Riciclare e riutilizzare tutti i materiali possibili; adoperare i rifiuti organici puliti per produrre compost da utilizzare in agricoltura; ridurre sempre più, progressivamente, la parte di rifiuti inerti non riciclabili. Ma soprattutto cambiare a monte le abitudini della nostra società, abituata ad un enorme spreco di imballaggi usa e getta, per ridurre i rifiuti all’origine, intervenendo sulla progettazione industriale dei prodotti, e per arrivare ad una condizione in cui gli oggetti da eliminare saranno sempre di meno, a favore di quelli recuperabili. E’ la teoria dei Rifiuti Zero (“Waste Not”), elaborata dal prof. Paul Connet, docente di Chimica ambientale e tossicologica alla St. Lawrence University a Canton di New York , che da più di 15 anni studia lo smaltimento dei rifiuti, dimostrando i maggiori vantaggi, in termini sia economici che ambientali, dei sistemi basati sul riciclaggio in opposizione a quelli che utilizzano discariche ed inceneritori.
Il prof. Connet ha presentato la sua teoria alla Federico II il 4 febbraio nell’aula Pessina, in un incontro promosso dalla Rete Campana Salute e Ambiente. “Viviamo in questo pianeta come se ne avessimo un altro su cui trasferirci- ha esordito il professore- Non è più pensabile una società usa e getta su un pianeta finito”. Secondo Connet andrebbe invertito quel processo continuo, iniziato con la Rivoluzione Industriale, che va dall’estrazione delle materie alla produzione, da questa al consumo e poi alla produzione dei rifiuti. “Con l’incenerimento si è cercato di chiudere il circolo, trasformando i rifiuti in nuova energia tramite la combustione; ma la svolta reale è intervenire sulla produzione degli oggetti, convertendoli da rifiuti in nuovi oggetti di consumo”.
Buona parte della teoria di Connet è volta a dimostrare la poca efficienza, economica oltre che ambientale, degli inceneritori, che tutti i paesi più evoluti si avviano ad abbandonare. Dal punto di vista energetico, spiega, “i termovalorizzatori non producono, ma sprecano energia: adottando la combinazione di riuso, riciclaggio e compostaggio, si salva 3-4 volte più energia di quella prodotta da un inceneritore”. Per quanto riguarda i costi, “la maggior parte dei fondi investiti per gli inceneritori va nella costruzione di complicati macchinari, con poca ricaduta occupazionale. L’inceneritore di Brescia è costato 300 milioni di euro ma ha dato origine soltanto a 80 posti di lavoro. Il riciclaggio e il compostaggio implicano invece un ampio coinvolgimento delle comunità, producendo a parità di costo almeno 2.000 posti di lavoro”. Poi c’è la questione più delicata, quella dell’impatto sulla salute dei cittadini e sull’ambiente. “Le ceneri tossiche prodotte con la combustione – continua il prof. Connet- per il 90% si depositano, ma per il restante 10% rimangono volatili: una questione grave e non regolamentata, nonostante i rischi dimostrati. Queste nanoparticelle volatili sono molto più dannose di quelle prodotte dal traffico e dalle industrie, perché derivano dalla combustione combinata di diversi materiali dannosi, e non vengono trattenute da filtri; restano in sospensione nell’aria a lungo, e una volta penetrati nel corpo umano raggiungono tutti i tipi di tessuti, provocando malattie respiratorie, allergiche, cancro”.
Ma questo quadro nero può essere invertito. Negli Usa e in diversi paesi europei già non si impiantano inceneritori da anni, e alcune industrie attivano circoli virtuosi di recupero dei materiali: come le aziende di birra in Canada o un’industria di stampanti in Olanda. E anche l’Italia è piena di piccoli e medi comuni dove la raccolta differenziata arriva a più del 70%; persino in Campania. “A Napoli sarebbe fondamentale riuscire ad attivare soprattutto gli impianti di compostaggio in provincia, per convertire i rifiuti organici in compost. E impiantare invece in città uno stabilimento per i materiali riciclabili. Condizione necessaria per questi processi però è la raccolta differenziata porta a porta”. Ma è anche fondamentale il coinvolgimento della comunità accademica locale, docenti e ricercatori: “abbiamo bisogno della creatività italiana”, afferma Connett. “I rifiuti sono visti spesso come un argomento non degno di essere affrontato da grandi studiosi. Ma chiunque si occupi di sostenibilità ambientale non può non occuparsi di come vengono smaltiti i rifiuti che produciamo”. Né si può prescindere dalla responsabilità politica: “il mio piano non è a prova di corruzione- specifica Connett- Se la camorra mantiene il suo potere crolla tutto; è necessario il monitoraggio continuo dei cittadini”.
