I ricercatori della Facoltà di Sociologia affidano a un documento scritto il loro dissenso nei confronti della politica del governo in materia di università e ricerca. Presentato durante il Consiglio di Facoltà del 10 marzo, il testo annuncia il ritiro della disponibilità dei ricercatori all’assegnazione del carico didattico per l’anno accademico 2009/10 come forma di protesta contro la riforma Gelmini, che prevede incisivi tagli alla ricerca. “Da quando è stata preparata la riforma fino ad oggi, non abbiamo mai smesso di discutere al nostro interno”, dice il prof. Lello Savonardo. “Questo documento, che ha un valore al tempo stesso simbolico e sostanziale, costituisce un appello a tutti gli organi competenti affinché sia posta sul tavolo la questione dei ricercatori, perché sia fatto il possibile per ridurre al minimo i tagli e per consentire alla ricerca di svilupparsi seriamente. Lo diffonderemo tra gli atenei e lo presenteremo alle istituzioni competenti sia locali che nazionali. In particolare lo invieremo al Presidente Napolitano, che ha dimostrato, anche attraverso dichiarazioni recenti, una grande sensibilità per il tema del futuro dell’Università. Speriamo che voglia essere al nostro fianco nel portare avanti le ragioni di chi pensa che l’Università sia centrale nello sviluppo del Paese. Invece di tagliare, si dovrebbe incentivare”.
I tagli previsti dalla Gelmini colpiranno duramente la gestione della ricerca negli atenei italiani. Il testo sottoscritto dai ricercatori di Sociologia (quasi al completo, altre adesioni sono in itinere) parte proprio dalla motivazione posta a giustificazione della riduzione di risorse: “La legge Gelmini sull’Università è stata più volte presentata come una riforma volta ad eliminare gli sprechi e gli arbitrii che caratterizzerebbero la gestione dell’accademia italiana. Tuttavia, contrariamente al carattere che dovrebbe avere una riforma, nella suddetta legge non sono previste misure selettive e/o qualitative e i tagli previsti non discriminano tra situazioni che si presentano molto diverse di caso in caso”. Situazioni che, però, risultano solitamente accomunate dal fatto di rappresentare un correttivo allo sproporzionato rapporto studenti-docenti che si riscontra nei nostri atenei. Moltissimi studenti per pochi docenti. Grazie alla legge Moratti del 2005, che trasforma il ricercatore in professore aggregato qualora questi accetti un incarico di insegnamento, è stato possibile inserire i ricercatori nelle statistiche ottenendo dati che indicano un rapporto studenti-docenti più accettabile, evitando, sia formalmente che sostanzialmente, il collasso di Facoltà sovraffollate. Il titolo di professore aggregato è onorifico: non comporta aumento di stipendio, non costituisce titolo di merito, non viene preso in considerazione in sede di valutazione triennale. Dunque, tanti corsi universitari possono esistere e funzionare grazie all’apporto didattico dei ricercatori, la cui figura professionale però “non prevede in alcun modo lo svolgimento dell’attività didattica, come emerge anche dalla recente legge Gelmini”. Quello che avviene nella pratica viene esemplificato con riferimento alla Facoltà di Sociologia, dati alla mano. “Nell’anno accademico 2007/08, 17 ricercatori hanno tenuto, complessivamente, un totale di 1.632 ore di lezione, pari a 204 CFU (38% dell’offerta formativa del personale in ruolo, 28% dell’offerta totale) contro le 2.616 ore (327 CFU) dei 27 professori ordinari e associati (62% dell’offerta formativa interna, 46% dell’offerta totale). Dai dati si evince che i ricercatori svolgono in media 96 ore di lezione (12 CFU), praticamente lo stesso monte ore dei professori, con 97 ore a testa. Solo che per loro quest’attività è obbligatoria, quindi riconosciuta e anche retribuita”. Le previsioni sono pessimistiche: “La drastica riduzione del turn over, con la prevista sostituzione dei professori che vanno in pensione con nuovi ricercatori, autorizza a pensare che la già drammatica situazione attuale diventerà catastrofica. La didattica sarà in futuro sempre più dipendente dai ricercatori – che vedranno formalizzare sempre più questa loro attuale condizione di professore informale/ombra – e il tempo e le energie a disposizione della ricerca si ridurranno ulteriormente”. Il documento si conclude con il sofferto annuncio del ritiro di disponibilità all’assegnazione di carico didattico per il 2009/10 e della rinuncia ad accettare il titolo di Professore aggregato, “per denunciare ed interrompere la scandalosa emergenza che si nasconde dietro l’apparente normalità della gestione ordinaria”.
