Lucia Capozzi sta per concludere il suo percorso alla Magistrale in Digital Humanities per i Beni Culturali e ci tiene a dirlo fin da subito: “Appartengo al primo anno. Sono entrata proprio quando il Corso è stato istituito al posto della laurea in Storia dell’Arte”.
Dopo la Triennale in Storia dell’Arte e Beni Culturali, ha deciso di continuare con un indirizzo innovativo e ancora poco conosciuto, scelto con la curiosità di chi guarda avanti e la consapevolezza di voler unire le sue competenze umanistiche a strumenti digitali sempre più richiesti. La quasi dottoressa non ha aspettato la laurea per affacciarsi al mondo del lavoro: oggi è impegnata in un progetto legato alla digitalizzazione del patrimonio cartaceo di biblioteche e archivi di Napoli. “Non è stato un coinvolgimento partito dall’università.
Ho trovato l’annuncio su LinkedIn, ho inviato il curriculum e ho sostenuto un colloquio con l’azienda”. La sua determinazione l’ha portata ad entrare in una realtà vincitrice di un bando regionale collegato al PNRR. Un contratto a tempo determinato, certo, ma un’esperienza concreta prima ancora della discussione della tesi.
Eppure, in questa autonomia, il ruolo dell’università non è stato secondario: “Mi serviva un attestato che certificasse le competenze acquisite, mi è stato fornito subito. Senza quello, non avrei potuto partecipare al progetto”. È uno degli aspetti che Lucia sottolinea con più convinzione: il valore delle attività pratiche affiancate alla teoria.
Tra i Laboratori svolti ricorda con entusiasmo quello di Filologia latina, in cui ha imparato a usare Oxygen per la codifica digitale dei testi, o quello di Tecnologie dei beni culturali, dove ha costruito modelli 3D e archiviato dati. “Alla teoria si affianca la pratica. Non avviene in tutti gli Atenei. Qui invece ci tengono davvero a farti entrare nel mondo del lavoro”.
E non è solo questione di strumenti. Il fatto di essere parte della prima classe del Corso ha creato un clima di confronto attivo con i docenti: “Ci chiedevano feedback, ci ascoltavano. Anche loro stavano sperimentando insieme a noi”. Una partecipazione che ha fatto la differenza, così come la possibilità di svolgere un tirocinio al Museo di San Martino, occasione utile per osservare – anche con uno sguardo critico – il rapporto tra museo e comunicazione digitale.
“Mi sono resa conto che dal punto di vista comunicativo non è al passo. In un mondo digitalizzato, i musei devono aggiornarsi, altrimenti restano indietro”. Ed è proprio questo che oggi fa la differenza: saper raccontare il patrimonio culturale in modo nuovo, coinvolgente, con linguaggi e strumenti che parlano anche alle nuove generazioni. “Per noi giovani è normale scattare, sistemare e pubblicare una foto. Ma non lo è per tutti. Mi è capitato che persone più grandi, anche in ambito lavorativo, mi chiedessero una mano proprio per questo.
Una comunicazione efficace può cambiare l’immagine di un museo”.
Nonostante manchi ancora la discussione della tesi, Lucia si muove già da professionista. E lo fa partendo da un dubbio che ha accompagnato i primi mesi: “All’inizio mi chiedevo se avessi fatto la scelta giusta. Alcuni me lo sconsigliavano. Ma oggi, con quello che so e che faccio, risponderei: assolutamente sì”.
Una certezza che nasce da un dato di realtà: la digitalizzazione è ovunque. Non è una tendenza di settore, ma un cambiamento trasversale, che riguarda ogni ambito, dai musei agli archivi, dalle biblioteche agli enti pubblici: “Servono figure che sappiano portare innovazione e comprensione del patrimonio. Serve chi è capace di parlare sia il linguaggio umanistico che quello digitale”.
E se qualcuno fosse ancora indeciso se iscriversi o meno a un percorso in Digital Humanities? La futura dottoressa non ha dubbi: “Il mondo digitale cambia ogni giorno. E noi non siamo già arrivati: stiamo imparando a capire il cambiamento. Questo è il valore più grande di una laurea come questa”.
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Ateneapoli – n. 11-12 GUIDA UNIVERSITARIA – 2025 – Pagina 148-149