Cinghiali, tra le strategie di contenimento della specie il brevetto di un team di ricerca federiciano

‘Sistema e metodo per la cattura dei cinghiali’: il brevetto per l’invenzione ottenuto da un gruppo multidisciplinare composto da docenti e ricercatori dei Dipartimenti di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione (DIETI) e di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Ateneo Federico II.

“Abbiamo messo a punto e sperimentato una gabbia – spiega il prof. Luigi Esposito, docente a Veterinaria, con la ricercatrice Nadia Piscopo, il medico veterinario e dottore di ricerca Maria Teresa Verde e Francesco Bonavolontà, docente del DIETI, nel team di ricerca – che permette una cattura selettiva dei cinghiali, limitandola solo a quelli di una certa età. Precisamente restano nella gabbia gli animali tra i 6 e i 12 mesi. Quelli adulti non possono entrare in quanto, per come è progettata la gabbia, con una porta tipo gattaia di 20 centimetri per trenta, non trovano il varco”.

Si è deciso di puntare alla cattura solo dei cinghiali tra i sei e dodici mesi perché “avremmo sottratto alla caccia gli animali più grandi, attività alla quale io sono contrario, ma che la legge permette da ottobre a dicembre. La cattura dei cinghiali più piccoli, al di sotto dei sei mesi, è vietata dalle normative vigenti. Durante la fase di sperimentazione che è avvenuta a Quindici, in provincia di Avellino, i cinghiali di età inferiore ai sei mesi che restavano intrappolati, infatti, erano poi liberati. Si riunivano alle madri che si aggiravano all’esterno della struttura in attesa dei cuccioli.

Il prelievo degli animali tra 6 e 12 mesi, quando sono pronti a riprodursi, è una strategia efficace di contenimento della specie”. Gli animali dell’età giusta che sono stati catturati nella trappola brevettata sono stati successivamente narcotizzati e distribuiti tra gli agriturismi della zona, dove sono stati allevati e avviati alla macellazione, perché la carne di cinghiale ha un suo mercato abbastanza sviluppato.

“Il ruolo degli ingegneri – illustra il prof. Esposito – è stato quello di mettere a punto un sistema di trasmissione dati che ha permesso di monitorare h24 la gabbia, anche con l’ausilio delle fototrappole. In questo modo abbiamo anche ridotto al minimo la permanenza dei cinghiali nella gabbia, che è evidentemente un fattore di stress per gli animali, perché gli operatori sono andati a narcotizzare e prelevare i cinghiali nello spazio di un’ora o poco più. Siamo arrivati a catturare da un minimo di 3 ad un massimo di 40 cinghiali”.

La gabbia prototipo è costata 20 mila euro, nell’ambito di un finanziamento complessivo del progetto pari a 240 mila euro erogati attraverso un piano di sviluppo rurale. È ora in deposito in attesa di nuovi bandi. Il brevetto è di proprietà della Federico II.

“L’utilizzo di questo sistema di cattura – sostiene il prof. Esposito – certamente è da preferire rispetto alla pratica in uso più comunemente, che è quella di intrappolare i cinghiali in una rete e ammazzarli sul posto a fucilate. Gli animali ammassati si dimenano e sono preda del terrore finché uno o più colpi di fucile non pongono fine alle loro sofferenze. Una specie di tonnara con scene veramente molto cruente”.

Negli anni ’90 importazione di specie dall’Est a scopo venatorio

Resta l’interrogativo circa la necessità di adottare le pratiche di contenimento dei cinghiali, le quali pongono anche interrogativi di carattere etico, e circa i motivi per i quali la popolazione è cresciuta a dismisura in Italia. Ateneapoli ha girato entrambi i quesiti al prof. Esposito che insegna Zootecnia speciale. “Partiamo – risponde – dalla prima questione.

Sì, c’è bisogno di piani di gestione e contenimento dei cinghiali. Abbiamo un problema serio evidente di sovrappopolamento, con conseguenze dannose per l’agricoltura e per gli stessi habitat naturali. Nell’area campione, quella dove abbiamo posizionato la gabbia e che ricade in una zona a protezione speciale, ma non è un parco, abbiamo stimato una popolazione per ettaro tra i 7 e i 20 animali. La concentrazione, per garantire un equilibrio, non dovrebbe essere di più di 3 cinghiali ad ettaro. È un un problema che riguarda la Campania e non solo, perché analoghe situazioni si verificano nel resto d’Italia”.

La risposta relativa alle cause di questa esplosione demografica dei cinghiali chiama in causa i cacciatori e le scelte miopi di alcuni decenni fa. “Nei primi anni Novanta furono importati e liberati in Italia a scopo venatorio cinghiali provenienti dall’est europeo. Una specie più grande – ogni capo può raggiungere i 100 chili – e ben più prolifica, partoriscono fino a 8 cuccioli, del cinghiale maremmano storicamente diffuso in Italia. Quest’ultimo è più piccolo e molto meno prolifico (di norma le cucciolate non vanno oltre i 3 esemplari) ma è confinato attualmente solo nell’area della tenuta del Presidente della Repubblica a Castelporziano.

La mancanza di nemici naturali – la popolazione dei lupi all’epoca era molto ridotta e comunque tendono a privilegiare prede più facili da catturare – e la gestione non ottimale di molti dei nostri parchi nazionali e regionali (con le eccezioni dei Parchi Nazionali d’Abruzzo e del Gran Paradiso), unitamente alle caratteristiche del cinghiale venuto dall’est, in primis la prolificità, hanno creato i presupposti del problema che ci troviamo ora ad affrontare tra non poche difficoltà”.
Fabrizio Geremicca

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Ateneapoli – n.16 – 2025 – Pagina 8

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