Filosofia e tiro a segno: per Veronica due facce della stessa medaglia

Cos’è che definisce un successo? Nello sport la risposta sembrerebbe piuttosto semplice: salire sul podio, possibilmente al gradino più alto, e tornare a casa con al collo un disco di metallo (più luccica, meglio è). Molti ricorderanno il dibattito nato alle Olimpiadi di Tokyo dopo il quarto posto della nuotatrice Benedetta Pilato.

‘È il giorno più bello della mia vita’, aveva commentato appena uscita dall’acqua, non immaginando che da lì a poco sarebbe stata travolta dalle critiche di colleghi, commentatori e spettatori (non si può mica essere orgogliosi di non essere saliti sul podio!). Non tutti sono d’accordo: “ogni risultato va contestualizzato”.

La pensa così Veronica Maria Calvello, rientrata dai Campionati Nazionali Universitari (CNU) di Tiro a Segno (svoltisi a Candela il 18 e il 19 ottobre) con due bronzi al collo, conseguiti nella carabina individuale e a squadre. Mentre amici e compagni si congratulano per l’ottimo risultato raggiunto, nella sua testa corre un pensiero intrusivo: potevo fare di più. Ambiziosa e autocritica, Veronica racconta di essere arrivata al poligono pugliese favorita dalla partecipazione sia al Campionato del Mondo Junior a Lima che al Mondiale Universitario a Nuova Delhi, nel 2024.

Eppure, un periodo personale difficile e qualche problema tecnico con l’arma hanno inciso sulla sua prestazione: “non sono pienamente soddisfatta – confessa – ma questa medaglia mi ha un po’ tirato su di morale”.

Uno sport che “ti mangia l’anima con il cucchiaino”

Ogni sportivo impara presto che il confronto è con se stessi, prima che con gli avversari: superare i propri limiti, battere i record personali, fare un buon piazzamento dopo un fermo per infortunio… A maggior ragione in uno sport come il tiro a segno.

“Ti mangia l’anima con il cucchiaino – racconta Veronica – Si dice che si debba sparare tra un battito del cuore e l’altro: per un’ora e un quarto devi mettere a segno sessanta colpi nel centro del bersaglio, che è largo mezzo millimetro. Se sei leggermente sotto pressione e il battito cardiaco aumenta, vedi proprio la carabina che si muove a mo’ di pulsazione”.

Anche alle gare, il primo avversario è sempre se stessi: “al termine della prestazione ti viene assegnato un punteggio, ma finché non esce la classifica non sai come sono andati gli altri. Solo alla fine c’è il confronto. Mentre gareggi devi solo concentrarti per dare il meglio di te. Se poi alla fine qualcun altro è stato più bravo, non significa necessariamente che tu abbia fatto schifo”.

Ecco perché ogni risultato andrebbe sempre interpretato anche alla luce dell’atteggiamento dimostrato durante la competizione: “Se alla gara più difficile della tua vita non fai il tuo miglior punteggio, ma sei riuscito a rimanere concentrato nonostante l’ansia e l’adrenalina, da sportivo non puoi che considerarlo un risultato”, commenta. Ogni esperienza fa scuola per la successiva. Un po’ come questi CNU, che “mi hanno aiutato a capire cosa potevo correggere e aiutato a rendere molto meglio nel torneo successivo”. conclude.

Alla fine dei giochi, però, resti un numero di fianco a un nome. Un po’ la stessa sensazione che tanti studenti provano al termine di un esame: la delusione per un voto che non sentono rispecchiare la propria preparazione, il retropensiero di non essere bravi abbastanza per il percorso che hanno scelto. Forse, allora, l’unico modo per evitare di lasciarsi definire dal risultato è andare fieri del proprio percorso. “Non vado mai agli esami se non penso di essere preparata da 30, ma non ho mai rifiutato un voto”, racconta Veronica, che è al terzo anno di Filosofia alla Federico II.

“L’importante per me è essere a posto con la mia coscienza, il che non vuol dire accontentarsi di conseguire risultati mediocri, ma imparare ad affrontare le situazioni che possono essere gestite con un’attenta preparazione e farsi una ragione rispetto a quelle che sono totalmente fuori dal nostro controllo”, precisa. Per lei filosofia e tiro a segno sono due facce della stessa medaglia: “prendere in mano la carabina per me è l’equivalente di mettere una bambina a disegnare in un angolo”, commenta.

Un momento da trascorrere da sola con se stessa, immersa nella riflessione e nella concentrazione, ad affrontare le proprie paure e i propri pensieri, esattamente come quando si prende in mano un libro di filosofia. Perciò, a prescindere da quale sarà la strada che alla fine sceglierà, promette che non abbandonerà mai l’altra.

“Anche se ogni tanto ho paura per il futuro, ho scelto di fare nella vita quello che mi piace in tutto e per tutto – afferma – Il mio sogno è entrare nelle Fiamme Oro, ma anche se riuscissi a fare dello sport il mio lavoro, non smetterei mai di studiare la filosofia: ho una passione troppo grande”.
Giulia Cioffi

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Ateneapoli – n.18 – 2025 – Pagina 51

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