Sara Pepe
I tagli previsti dalla Gelmini colpiranno duramente la gestione della ricerca negli atenei italiani. Il testo sottoscritto dai ricercatori di Sociologia (quasi al completo, altre adesioni sono in itinere) parte proprio dalla motivazione posta a giustificazione della riduzione di risorse: “La legge Gelmini sull’Università è stata più volte presentata come una riforma volta ad eliminare gli sprechi e gli arbitrii che caratterizzerebbero la gestione dell’accademia italiana. Tuttavia, contrariamente al carattere che dovrebbe avere una riforma, nella suddetta legge non sono previste misure selettive e/o qualitative e i tagli previsti non discriminano tra situazioni che si presentano molto diverse di caso in caso”. Situazioni che, però, risultano solitamente accomunate dal fatto di rappresentare un correttivo allo sproporzionato rapporto studenti-docenti che si riscontra nei nostri atenei. Moltissimi studenti per pochi docenti. Grazie alla legge Moratti del 2005, che trasforma il ricercatore in professore aggregato qualora questi accetti un incarico di insegnamento, è stato possibile inserire i ricercatori nelle statistiche ottenendo dati che indicano un rapporto studenti-docenti più accettabile, evitando, sia formalmente che sostanzialmente, il collasso di Facoltà sovraffollate. Il titolo di professore aggregato è onorifico: non comporta aumento di stipendio, non costituisce titolo di merito, non viene preso in considerazione in sede di valutazione triennale. Dunque, tanti corsi universitari possono esistere e funzionare grazie all’apporto didattico dei ricercatori, la cui figura professionale però “non prevede in alcun modo lo svolgimento dell’attività didattica, come emerge anche dalla recente legge Gelmini”. Quello che avviene nella pratica viene esemplificato con riferimento alla Facoltà di Sociologia, dati alla mano. “Nell’anno accademico 2007/08, 17 ricercatori hanno tenuto, complessivamente, un totale di 1.632 ore di lezione, pari a 204 CFU (38% dell’offerta formativa del personale in ruolo, 28% dell’offerta totale) contro le 2.616 ore (327 CFU) dei 27 professori ordinari e associati (62% dell’offerta formativa interna, 46% dell’offerta totale). Dai dati si evince che i ricercatori svolgono in media 96 ore di lezione (12 CFU), praticamente lo stesso monte ore dei professori, con 97 ore a testa. Solo che per loro quest’attività è obbligatoria, quindi riconosciuta e anche retribuita”. Le previsioni sono pessimistiche: “La drastica riduzione del turn over, con la prevista sostituzione dei professori che vanno in pensione con nuovi ricercatori, autorizza a pensare che la già drammatica situazione attuale diventerà catastrofica. La didattica sarà in futuro sempre più dipendente dai ricercatori – che vedranno formalizzare sempre più questa loro attuale condizione di professore informale/ombra – e il tempo e le energie a disposizione della ricerca si ridurranno ulteriormente”. Il documento si conclude con il sofferto annuncio del ritiro di disponibilità all’assegnazione di carico didattico per il 2009/10 e della rinuncia ad accettare il titolo di Professore aggregato, “per denunciare ed interrompere la scandalosa emergenza che si nasconde dietro l’apparente normalità della gestione ordinaria”.
Sara Pepe