“Perché cestinano il tuo curriculum?”. È partita da questa provocazione la riflessione che ha unito decine di studenti della Scuola delle Scienze Umane e Sociali della Federico II, il 22 ottobre, prima del Career Day (si tiene mentre andiamo in stampa il 29 ottobre). Un incontro (in remoto) pensato non come una semplice lezione, ma come un vero e proprio laboratorio di consapevolezza, in cui gli studenti hanno potuto confrontarsi con il mondo del lavoro prima ancora di entrarvi.
L’obiettivo era chiaro: preparare le nuove generazioni a presentarsi, a costruire un’immagine di sé coerente e credibile, a mettere il primo piede in un percorso professionale con gli strumenti giusti e una visione più lucida. A guidare l’incontro è stato il prof. Gaetano Vecchione, docente del Dipartimento di Scienze Politiche e coordinatore della Commissione Placement, che ha moderato il dibattito con tono diretto e dinamico, coinvolgendo i professionisti ospiti: Manuela Tortese, performance manager e training coordinator, e Andrea Iovene, esperto di job placement.
“Non ci sono giri di parole – ha precisato il prof. Vecchione – perché l’obiettivo è far emergere i punti più critici e concreti di un colloquio: sapere chi siamo e cosa vogliamo comunicare”. Proprio la dott.ssa Tortese, con esempi pratici e confronti reali, ha mostrato cosa rende un curriculum efficace e cosa, invece, lo condanna al cestino digitale dei selezionatori. “Ognuno di noi è un brand – ha ribadito – Il curriculum non è un elenco di esperienze, ma la rappresentazione coerente della propria identità professionale. Va personalizzato, adattato al contesto e alle esigenze dell’azienda”.
Ecco allora l’importanza delle parole chiave, dei template coerenti e dell’equilibrio tra sintesi e chiarezza: “Una pagina ben costruita è meglio di tre confuse, perché il recruiter si stanca e il vostro valore si perde”. Gli studenti, coinvolti in domande e simulazioni, hanno sperimentato sulla propria pelle quanto la scrittura di un CV sia un esercizio di conoscenza personale.
“State creando la vostra strada: sapete dove volete andare?” è stata la domanda guida dell’intero incontro. Un invito a interrogarsi prima di presentarsi, a evitare automatismi e formule vuote, ma anche a conoscere i limiti degli algoritmi: “Gli ATS non leggono la grafica – ha ricordato la dott.ssa Tortese – perciò attenzione a non sacrificare la sostanza sull’altare dell’estetica”.
Il dott. Andrea Iovene ha invece condotto gli studenti nel passo successivo: il colloquio. “Non cerchiamo la persona perfetta, ma quella giusta al posto giusto”, ha sottolineato, invitando i giovani a prepararsi con metodo, a studiare l’azienda, a curare il linguaggio del corpo e la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si trasmette. “Domande come ‘Mi parli di lei’ pesano anche il 40% dell’intervista: preparatevi una presentazione di due minuti, fluida, personale, che non sia la copia del vostro CV ma che ne riveli il valore aggiunto”.
La spontaneità, dunque, non come improvvisazione, ma come esito di un esercizio costante di autenticità. Molte le curiosità degli studenti, soprattutto sull’età, i percorsi di studio fuori tempo e le ‘pause’ nel curriculum. Il docente, rassicurando i partecipanti, ha ricordato che “ogni biografia può trasformarsi in un punto di forza se raccontata con verità. Un rallentamento può diventare il segno della vostra determinazione”.
L’incontro, infatti, ha insistito sulla dimensione narrativa del colloquio: non si tratta solo di elencare tappe, ma di costruire uno storytelling credibile, capace di mostrare resilienza, adattabilità e crescita. “I recruiter sono esseri umani – ha aggiunto la dott.ssa Tortese – e apprezzano chi sa valorizzare le proprie difficoltà tanto quanto i propri traguardi”.
L’inglese, inevitabilmente, resta una chiave d’accesso quasi obbligata, ma non esclusiva. “Non serve la certificazione allegata – è stato detto – ma una buona padronanza comunicativa è imprescindibile”. Per il resto, la regola d’oro sembra una sola: essere preparati e consapevoli.
“Allenatevi – ha suggerito l’esperto di job placement – anche simulando colloqui con strumenti digitali o con intelligenze artificiali come ChatGPT: non per sostituire il vostro pensiero, ma per esercitare la vostra sicurezza espositiva”. Durante l’incontro il prof. Vecchione ha evocato il celebre monologo di Kevin Spacey nel film The Big Kahuna: “Anche a cinquant’anni potremmo non sapere cosa vogliamo fare da grandi, e va bene così”.
Una citazione che, più che rassicurare, restituisce un senso profondo: la carriera non è una linea retta, ma un percorso in continua riscrittura, dove contano la curiosità e la capacità di ripartire. In fondo, questo incontro non ha insegnato solo a scrivere un curriculum, ma a costruire un racconto di sé, consapevole, autentico e capace di non finire nel cestino.
Lucia Esposito
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Ateneapoli – n.17 – 2025 – Pagina 5







