La storia dell’economista Monica Paiella

I fondi sempre più esigui, il precariato incombente, una burocrazia asfissiante rendono sempre più difficile, quasi folle, fare ricerca nel nostro Paese. Ma, nonostante la incessante fuga di cervelli, c’è chi ha deciso di tornare e di scommettere sull’Italia. È questo il caso della prof.ssa Monica Paiella che, al Dipartimento di Studi Aziendali e Quantitativi dell’Università Parthenope, porta avanti, ormai da dieci anni, ricerche economiche di respiro  internazionale ed intesse stretti e proficui rapporti con i più importanti Atenei europei.
Il suo percorso formativo si è svolto prevalentemente all’estero: “prima negli Stati Uniti, presso la New York University, ove ho conseguito un Bachelor of Science in Economics, e poi in Inghilterra, presso l’University College di Londra, dove ho conseguito prima un Master e poi un PhD in Economia. Tra l’esperienza americana e quella inglese ho trascorso un periodo all’Università di Pavia. Dalla fine dei miei studi ad oggi, ho vissuto periodi di ricerca e insegnamento alla Columbia University, al Goethe Universitat di Francoforte e alla Frankfurt School of Finance”, racconta.
Attualmente professore associato di Economia finanziaria e Economia delle Scelte di Portafoglio, spiega il suo rientro in Italia come una scelta di lavoro e di vita: “Sono tornata perché avevo vinto un concorso alla Banca d’Italia e dopo anni di attività di ricerca in ambiente universitario avevo voglia di provare a fare ricerca in un’istituzione. E la Banca d’Italia è un’istituzione prestigiosa con ottime risorse per la ricerca, sia in termini di personale qualificato che in termini di dati per fare ricerca. Tornare in Italia, dopo quasi 10 anni all’estero, poi mi faceva anche piacere”.
Ma cosa significa fare ricerca in Italia? Chi ha lavorato e studiato tanti anni all’estero come vive la realtà dei nostri Atenei? “All’estero, rispetto all’Italia, le università dispongono di molte più risorse e infrastrutture a disposizione di docenti e studenti. Gli Atenei dove sono stata fanno a gara per avere gli studenti e i ricercatori migliori e tra questi il merito è premiato, con borse di studio e possibilità di collaborazione a progetti prestigiosi per gli studenti, e stipendi più alti, maggiori fondi di ricerca e premi per i ricercatori. Questo rende ovviamente l’ambiente molto competitivo e per certi versi anche stressante”. Il quadro italiano, invece, va dipinto con altri toni: “Fare ricerca in Italia oggi può essere faticoso. I fondi dalle università sono scarsi. Il merito è poco riconosciuto e questo crea un problema di incentivi. Gli studenti bravi se ne vanno per mancanza di fondi e di prospettive. La mia impressione è che, con l’eccezione di poche isole felici, siano poche le università in grado di fornire un ambiente veramente stimolante per fare ricerca. C’è molto isolamento. La ricerca richiede fondi e interazione continua con gente brava, che faccia ricerca di buon livello. Non si può fare ricerca nel vuoto. L’esposizione a nuove idee e ai dibattiti è fondamentale”.
La realtà in cui lavora la prof.ssa Paiella, tra mille difficoltà, sembra rappresentare allora un’isola di eccellenza, anche grazie al network che la docente si è costruita nei suoi anni all’estero. Sono tanti, infatti, i progetti che la docente coordina o con cui collabora, in stretta interazione con importanti organismi finanziari internazionali. “La mia ricerca è prevalentemente nell’ambito dell’household finance e dell’economia finanziaria – spiega – Studio da un punto di vista teorico ed empirico le scelte di risparmio, di investimento e di indebitamento delle famiglie. Mi occupo di pensioni, di preferenze per il rischio, e effetti ricchezza sui consumi”. Più di recente, racconta, “ho cominciato ad occuparmi di disuguaglianza e in quest’ambito collaboro ad un progetto finanziato dalla Banca Centrale Europea su disuguaglianza e stabilità finanziaria. Si tratta di un progetto, partito un anno e mezzo fa con ricercatori della BCE, che adesso sta entrando nella seconda fase: si sta mettendo in piedi una grossa banca dati per studiare l’effetto della disuguaglianza in termini di ricchezza sulla stabilità finanziaria. Inoltre, sto lavorando ad un progetto su peer-to-peer lending (o social lending; ovvero, un sistema di prestiti personali erogati da privati ad altri privati su Internet) con ricercatori della Goethe Universitat di Francoforte”. Collaborazione anche ad un altro progetto che “utilizza big data (ovvero, data sets di grandi dimensioni, che vengono aggiornati in tempo quasi reale e che contengono dati da varie fonti) sponsorizzato e finanziato dalla Bundesbank e che vede coinvolti ricercatori di varie università tedesche e anche italiane. In quest’ambito, con questi dati, studio la dinamica dei prezzi degli immobili”. La docente ha, inoltre, collaborazioni attive con ricercatori di Stanford University, Michigan State University e del Munich Center for the Economics of Aging. Sottolinea: “Non ho, quindi, un gruppo di ricerca stabile, ma delle collaborazioni con persone di diverse istituzioni (universitarie e di policy) su progetti diversi”. Purtroppo, aggiunge, “Il coinvolgimento degli studenti e dei laureandi, con l’eccezione di pochissimi casi, è scarso. Il grosso problema degli studenti, in particolare in università medio-piccole, è che pochi rivolgono i loro interessi verso la ricerca perché si tratterebbe di dover affrontare molte frustrazioni e anni di precarietà”. La maggior parte dei bravi, così, preferisce guardare al mondo del lavoro o agli atenei stranieri. “Per mantenere qui i nostri studenti, dovremmo avere una ‘massa critica’ che spesso le università italiane non hanno”, conclude amaramente la prof.ssa Paiella. 
Valentina Orellana
- Advertisement -




Articoli Correlati