“Spazio senza barriere – progettare per i diversabili” è il corso che, per il secondo anno consecutivo, terrà il prof. Luciano Scotto di Vettimo, sessantanovenne ricercatore della Facoltà di Architettura. Inizierà nel secondo semestre ed è tra le attività a scelta proposte agli iscritti del Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, la laurea triennale. Novanta gli allievi che lo hanno seguito lo scorso anno; 85 quelli che hanno poi conseguito l’idoneità.
“Obiettivo del corso”, dice l’architetto, “è dare agli studenti gli strumenti per realizzare un progetto preliminare di casa dove vivano non vedenti o tetraplegici. Effettuiamo inoltre rilevazioni sulle barriere architettoniche del Comune di Napoli”.
La disciplina affonda dunque le sue radici in una concezione di architettura che guarda all’uomo non come ad una entità astratta, ma considera le singole specificità e le particolarissime esigenze di ognuno. “E’ un superamento”, argomenta Scotto di Vettimo, “del movimento modernista che considera ogni uomo identico all’altro e portatore di identiche esigenze. Si cala invece il progetto nella particolarità dell’individuo. Allo stesso tempo, progettare senza barriere è un servizio verso l’intera società. Dico agli studenti, all’inizio del corso, che nasciamo tutti diversamente abili. Il neonato non è in grado di muoversi e di provvedere a se stesso, senza che qualcuno, i genitori, lo assista. Probabilmente, poi, tutti o quasi diventeremo diversamente abili in vecchiaia. Insomma, progettare senza barriere è un impegno verso chi è disabile, ma non solo. E’ un modo di mettere davvero l’architetto al servizio della qualità di vita di ogni singolo individuo”.
La Federico II è uno dei pochi Atenei che offre ai suoi studenti l’opportunità di frequentare un corso di questo tipo. “Io parto come docente di Composizione Architettonica”, ricorda Scotto di Vettimo, “poi ho avuto occasione, col professore Antonio Lavaggi, di mettere a fuoco questo corso e l’ho proposto agli studenti. I quali, devo dire, l’anno scorso hanno mostrato notevole interesse. Mi piacerebbe, se ci saranno le risorse, che in futuro possa diventare una Scuola di specializzazione post lauream, che possa qualificare ancora di più professionisti capaci di rispondere ad una domanda sociale innegabile”.
Osservata con gli occhi di chi ha fatto della progettazione senza barriere architettoniche una missione, la Federico II è un’università in chiaroscuro. Nota infatti Scotto di Vettimo: “C’è ancora un gran lavoro da svolgere. Il Rettore Guido Trombetti è estremamente sensibile verso questa problematica, ma è il primo ad ammettere che la dispersione dell’Ateneo in vari siti rende difficile l’opera di omologazione degli stessi alle esigenze di chi non cammina o non vede o ha altri problemi. Ci sono tratte dove un ragazzo in carrozzella può muoversi con sufficiente sicurezza ed altre dove gli è precluso. Se poi devo guardare dentro casa mia, per così dire, ebbene: il nuovo edificio di Architettura, la sede di via Forno Vecchio, è adeguato all’ottantacinque per cento alle esigenze dei diversamente abili. In Consiglio di Facoltà abbiamo riflettuto spesso, e ancora lo stiamo facendo, per capire come raggiungere il cento per cento”.
Fabrizio Geremicca
“Obiettivo del corso”, dice l’architetto, “è dare agli studenti gli strumenti per realizzare un progetto preliminare di casa dove vivano non vedenti o tetraplegici. Effettuiamo inoltre rilevazioni sulle barriere architettoniche del Comune di Napoli”.
La disciplina affonda dunque le sue radici in una concezione di architettura che guarda all’uomo non come ad una entità astratta, ma considera le singole specificità e le particolarissime esigenze di ognuno. “E’ un superamento”, argomenta Scotto di Vettimo, “del movimento modernista che considera ogni uomo identico all’altro e portatore di identiche esigenze. Si cala invece il progetto nella particolarità dell’individuo. Allo stesso tempo, progettare senza barriere è un servizio verso l’intera società. Dico agli studenti, all’inizio del corso, che nasciamo tutti diversamente abili. Il neonato non è in grado di muoversi e di provvedere a se stesso, senza che qualcuno, i genitori, lo assista. Probabilmente, poi, tutti o quasi diventeremo diversamente abili in vecchiaia. Insomma, progettare senza barriere è un impegno verso chi è disabile, ma non solo. E’ un modo di mettere davvero l’architetto al servizio della qualità di vita di ogni singolo individuo”.
La Federico II è uno dei pochi Atenei che offre ai suoi studenti l’opportunità di frequentare un corso di questo tipo. “Io parto come docente di Composizione Architettonica”, ricorda Scotto di Vettimo, “poi ho avuto occasione, col professore Antonio Lavaggi, di mettere a fuoco questo corso e l’ho proposto agli studenti. I quali, devo dire, l’anno scorso hanno mostrato notevole interesse. Mi piacerebbe, se ci saranno le risorse, che in futuro possa diventare una Scuola di specializzazione post lauream, che possa qualificare ancora di più professionisti capaci di rispondere ad una domanda sociale innegabile”.
Osservata con gli occhi di chi ha fatto della progettazione senza barriere architettoniche una missione, la Federico II è un’università in chiaroscuro. Nota infatti Scotto di Vettimo: “C’è ancora un gran lavoro da svolgere. Il Rettore Guido Trombetti è estremamente sensibile verso questa problematica, ma è il primo ad ammettere che la dispersione dell’Ateneo in vari siti rende difficile l’opera di omologazione degli stessi alle esigenze di chi non cammina o non vede o ha altri problemi. Ci sono tratte dove un ragazzo in carrozzella può muoversi con sufficiente sicurezza ed altre dove gli è precluso. Se poi devo guardare dentro casa mia, per così dire, ebbene: il nuovo edificio di Architettura, la sede di via Forno Vecchio, è adeguato all’ottantacinque per cento alle esigenze dei diversamente abili. In Consiglio di Facoltà abbiamo riflettuto spesso, e ancora lo stiamo facendo, per capire come raggiungere il cento per cento”.
Fabrizio Geremicca