“E’ mancato il dibattito sulle modifiche allo Statuto. E’ stato discusso tra poche persone, prima nella Commissione, poi in Senato Accademico. E’ il metodo, prima ancora che il merito, a lasciarmi fortemente perplesso. Tutto si è svolto al vertice. Si è persa ancora una volta l’occasione di un confronto serio, che aiutasse a capire dove questo ateneo vuole andare. Peccato”.
Il prof. Sergio Bertolissi, uno dei docenti di maggiore esperienza dell’ateneo, esponente dell’area orientalista, che raggruppa i professori i quali insegnano appunto lingue, storie e letterature dei paesi orientali – dall’est europeo all’Asia – esprime una valutazione fortemente negativa sul nuovo statuto e sui processi che ne hanno determinato la redazione.
Cosa non le piace?
“Il metodo, come detto, e pure il merito. Le aree disciplinari individuate per l’elezione dei rappresentanti in Senato Accademico non rispettano gli equilibri e le peculiarità dell’ateneo. Prevalgono le aree occidentali e il tutto avviene quasi sotto traccia, come se si discutesse di problemi minori. Si poteva cogliere l’occasione del nuovo Statuto per lanciare una Conferenza di Ateneo. Non solo non lo si è fatto, ma ci ritroviamo adesso con questo statuto frutto di una discussione ristretta a pochi intimi. Allo stesso modo, quando si decise di cambiare il nome dell’università, mancò il coinvolgimento di tutti i settori dell’ateneo”.
Ci sarà qualcosa di positivo, nel nuovo documento, oppure è tutto da buttare?
“L’estensione dell’elettorato per il rettore ai ricercatori certamente è apprezzabile. Il prolungamento di un anno del mandato del rettore è un tema sul quale non sono pregiudizialmente contrario, si poteva affrontare e valutare. Peraltro, avrei visto bene anche una discussione seria sul ruolo del rappresentante degli studenti in Senato, piuttosto mortificato nel precedente come nel nuovo Statuto”.
Professore, lei è stato uno dei grandi elettori di Adriano Rossi, due anni fa, quando quest’ultimo contese al professore Ciriello la poltrona di rettore dell’ateneo. Espresse all’epoca forti preoccupazioni circa il pericolo che l’ateneo perdesse sempre di più la sua originaria vocazione. Ci fu chi vide nelle sue parole l’allarme degli orientalisti, di fronte ad una università che stava barattando la sua identità con l’aumento degli iscritti. A due anni di distanza ha cambiato idea?
“In questa università gli ultimi tre rettori sono stati tutti di aree diverse da quella orientalista. Il risultato non mi pare brillante: l’Orientale è agli ultimi posti tra gli atenei italiani. Lo scivolamento verso il basso, tra l’altro, coincide con una fase storica nella quale, invece, potenzialmente la nostra università avrebbe potuto e dovuto mettere al servizio della società i suoi saperi specifici. Il tema del confronto culturale, economico, religioso con l’Islam, con la Cina, con l’Oriente è oggi di grande attualità e questo avrebbe potuto offrire l’opportunità del decollo dell’ateneo. Non c’è stato. Abbiamo una facoltà come Studi Islamici che continua ad avere pochissimi studenti, pur avendo docenti di qualità eccelsa ed indiscussa. Secondo me si sarebbe potuto e dovuto, in questi anni, insistere maggiormente sulle peculiarità dell’ateneo, caratterizzarlo meglio per le sue specificità, così che, anche all’esterno, fosse immediatamente riconoscibile il grande patrimonio culturale, di saperi e di competenze dell’ex Collegio dei Cinesi. Così non è stato e le classifiche nazionali fotografano la difficile situazione dell’ateneo”.
Il prof. Sergio Bertolissi, uno dei docenti di maggiore esperienza dell’ateneo, esponente dell’area orientalista, che raggruppa i professori i quali insegnano appunto lingue, storie e letterature dei paesi orientali – dall’est europeo all’Asia – esprime una valutazione fortemente negativa sul nuovo statuto e sui processi che ne hanno determinato la redazione.
Cosa non le piace?
“Il metodo, come detto, e pure il merito. Le aree disciplinari individuate per l’elezione dei rappresentanti in Senato Accademico non rispettano gli equilibri e le peculiarità dell’ateneo. Prevalgono le aree occidentali e il tutto avviene quasi sotto traccia, come se si discutesse di problemi minori. Si poteva cogliere l’occasione del nuovo Statuto per lanciare una Conferenza di Ateneo. Non solo non lo si è fatto, ma ci ritroviamo adesso con questo statuto frutto di una discussione ristretta a pochi intimi. Allo stesso modo, quando si decise di cambiare il nome dell’università, mancò il coinvolgimento di tutti i settori dell’ateneo”.
Ci sarà qualcosa di positivo, nel nuovo documento, oppure è tutto da buttare?
“L’estensione dell’elettorato per il rettore ai ricercatori certamente è apprezzabile. Il prolungamento di un anno del mandato del rettore è un tema sul quale non sono pregiudizialmente contrario, si poteva affrontare e valutare. Peraltro, avrei visto bene anche una discussione seria sul ruolo del rappresentante degli studenti in Senato, piuttosto mortificato nel precedente come nel nuovo Statuto”.
Professore, lei è stato uno dei grandi elettori di Adriano Rossi, due anni fa, quando quest’ultimo contese al professore Ciriello la poltrona di rettore dell’ateneo. Espresse all’epoca forti preoccupazioni circa il pericolo che l’ateneo perdesse sempre di più la sua originaria vocazione. Ci fu chi vide nelle sue parole l’allarme degli orientalisti, di fronte ad una università che stava barattando la sua identità con l’aumento degli iscritti. A due anni di distanza ha cambiato idea?
“In questa università gli ultimi tre rettori sono stati tutti di aree diverse da quella orientalista. Il risultato non mi pare brillante: l’Orientale è agli ultimi posti tra gli atenei italiani. Lo scivolamento verso il basso, tra l’altro, coincide con una fase storica nella quale, invece, potenzialmente la nostra università avrebbe potuto e dovuto mettere al servizio della società i suoi saperi specifici. Il tema del confronto culturale, economico, religioso con l’Islam, con la Cina, con l’Oriente è oggi di grande attualità e questo avrebbe potuto offrire l’opportunità del decollo dell’ateneo. Non c’è stato. Abbiamo una facoltà come Studi Islamici che continua ad avere pochissimi studenti, pur avendo docenti di qualità eccelsa ed indiscussa. Secondo me si sarebbe potuto e dovuto, in questi anni, insistere maggiormente sulle peculiarità dell’ateneo, caratterizzarlo meglio per le sue specificità, così che, anche all’esterno, fosse immediatamente riconoscibile il grande patrimonio culturale, di saperi e di competenze dell’ex Collegio dei Cinesi. Così non è stato e le classifiche nazionali fotografano la difficile situazione dell’ateneo”.







