ridono, si sfidano, si conoscono. Non è una scena insolita in un campus americano, ma accade a Napoli, nel cuore dell’Università Suor Orsola Benincasa, dove sono appena nati i Punti Benessere, due spazi ludici dedicati agli studenti.

Non si tratta di un esperimento di svago tra una lezione e l’altra, ma di un progetto con un obiettivo più ambizioso: promuovere il benessere psicologico attraverso il gioco. “Abbiamo voluto creare non uno spazio di gioco, ma lo spazio del giocare”, spiega la prof.ssa Antonella Gritti, docente di Neuropsichiatria Infantile, delegata dell’Ateneo per il counseling.

“Giocare è un’attività mentale, non un passatempo. È una forma di pensiero che stimola la creatività, il contatto con l’altro e, in fondo, la capacità di prendersi cura di sé”. Un’idea che nasce all’interno del progetto APPbenessere, iniziativa che riunisce gli Atenei napoletani con l’intento di promuovere il benessere fisico e psicologico della comunità studentesca. Al Suor Orsola Benincasa, il concetto si è tradotto in un esperimento concreto: due spazi – uno a Scienze della Formazione, l’altro a Giurisprudenza – dove sono stati messi a disposizione giochi da tavolo, biliardo e altri materiali scelti anche insieme agli studenti.

Ma cosa può davvero cambiare, in termini di salute mentale, una partita a carte tra colleghi di corso? La prof.ssa Gritti risponde con una riflessione che va oltre la superficie: “Negli ultimi anni molti ragazzi si sono chiusi, hanno sostituito le relazioni reali con quelle virtuali. Il gioco riattiva la presenza, costringe a guardarsi, a condividere uno spazio e un tempo. È un gesto semplice, ma profondamente umano”. L’idea del ‘giocare per crescere’ non è solo romantica. Ha una sua radice psicologica precisa: il gioco come strumento di soggettivazione, cioè di costruzione dell’identità personale.

“Giocando – aggiunge la docente – si impara a conoscere sé stessi, i propri limiti, i propri talenti. E questo processo, nell’adolescenza e nella prima età adulta, è fondamentale”. Accanto a lei, il prof. Gennaro Catone, docente di Psicopatologia dell’infanzia e co-responsabile del progetto, racconta come tutto sia iniziato quasi per caso: “Abbiamo voluto riqualificare uno spazio poco utilizzato, come il giardino delle camelie. L’abbiamo trasformato in un luogo vivo, dove potersi incontrare, parlare, fare gruppo. Il gioco come motore potente di socializzazione e di creatività”.

Il prof. Catone parla anche da counselor, con uno sguardo realistico sulle difficoltà che oggi attraversano la vita universitaria. “Sì, gli studenti stanno male. Mi capita spesso di incontrare ragazzi che faticano a reggere la pressione, a gestire la solitudine. L’università è un momento di passaggio fragile: ci si separa dalla famiglia, si affrontano nuove responsabilità, e tutto questo può generare disagio”.

Proprio per questo, secondo il docente, iniziative come i ‘Punti Benessere’ vanno lette come tentativi di prevenzione più che come soluzioni: “Aiutano a creare connessioni, a costruire una rete sociale che diventa un fattore di resilienza. È un modo per stare insieme, non per isolarsi”. Raccontando l’inaugurazione, il professore sorride: “Mi aspettavo una cerimonia formale; invece, gli studenti hanno aperto le scatole e hanno iniziato a giocare davvero. È stato spontaneo, naturale. Li vedevo scambiarsi numeri di telefono, chiedersi dei corsi, organizzarsi per rivedersi. E per un attimo, l’università sembrava tornare ad essere una comunità”.

Ecco il punto centrale: dietro l’iniziativa non c’è tanto la volontà di ‘distrarre’ gli studenti, quanto quella di riformulare il senso stesso dello spazio universitario. Da luogo di trasmissione del sapere a luogo di formazione integrale, dove lo studio convive con il benessere e la relazione. Certo, resta da capire se gli atenei italiani siano pronti per una simile svolta. In un sistema ancora dominato da carichi di lavoro, ansia da performance e competizione, un tavolo da gioco può sembrare un dettaglio marginale. Ma forse è proprio da quei dettagli che inizia un cambiamento.

“Mi auguro – conclude la prof.ssa Gritti – che i docenti stessi invitino gli studenti a frequentare questi spazi. L’università deve insegnare anche a prendersi cura della propria mente, non solo ad accumulare nozioni”. È un gesto piccolo, ma in un’epoca di iperconnessione e isolamento, tornare a giocare insieme può essere un atto quasi rivoluzionario. E nel silenzio dei corridoi universitari, il suono di un dado che rotola o di una pallina da biliardino che rimbalza potrebbe ricordarci che imparare a stare bene è parte del sapere.
Lucia Esposito

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Ateneapoli – n.17 – 2025 – Pagina 34

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