All’incontro ha partecipato anche il prof. Carlo Amirante, che da giurista si è detto pronto a promuovere una legge di iniziativa popolare da proporre, raccogliendo firme, alla Comunità Europea. “A Napoli l’individualismo rimane forte, ma le teorie di Connet non sono utopistiche, anzi molto chiare – osserva il prof. Amirante- L’unico elemento poco chiaro è come gestire questa fase attuale di interregno, fino all’avvio di un nuovo sistema”. Prossimo obiettivo, annunciano gli organizzatori della Rete Salute e Ambiente, sarà un incontro tra i professori Paul Connet e Paul Brunner, esperto chiamato a metà gennaio dal Federico II per sostenere la possibilità di bruciare senza rischi le ecoballe non a norma. Anche il mondo accademico dovrà schierarsi nella guerra dei rifiuti.
Viola Sarnelli
Il prof. Connet ha presentato la sua teoria alla Federico II il 4 febbraio nell’aula Pessina, in un incontro promosso dalla Rete Campana Salute e Ambiente. “Viviamo in questo pianeta come se ne avessimo un altro su cui trasferirci- ha esordito il professore- Non è più pensabile una società usa e getta su un pianeta finito”. Secondo Connet andrebbe invertito quel processo continuo, iniziato con la Rivoluzione Industriale, che va dall’estrazione delle materie alla produzione, da questa al consumo e poi alla produzione dei rifiuti. “Con l’incenerimento si è cercato di chiudere il circolo, trasformando i rifiuti in nuova energia tramite la combustione; ma la svolta reale è intervenire sulla produzione degli oggetti, convertendoli da rifiuti in nuovi oggetti di consumo”.
Buona parte della teoria di Connet è volta a dimostrare la poca efficienza, economica oltre che ambientale, degli inceneritori, che tutti i paesi più evoluti si avviano ad abbandonare. Dal punto di vista energetico, spiega, “i termovalorizzatori non producono, ma sprecano energia: adottando la combinazione di riuso, riciclaggio e compostaggio, si salva 3-4 volte più energia di quella prodotta da un inceneritore”. Per quanto riguarda i costi, “la maggior parte dei fondi investiti per gli inceneritori va nella costruzione di complicati macchinari, con poca ricaduta occupazionale. L’inceneritore di Brescia è costato 300 milioni di euro ma ha dato origine soltanto a 80 posti di lavoro. Il riciclaggio e il compostaggio implicano invece un ampio coinvolgimento delle comunità, producendo a parità di costo almeno 2.000 posti di lavoro”. Poi c’è la questione più delicata, quella dell’impatto sulla salute dei cittadini e sull’ambiente. “Le ceneri tossiche prodotte con la combustione – continua il prof. Connet- per il 90% si depositano, ma per il restante 10% rimangono volatili: una questione grave e non regolamentata, nonostante i rischi dimostrati. Queste nanoparticelle volatili sono molto più dannose di quelle prodotte dal traffico e dalle industrie, perché derivano dalla combustione combinata di diversi materiali dannosi, e non vengono trattenute da filtri; restano in sospensione nell’aria a lungo, e una volta penetrati nel corpo umano raggiungono tutti i tipi di tessuti, provocando malattie respiratorie, allergiche, cancro”.
Ma questo quadro nero può essere invertito. Negli Usa e in diversi paesi europei già non si impiantano inceneritori da anni, e alcune industrie attivano circoli virtuosi di recupero dei materiali: come le aziende di birra in Canada o un’industria di stampanti in Olanda. E anche l’Italia è piena di piccoli e medi comuni dove la raccolta differenziata arriva a più del 70%; persino in Campania. “A Napoli sarebbe fondamentale riuscire ad attivare soprattutto gli impianti di compostaggio in provincia, per convertire i rifiuti organici in compost. E impiantare invece in città uno stabilimento per i materiali riciclabili. Condizione necessaria per questi processi però è la raccolta differenziata porta a porta”. Ma è anche fondamentale il coinvolgimento della comunità accademica locale, docenti e ricercatori: “abbiamo bisogno della creatività italiana”, afferma Connett. “I rifiuti sono visti spesso come un argomento non degno di essere affrontato da grandi studiosi. Ma chiunque si occupi di sostenibilità ambientale non può non occuparsi di come vengono smaltiti i rifiuti che produciamo”. Né si può prescindere dalla responsabilità politica: “il mio piano non è a prova di corruzione- specifica Connett- Se la camorra mantiene il suo potere crolla tutto; è necessario il monitoraggio continuo dei cittadini”.
All’incontro ha partecipato anche il prof. Carlo Amirante, che da giurista si è detto pronto a promuovere una legge di iniziativa popolare da proporre, raccogliendo firme, alla Comunità Europea. “A Napoli l’individualismo rimane forte, ma le teorie di Connet non sono utopistiche, anzi molto chiare – osserva il prof. Amirante- L’unico elemento poco chiaro è come gestire questa fase attuale di interregno, fino all’avvio di un nuovo sistema”. Prossimo obiettivo, annunciano gli organizzatori della Rete Salute e Ambiente, sarà un incontro tra i professori Paul Connet e Paul Brunner, esperto chiamato a metà gennaio dal Federico II per sostenere la possibilità di bruciare senza rischi le ecoballe non a norma. Anche il mondo accademico dovrà schierarsi nella guerra dei rifiuti.
Viola Sarnelli