Brunella Franco, da Telethon a Medicina

Telethon e la Federico II. Strade diverse che trovano un denominatore comune nell’esperienza della prof.ssa Brunella Franco, classe ’62 e docente di Genetica Medica a Medicina. La sua storia inizia su un aereo, quello che, alla fine del 1994, è partito dagli Stati Uniti d’America, portandola via dall’Institute for Molecular Genetics di Houston, in Texas. Era forte il richiamo dell’Italia e di Napoli. Atterraggio a Capodichino. Tappa successiva: via Pietro Castellino, pronta ad ospitare il neonato Istituto Telethon di Genetica e Medicina. Da allora, e fino a oggi, la docente è coordinatrice dell’unità di ricerca, e non solo: “sono uno dei fondatori del TIGEM. Lavorare per la fondazione Telethon significa essere certi che si è giudicati da esperti internazionali liberi da pressioni di qualsiasi tipo”. Avendo, inoltre, “la possibilità di vivere un ambiente all’avanguardia su tutti i fronti e dove si sviluppa veramente la ricerca”. C’è la firma della celebre charity italiana anche nei suoi esordi da docente universitaria, datati 2005: “Telethon finanzia diverse ricerche. Tra gli investimenti, ci fu quello per la creazione di posti per docenti universitari, seguito poi da concorso. Vi partecipai ed eccomi qui. Devo tutto alla Fondazione”. Ha avuto così inizio “la spola” fisica e mentale tra Pozzuoli – nel frattempo il TIGEM si è trasferito nell’ex sede dell’Olivetti – e il Policlinico: “le due attività si intrecciano. Qualche volta i miei collaboratori mi raggiungono all’università. Quando faccio lezione, mi capita spesso di parlare delle mie ricerche e vedo i ragazzi sempre molto coinvolti”. Il confronto quotidiano è non solo con i futuri medici, ma pure con studenti di Infermieristica pediatrica, e di tre Tecniche: Audiometriche, Audioprotesiche e di Neurofisiopatologia: “la materia naturalmente è approfondita in maniera diversa nei vari Corsi di Laurea. Con i ragazzi ho un rapporto stretto. Ho seguito una studentessa che ha pubblicato diversi lavori scientifici, i quali le hanno permesso di essere competitiva in diversi concorsi”. Un limite per il suo corso, almeno a Medicina: “è previsto al secondo anno, quindi gli studenti tendono a sottovalutarne l’importanza professionale. Tuttavia, l’attività in laboratorio resta molto bella e stimolante perché fa capire cosa è capace di fare questa disciplina, a tutti gli effetti una branca che permea tutte le altre”. A chi siede dall’altra parte della cattedra e vorrebbe seguire le sue orme non può mancare “molta curiosità. La Genetica richiede tanta capacità di ragionare e di capire i meccanismi che sono alla base di tutto”. E permette di togliersi delle soddisfazioni. Il suo curriculum ne cita una in particolare. Risale al 2006, anno in cui viene proclamata vincitrice del premio della Società Italiana di Pediatria per il miglior lavoro di ricerca di base: “è una delle ricerche alle quali sono più affezionata. Si tratta di uno studio su una malattia genetica rara pubblicata su una rivista molto prestigiosa, il Nature Genetics”. Dopo tanta esperienza, può dire che il bello della ricerca sta nell’essere “un lavoro che adoro e che decido io, spinta dalla mia curiosità scientifica”. Il bello dell’insegnamento, invece, “è il rapporto con i giovani. Trasmettere quello che si sa. Poi, quando si trova lo studente brillante, diventa tutto più stimolante”. Ai ricercatori del domani, una premessa: “in Campania ci sono ottime menti, quello che manca sono i soldi. Io sono finanziata da chiunque, tranne che dallo Stato italiano. Per queste ragioni, ho formato bravi ricercatori ai quali non ho potuto dire di restare. Qualcosa, comunque, sta cambiando anche qui negli ultimi anni”. L’estero, però, resta una meta fondamentale non solo per sopperire alle mancanze di casa propria: “per un periodo è importante essere esposti a un ambiente internazionale”. Chissà che non partano presto altri aerei, magari con destinazione Pozzuoli: “i più bravi ci arrivano al TIGEM, perché sanno dove si fa buona ricerca”. 
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