Diminuisce il numero delle matricole negli Atenei pubblici. In un anno è sceso in media del 5%. Il calo delle immatricolazioni si sente soprattutto al Centro e al Sud (dove è rispettivamente del 5,4 e 6,9%) A sostenerlo è Almalaurea che il 7 marzo a Roma, nella sede della Crui, ha presentato il XIII Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati. L’indagine ha coinvolto 400 mila laureati intervistati ad uno, a tre e a cinque anni dalla laurea.
Lo studio riporta che dal 2009 al 2010 il numero degli iscritti alle Facoltà scientifiche è aumentato dello 0,9%, mentre in tutte le altre si è registrato un decremento delle immatricolazioni: dello 0,3% in quelle umanistiche e dello 0,6% in quelle sociali. Stabili, invece, rimangono nelle Facoltà del settore sanitario grazie all’introduzione del numero programmato.
Nonostante i diplomati nel corso del 2010 siano aumentati dello 0,9%, diminuiscono progressivamente coloro che scelgono di proseguire gli studi (nel 2010 sono il 62% contro il 66% del 2009, il 65% del 2008 e il 68% dell’anno precedente). Meno studenti oggi significa meno laureati domani. La cosa fa riflettere perché il numero dei laureati in Italia è basso se paragonato a quello degli altri Paesi europei: costituiscono il 16% della popolazione di età compresa tra i 30 e i 34 anni, un livello molto lontano dal 40% che la Commissione Europea ha individuato come obiettivo strategico da raggiungere entro il 2020.
Inoltre, risultano poco appetibili per il mercato del lavoro interno. La loro preparazione è fuori discussione ed, infatti, l’89% dei responsabili delle risorse umane dichiara che i laureati assunti possedevano le competenze per svolgere le proprie mansioni. Tuttavia, le imprese italiane sono restie ad investire in forza lavoro e così l’autoimpiego e l’imprenditorialità diventano spesso le uniche alternative per immettersi sul mercato.
L’Italia si colloca al terzultimo posto fra i 28 paesi più avanzati dell’OECD per il finanziamento – pubblico e privato – all’istruzione universitaria e all’ultimo posto per quello destinato al settore della ricerca e sviluppo. Nel nostro paese la ripresa economica è ancora lontana e i tassi di disoccupazione giovanile hanno raggiunto quasi il 30% (dati Istat). Dalle interviste, la disoccupazione ad un anno dalla laurea risulta in aumento sia tra i giovani in possesso di una Laurea Triennale (è passata dal 15 al 16% rispetto all’anno precedente) sia tra chi vanta una Laurea Specialistica (salita dal 16 al 18%) o a ciclo unico (dal 14 al 16,5%).
L’incertezza sul futuro accentua lievemente gli squilibri tra nord e sud che si attestano al di sopra dei 10 punti percentuali: a cinque anni dalla laurea il tasso di occupazione è dell’87% al Nord e del 74% al Sud. Ma il divario si ridimensiona con il passare del tempo. Infatti, tra gli stessi laureati, intervistati nel 2005 ad un anno dalla laurea, gli occupati al Sud erano il 23% in meno di quelli del Nord.
La crisi penalizza le donne che hanno più difficoltà a collocarsi sul lavoro e percepiscono stipendi più bassi. Ad un anno dal titolo, tra i laureati Specialistici lavora il 59% degli uomini ed il 53 delle donne. E con il trascorrere del tempo, il divario di genere tende ad accentuarsi: dopo cinque anni, la distanza tra uomo e donna supera i 9 punti percentuali. Inoltre, gli uomini guadagnano più delle loro colleghe (dopo 5 anni circa il 30% in più delle donne).
Neppure per chi ha un’occupazione è tutto rosa e fiori. La probabilità di trovare un impiego stabile diminuisce per tutti, tranne che per alcune categorie di professionisti che hanno frequentato corsi a numero programmato: in primis medici, architetti e veterinari. Tra gli occupati, hanno un lavoro stabile il 46% dei laureati di primo livello e il 35% dei laureati magistrali. Tutti gli altri hanno contratti di lavoro atipico o, peggio, lavorano a nero. I laureati occupati senza contratto sono raddoppiati in un anno, raggiungendo il 7% (tra i laureati di primo livello il valore è passato da 3,8 a 6%, tra quelli a ciclo unico da 8 a 11%).
Se si considerano i laureati intervistati a 5 anni di distanza dalla laurea, si nota che i tassi di occupazione si sono contratti di quasi 6 punti percentuali. Il 71% degli occupati ha raggiunto una stabilità lavorativa ma le retribuzioni si sono ridotte nel corso di un lustro di quasi il 10%. Come se non bastasse, si sono assottigliate le buste paga: le retribuzioni dei laureati triennali e a ciclo unico sono in calo del 4%, quelle dei laureati della Specialistica del 5%.
La fuga dei cervelli è un fenomeno in crescita: i laureati della Specialistica che ad un anno dal titolo lavorano all’estero sono aumentati dal 3 al 4,5%. Tra di loro vi sono soprattutto ingegneri (29%), laureati in Lingue (16,5%), nei settori economico-statistico (16%) e politico-sociale (12%). Il 48% di loro ha un lavoro stabile e guadagna nettamente di più dei colleghi rimasti in Patria (1.568 euro invece di 1.050).
