Sarò medico. Paolo Lepre, oftalmologo: “seguite istinto e passione, non fermatevi al primo ostacolo”

“Mio padre comprava diversi quotidiani e sulla seconda pagina di uno di questi, un giorno, c’era un titolo enorme sull’apertura della banca degli occhi a Napoli, all’Ospedale dei Pellegrini. Ricordo le parole testuali: si ridona la vista ai ciechi con trapianti di cornea. Questo fatto – devo essere sincero – mi sconvolse.

E pensai subito che quella potesse essere la mia strada”. Il dott. Paolo Lepre, oftalmologo, Presidente dell’Associzione Campana Glaucoma e membro di ‘Sorridi Konou Konou Africa Onlus’ – associazione che apporta assistenza medica e aiuto a quanti vivono in condizioni disagiate e di emergenza in Benin, nell’Africa Occidentale, attraverso una serie di progetti sanitari e sociali – ha raccontato spaccati della propria vita da studente e da medico a una platea di futuri camici bianchi a Univexpò, oscillando tra flashback, aneddoti e consigli.

In apertura ha detto: “la mia è stata una carriera normale, che tuttavia mi ha dato soddisfazioni enormi. Ho sempre voluto fare il medico”. Anche sullo studente che è stato, ripete il medesimo aggettivo: “normale”. E a questo proposito ha voluto rassicurare ragazze e ragazzi: “L’approccio allo studio è estremamente variabile”.

Medicina, tosta ma bella

Poi un aneddoto: “io non avevo una grande continuità di studio ma in prossimità degli esami ci mettevo tanta intensità, studiavo anche di notte. Con me c’erano due precisini, che al contrario avevano una costanza incredibile, erano sui libri ogni giorno, con orari prestabiliti. Alla fine, sia io che loro siamo arrivati a laurearci bene. Questo per dire che non bisogna farsi troppi problemi su come si deve studiare.

Conta il risultato. Ognuno ha il proprio approccio”. Non sono mancati i momenti difficile durante il percorso, e Lepre non edulcora i ricordi: “Medicina è tosta, impegnativa, ma al tempo stesso molto bella. Quando si cresce e si passa all’approccio al malato, si capisce cosa significhi la malattia. È in quel momento che si comprende quanto possa essere grave la condizione umana con la quale si avrà a che fare”. I sospiri di sollievo, la leggerezza che si prova dopo aver superato un esame sono il rovescio della medaglia, invece: “durante l’università ho avuto dei lutti familiari che non mi hanno dato tranquillità, purtroppo.

Arrivai alla laurea stanchissimo e ricordo con piacere quel momento perché significò riposo”. Poi una battuta: “sicuramente è molto più bello fare il medico che lo studente di Medicina, periodo che porta stress, stanca”. Si sa, il percorso di un medico è lungo. Dopo i sei anni canonici c’è la specializzazione. Che nel caso di Lepre è stata tutt’altro che agevole: “come oggi, anche allora non era facile accedere a certe Scuole. Quando ho verificato di non poter andare avanti nel settore che mi piaceva, non ho mollato, e sono andato in Clinica medica.

È stata una scelta assolutamente vincente, perché quegli anni mi hanno dato opportunità di conoscere un professore che mi ha letteralmente insegnato il metodo scientifico per l’approccio alla malattia: studio dell’anamnesi, del paziente, dell’esame obiettivo; il tutto per una valutazione generale sempre ragionata che tenesse assieme anche le analisi del sangue, quelle strumentali. Questo serviva e serve per una valutazione diagnostica adeguata.

Bisogna ragionare”. Da medico ha capito che la routine è piena di insidie: “l’occhio e le orecchie devono sempre essere vigili, qualsiasi elemento che sfugge può essere decisivo per un paziente”. E proprio sul rapporto con quest’ultimo Lepre si è aperto raccontando qual è la soddisfazione massima dalla sua prospettiva e come ogni sua parola possa avere un impatto enorme sull’altro: “mi occupo di glaucoma, una malattia che porta alla cecità, purtroppo.

Ho a che fare con persone che clinicamente e umanamente sono legate a me a doppia mandata. Qualsiasi mio commento può creare danno o beneficio. E a me basta un grazie. È la più grande soddisfazione che possa esserci”.

In Benin curano gli sciamani

Ma a far diventare l’oftalmologo il medico a tutto tondo che è oggi ha contribuito anche l’Africa: “Tutto ciò che immaginate su questo continente non corrisponde al vero. Una nazione piccola come il Benin può avere città ultra moderne e a poca distanza villaggi quasi preistorici dove non c’è nulla e le uniche strutture in grado di portare soccorso sono quelle religiose.

Gli sciamani decidono la salute della gente. La cataratta, fino a quarant’anni fa, si operava così: il paziente veniva messo in ginocchio, lo sciamano, con una mazza di legno piatta, lo colpiva dietro la nuca, mentre era girato di spalle. La pratica faceva scivolare il cristallino dalla parte interna a quella anteriore dell’occhio. Partendo da questo, pensate cosa abbia significato portare strumentazioni, nuove tecnologie, ultrasuoni.

E questo è valso per tantissime branche”. Lepre ha salutato la platea dando un consiglio: “seguite istinto e passione, non fermatevi al primo ostacolo. Non è sempre necessario fare la Specializzazione del vostro cuore. Ciò che davvero conta per chi vuole diventare medico è ben altro: mettere l’essere umano al centro dell’attenzione”.
Claudio Tranchino

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