“Laboratorio di Fisiologia, perché no?”

Laboratorio di Fisiologia, perché no? Lo chiede ai suoi colleghi Antonio D’Errico, 25 anni, iscritto al secondo di Biotecnologie Mediche. Nonostante i numeri corposi di aspiranti biotecnologi impegnati in attività di tirocinio, sembra soffrire di carenza di cervelli il laboratorio che Antonio frequenta “da gennaio 2016”, quando ancora era alla Triennale, agli ordini della prof.ssa Mariarosaria Santillo. Una possibile causa: manca una comunicazione sul sito istituzionale che consenta di conoscere in tempo reale i singoli laboratori e i posti disponibili. Al momento, notizie in merito sono affidate o all’iniziativa personale di chi va a bussare porta a porta, finché non gli sarà aperto, oppure ai social. Ha scelto la strada dell’autonomia Antonio, che all’undicesimo piano della Torre biologica, tutti i giorni, da tre anni, si occupa di SLA, coltivando una passione per l’Anatomia e per la Fisiologia che non si è spenta di fronte al mancato superamento del test di Medicina. 
Antonio, al laboratorio di Fisiologia c’è un SOS dalle risorse umane?
“Il lavoro da fare è tanto, ma il personale scarseggia. Ogni anno tanti studenti sono impegnati con il tirocinio, eppure al momento da me siamo soltanto in tre”.
Perché?
“Credo sia un problema di comunicazione. In qualità di rappresentante di Biotecnologie Mediche, l’intenzione è creare un network tra docenti e studenti che aiuti i ragazzi a conoscere quali siano i laboratori liberi e quanti posti offrano. Purtroppo nemmeno noi rappresentanti possiamo avere l’accesso al sito internet del Corso di Laurea per inserire notizie. Quindi, informazioni in merito si possono ottenere solo su iniziativa personale, contattando il professore. Cerchiamo comunque di organizzarci tra noi, ognuno parlando con il proprio responsabile per capire se ci sono posti e informando gli altri con un post sui social. Però sul sito del CdL sarebbe diverso”.
Perché scegliere il laboratorio di Fisiologia?
“Ogni laboratorio ha una propria difficoltà e un approccio specifico. Nel mio caso c’è una flessibilità che consente di conciliare bene le attività pratiche con gli altri impegni. L’importante è mostrare la giusta motivazione”.
Cosa ti ha portato lì?
“Dopo il diploma avevo intenzione di iscrivermi a Medicina e Chirurgia, ma non sono entrato. Ho conservato comunque un grande interesse per argomenti come Anatomia e Fisiologia. Durante la Triennale in Biotecnologie per la salute ho conosciuto il prof. Antonio Colantuoni che mi ha colpito per le sue competenze. Gli chiesi la disponibilità presso il suo laboratorio. Lui si occupava principalmente di laser doppler. A me interessavano di più esperimenti su linee cellulari o su topi. In tal senso, la disponibilità venne da un suo collega, il prof. Paolo Mondola, mio relatore alla Triennale. Andai a colloquio da lui per farmi spiegare il progetto sulla SLA. Ho deciso di cogliere l’occasione e di dedicarmi a questa nuova avventura”.
Qual è il tuo studio?
“Il mio lavoro è incentrato sull’attività di un enzima”.
Come sei cresciuto durante questo triennio?
“Un laboratorio ti deve formare all’attività di ricerca, rendendoti in grado, dopo un po’ di tempo, di ragionare e di ideare un’azione. C’è una gerarchia di ruoli da rispettare, ma è importante saper gestire gli esperimenti e le situazioni in autonomia. Se il progetto migliora, il lavoro può continuare”. 
Studi la SLA da tre anni. Questa malattia rara sarà mai curabile a occhi chiusi?
“Credo che in futuro sia possibile. Al momento c’è tanto da fare e ancora troppe poche informazioni. Ogni esperimento può cambiare da caso a caso”.
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