Manuela Pitterà
Lo studio riporta che dal 2009 al 2010 il numero degli iscritti alle Facoltà scientifiche è aumentato dello 0,9%, mentre in tutte le altre si è registrato un decremento delle immatricolazioni: dello 0,3% in quelle umanistiche e dello 0,6% in quelle sociali. Stabili, invece, rimangono nelle Facoltà del settore sanitario grazie all’introduzione del numero programmato.
Nonostante i diplomati nel corso del 2010 siano aumentati dello 0,9%, diminuiscono progressivamente coloro che scelgono di proseguire gli studi (nel 2010 sono il 62% contro il 66% del 2009, il 65% del 2008 e il 68% dell’anno precedente). Meno studenti oggi significa meno laureati domani. La cosa fa riflettere perché il numero dei laureati in Italia è basso se paragonato a quello degli altri Paesi europei: costituiscono il 16% della popolazione di età compresa tra i 30 e i 34 anni, un livello molto lontano dal 40% che la Commissione Europea ha individuato come obiettivo strategico da raggiungere entro il 2020.
Inoltre, risultano poco appetibili per il mercato del lavoro interno. La loro preparazione è fuori discussione ed, infatti, l’89% dei responsabili delle risorse umane dichiara che i laureati assunti possedevano le competenze per svolgere le proprie mansioni. Tuttavia, le imprese italiane sono restie ad investire in forza lavoro e così l’autoimpiego e l’imprenditorialità diventano spesso le uniche alternative per immettersi sul mercato.
L’Italia si colloca al terzultimo posto fra i 28 paesi più avanzati dell’OECD per il finanziamento – pubblico e privato – all’istruzione universitaria e all’ultimo posto per quello destinato al settore della ricerca e sviluppo. Nel nostro paese la ripresa economica è ancora lontana e i tassi di disoccupazione giovanile hanno raggiunto quasi il 30% (dati Istat). Dalle interviste, la disoccupazione ad un anno dalla laurea risulta in aumento sia tra i giovani in possesso di una Laurea Triennale (è passata dal 15 al 16% rispetto all’anno precedente) sia tra chi vanta una Laurea Specialistica (salita dal 16 al 18%) o a ciclo unico (dal 14 al 16,5%).
L’incertezza sul futuro accentua lievemente gli squilibri tra nord e sud che si attestano al di sopra dei 10 punti percentuali: a cinque anni dalla laurea il tasso di occupazione è dell’87% al Nord e del 74% al Sud. Ma il divario si ridimensiona con il passare del tempo. Infatti, tra gli stessi laureati, intervistati nel 2005 ad un anno dalla laurea, gli occupati al Sud erano il 23% in meno di quelli del Nord.
La crisi penalizza le donne che hanno più difficoltà a collocarsi sul lavoro e percepiscono stipendi più bassi. Ad un anno dal titolo, tra i laureati Specialistici lavora il 59% degli uomini ed il 53 delle donne. E con il trascorrere del tempo, il divario di genere tende ad accentuarsi: dopo cinque anni, la distanza tra uomo e donna supera i 9 punti percentuali. Inoltre, gli uomini guadagnano più delle loro colleghe (dopo 5 anni circa il 30% in più delle donne).
Neppure per chi ha un’occupazione è tutto rosa e fiori. La probabilità di trovare un impiego stabile diminuisce per tutti, tranne che per alcune categorie di professionisti che hanno frequentato corsi a numero programmato: in primis medici, architetti e veterinari. Tra gli occupati, hanno un lavoro stabile il 46% dei laureati di primo livello e il 35% dei laureati magistrali. Tutti gli altri hanno contratti di lavoro atipico o, peggio, lavorano a nero. I laureati occupati senza contratto sono raddoppiati in un anno, raggiungendo il 7% (tra i laureati di primo livello il valore è passato da 3,8 a 6%, tra quelli a ciclo unico da 8 a 11%).
Se si considerano i laureati intervistati a 5 anni di distanza dalla laurea, si nota che i tassi di occupazione si sono contratti di quasi 6 punti percentuali. Il 71% degli occupati ha raggiunto una stabilità lavorativa ma le retribuzioni si sono ridotte nel corso di un lustro di quasi il 10%. Come se non bastasse, si sono assottigliate le buste paga: le retribuzioni dei laureati triennali e a ciclo unico sono in calo del 4%, quelle dei laureati della Specialistica del 5%.
La fuga dei cervelli è un fenomeno in crescita: i laureati della Specialistica che ad un anno dal titolo lavorano all’estero sono aumentati dal 3 al 4,5%. Tra di loro vi sono soprattutto ingegneri (29%), laureati in Lingue (16,5%), nei settori economico-statistico (16%) e politico-sociale (12%). Il 48% di loro ha un lavoro stabile e guadagna nettamente di più dei colleghi rimasti in Patria (1.568 euro invece di 1.050).
Manuela Pitterà