L’arte della “serendipità”: dalla ricerca accademica alla sfida dell’imprenditorialità

Lungo il viaggio che conduce al raggiungimento dei nostri obiettivi professionali può accadere che la rigorosa pianificazione delle singole tappe individuate subisca una improvvisa deviazione causata da una illuminazione perlopiù inattesa ma determinante per la nostra traiettoria di carriera. Questo fenomeno prende il nome di ‘serendipità’: non si tratta di fortuna né di casualità, ma della capacità di ‘intercettare’, per intuito e lungimiranza, ciò che non stavamo attivamente cercando e di cogliere le opportunità nascoste in circostanze apparentemente imprevedibili.

Sosteneva, a tal riguardo, Louis Pasteur che “la fortuna aiuta le menti preparate” adducendo alla ‘forza trasformativa’ della serendipità, ovvero a quella combinazione di apertura mentale, preparazione e capacità di osservare con attenzione che consente di identificare e capitalizzare i segnali di un possibile, e vantaggioso, cambio di rotta.

In quest’ottica una delle sfide più cruciali per le nuove generazioni non può che essere quella di ‘allenare’ costantemente la propria mente affinché sia pronta a riconoscere, e a sfruttare, quella deviazione inaspettata – quella “scintilla” – che può trasformare, come nel caso di Alexander Fleming per la penicillina, una difficoltà di laboratorio in un’innovazione mondiale o, come nel caso del protagonista di questa storia, una tesi di dottorato in un modello di business di successo.

È quanto accaduto a Flavio Farroni, una figura brillante nata dall’ecosistema universitario campano, premiato come Young Scientist of the Year da Tire Technology International nel 2015 e inserito nella lista MIT Innovators Under 35 Italy nel 2018 e CoFounder, CEO e COO degli spin-off accademici MegaRide, VESevo e RIDEsense.

Il percorso di ricercatore-imprenditore con la fondazione di ben tre spin-off accademici ha avuto inizio con un’intuizione maturata durante il dottorato in occasione di una ricerca portata avanti in collaborazione con il team Ferrari. Come è nata l’idea? E qual è stata la molla che ha spinto ad accettare la sfida all’imprenditorialità?

“L’idea non è una singola soluzione, ma una serie di modelli matematici in grado di svolgere diversi compiti: dalla caratterizzazione dei pneumatici racing usando dati di telemetria al posto di costosi test ai banchi prova, a software che simulano in real-time ciò che avviene tra il veicolo e il suolo, a livello termico, di grip, di usura e di sensazioni da rendere disponibili a bordo del veicolo stesso o su un simulatore di guida da Formula 1.

L’imprenditorialità è un po’ arrivata senza che la cercassi… queste soluzioni sviluppate iniziavano a diffondersi grazie a importanti premi vinti e alle pubblicazioni scientifiche, e man mano sempre più aziende iniziavano a contattarmi per chiederne le licenze. Io non avevo neanche idea di come si licenziasse un software, ma quando iniziano ad arrivarti richieste così rilevanti, occorre mettersi nelle condizioni di poter accettare la sfida proposta”.

Intuizione, ricerca, sperimentazione, validazione e trasferimento tecnologico rappresentano gli elementi-chiave attorno ai quali si sono sviluppate nel tempo prima MegaRide e poi VESevo e RIDEsense. Tutto parte da una ‘scelta coraggiosa’: il rifiuto di una proposta di lavoro dalla Ferrari per seguire la vocazione restando nella tua città natale.

“Sentivo che in qualche modo per costruire qualcosa di unico serviva fare scelte poco convenzionali. Il mio dottorato aveva destato l’interesse di un’azienda eccezionale, a cui devo tanto, ma crescere in azienda significava probabilmente far finire in un cassetto idee che, lo ha poi dimostrato il tempo, potevano avere un impatto dirompente e che desideravo lanciare sul mercato. E, poi, amavo, amo e amerò sempre la ricerca.

Sapevo che la mia più grande soddisfazione sarebbe stata nel cercare risposte a quesiti tecnico-scientifici di rilevanza industriale, nello sperimentare ogni giorno strade nuove, nel fare il lavoro più libero che esista. C’era solo da trovare il modo per mettere insieme le due cose”.

Spesso il passaggio dalla ricerca universitaria alla creazione di un prodotto commercializzabile è la sfida più grande per gli spin-off accademici. Quali sono state la difficoltà incontrate con MegaRide e VESevo in questa transizione?
“Ogni giorno vedo tante idee di colleghi probabilmente ancor più efficaci di quelle che hanno fatto nascere i nostri spin-off.

Ma non basta. Serve ripensarle in ottica prodotto, serve consolidarle in percorsi di validazione che per la ricerca (giustamente) non hanno interesse, serve dialogare con il mercato, prendere treni e aerei anche quando non se ne avrebbe voglia, serve lavorare su marketing e comunicazione talvolta più che sul prodotto stesso. La difficoltà è stata scoprire tutto questo, che nessuno ci aveva anticipato. La parte più bella, capire che anche queste parti del lavoro ci piacevano, e ci riuscivano decisamente bene!”.

Il momento durante il percorso accademico in cui è scattata la ‘scintilla’: “questo è l’ambito in cui voglio specializzarmi e lavorare”?
“Nonostante quello che pensano in molti, io non ‘nasco’ fanatico dei motori. Ma mi appassiono a quella che a mio parere è la branca più affascinante dell’universo automotive, la ‘Dinamica del Veicolo’, grazie a due esami universitari: Meccanica Applicata (che, nel cerchio che si chiude, oggi insegno a mia volta) e Meccanica del Veicolo. Poi, certamente, la vita è fatta di incontri ‘fulminanti’, che ritengo ci si debba continuamente dare la chance di fare, viaggiando e frequentando contesti anche apparentemente distanti dai nostri.

I miei sono stati quelli con il prof. Michele Russo e con l’ing. Marco Fainello, i miei mentori, rispettivamente accademico e industriale”.
Se potesse sedersi a tavola con uno studente indeciso che sta terminando il suo percorso di studi, diviso tra l’attrattiva della carriera accademica e la spinta verso l’imprenditoria innovativa, quali sarebbero i consigli che si sentirebbe di dare?

“Mi ritrovo piuttosto di frequente in questo ruolo, e ribadisco le parole che spesso lascio ai ragazzi: quello che accomuna le persone con storie di successo che ho conosciuto è la loro volontà di operare senza l’obiettivo fisso di un tornaconto.

Le grandi idee, gli incontri che cambiano la vita, nascono non perché lo si pianificasse, ma perché si è dato loro modo di imbattersi in noi, mentre si era alle prese con altro, in movimento, guidati dalle passioni e dalla ricerca di competenze nuove, percorrendo strade non lineari e commettendo errori. In mezzo a tutto questo, per statistica o per serendipità, succedono le cose migliori”.
Luca Genovese

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Ateneapoli – n.19-20 – 2025 – Pagina 6

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