Parola alla prof.ssa Caterina Arcidiacono, docente di Psicologia di comunità per il terzo e per il secondo anno della laurea in Scienze e tecniche psicologiche e firma del progetto “Saracinesche Abbassate”, interamente condotto da ragazzi del Corso di Studi Triennale. A margine del webinar, la professoressa ha tirato le somme dell’evento, soffermandosi sulla personale volontà di dare un’impronta multimodale al lavoro svolto, concedendo piena libertà d’espressione agli studenti; così come sulle ricadute relazionali del Covid e in generale, sul tema dell’affettività.
Come nasce il nome del progetto “Saracinesche abbassate”?
“Uno di loro, durante l’ultimo lockdown, la mattina non alzava le persiane. Rimanevano abbassate tutto il giorno, non c’era luce. Mi ha dato il senso di essere fuori dal tempo”.
Quando è nata l’idea del progetto e perché ha pensato di improntarlo alla multimodalità?
“La prima cosa che ho avuto in mente appena iniziato il corso, è stata la mancanza di comunicazione a causa dell’online. E tra studenti e tra colleghi. La chiacchiera, il caffè prima di cominciare, sono tutti elementi di comunità e normalità che sono mancati. Quindi mi sono posta il problema di generare un online che mantenesse viva la comunicazione. La psicologia di comunità propone una didattica attiva, il learning by doing, dunque mi sono detta di organizzare momenti che ristabilissero un canale comunicativo. Abbiamo promosso uno spritz virtuale, un cineforum. Multimodale perché è una grande competenza che i ragazzi hanno e va messa a sistema rispetto alla professionalità. La comunicazione online fa parte della nuova professionalità. Elaborazione, riflessione, e resa nel modo che hanno inteso loro. Chi video, chi canzone, chi poesia, chi rap. L’interattività è stata garantita dal fatto che hanno lavorato in gruppi”.
Nella conduzione del webinar lei ha lasciato totalmente liberi gli studenti, perché?
“Li ho visti molto presi e immersi nel progetto. Per me era importante che uscisse fuori la loro voce. Tutto è stato molto artigianale, però è una voce dei ragazzi. È un’esperienza unica che come Federico II abbiamo fatto. Finalmente, i giovani, con molta maturità e riflessività, hanno raccontato quanto vissuto. Non ne ha parlato un soggetto terzo, ma loro stessi, senza filtri”.
Alcuni dei suoi ragazzi hanno toccato più volte il tema dell’affettività. In che modo la pandemia ha rimodellato le relazioni personali?
“Credo si possa dire, guardando quanto accaduto, che questo allontanamento forzato abbia decisamente rinsaldato i legami forti e fatto sciogliere quelli più superficiali”.
Uno dei team ha svolto un’indagine su aspetti positivi e negativi della didattica a distanza. C’è chi ha reso di più e chi ha patito maggiormente la demotivazione. Dov’è il compromesso?
“La chiusura forzata in casa ha creato uno stato di ansia e depressione diffuso che ha inciso sulla capacità di concentrazione. Inizialmente c’è anche stata una reazione, grazie ad una grande forza di volontà. Con il passare del tempo, però, la gravità della situazione ha conosciuto una normalizzazione e la sfiducia ha preso il sopravvento, a causa pure dell’ulteriore diffusione del virus”.
Qual è la strada da percorrere per recuperare la dimensione partecipativa dell’Università?
“Intanto l’attività online ha offerto un supporto in termini metodologici e ha permesso di sviscerare degli elementi di forza. Detto questo, il mio obiettivo, con il webinar, non era quello di avere una ricerca dotta dagli studenti. Piuttosto volevo provare a costruire, con loro, una dimensione di partecipazione differente e più continuativa. Abbiamo svolto un lavoro di coscientizzazione e socializzazione per tutti”.
Quanto è importante elaborare e analizzare le conseguenze psicologiche del Covid?
“I giovani sono stati messi nelle condizioni di essere trattati come egoisti, irresponsabili. Nessuno ha pensato che potessero essere una risorsa, segnatamente alle tecnologie, al supporto agli anziani. Sono stati espropriati della loro intelligenza. Dunque diventa fondamentale, da parte loro e di tutti, studiare ciò che è successo”.
Come nasce il nome del progetto “Saracinesche abbassate”?
“Uno di loro, durante l’ultimo lockdown, la mattina non alzava le persiane. Rimanevano abbassate tutto il giorno, non c’era luce. Mi ha dato il senso di essere fuori dal tempo”.
Quando è nata l’idea del progetto e perché ha pensato di improntarlo alla multimodalità?
“La prima cosa che ho avuto in mente appena iniziato il corso, è stata la mancanza di comunicazione a causa dell’online. E tra studenti e tra colleghi. La chiacchiera, il caffè prima di cominciare, sono tutti elementi di comunità e normalità che sono mancati. Quindi mi sono posta il problema di generare un online che mantenesse viva la comunicazione. La psicologia di comunità propone una didattica attiva, il learning by doing, dunque mi sono detta di organizzare momenti che ristabilissero un canale comunicativo. Abbiamo promosso uno spritz virtuale, un cineforum. Multimodale perché è una grande competenza che i ragazzi hanno e va messa a sistema rispetto alla professionalità. La comunicazione online fa parte della nuova professionalità. Elaborazione, riflessione, e resa nel modo che hanno inteso loro. Chi video, chi canzone, chi poesia, chi rap. L’interattività è stata garantita dal fatto che hanno lavorato in gruppi”.
Nella conduzione del webinar lei ha lasciato totalmente liberi gli studenti, perché?
“Li ho visti molto presi e immersi nel progetto. Per me era importante che uscisse fuori la loro voce. Tutto è stato molto artigianale, però è una voce dei ragazzi. È un’esperienza unica che come Federico II abbiamo fatto. Finalmente, i giovani, con molta maturità e riflessività, hanno raccontato quanto vissuto. Non ne ha parlato un soggetto terzo, ma loro stessi, senza filtri”.
Alcuni dei suoi ragazzi hanno toccato più volte il tema dell’affettività. In che modo la pandemia ha rimodellato le relazioni personali?
“Credo si possa dire, guardando quanto accaduto, che questo allontanamento forzato abbia decisamente rinsaldato i legami forti e fatto sciogliere quelli più superficiali”.
Uno dei team ha svolto un’indagine su aspetti positivi e negativi della didattica a distanza. C’è chi ha reso di più e chi ha patito maggiormente la demotivazione. Dov’è il compromesso?
“La chiusura forzata in casa ha creato uno stato di ansia e depressione diffuso che ha inciso sulla capacità di concentrazione. Inizialmente c’è anche stata una reazione, grazie ad una grande forza di volontà. Con il passare del tempo, però, la gravità della situazione ha conosciuto una normalizzazione e la sfiducia ha preso il sopravvento, a causa pure dell’ulteriore diffusione del virus”.
Qual è la strada da percorrere per recuperare la dimensione partecipativa dell’Università?
“Intanto l’attività online ha offerto un supporto in termini metodologici e ha permesso di sviscerare degli elementi di forza. Detto questo, il mio obiettivo, con il webinar, non era quello di avere una ricerca dotta dagli studenti. Piuttosto volevo provare a costruire, con loro, una dimensione di partecipazione differente e più continuativa. Abbiamo svolto un lavoro di coscientizzazione e socializzazione per tutti”.
Quanto è importante elaborare e analizzare le conseguenze psicologiche del Covid?
“I giovani sono stati messi nelle condizioni di essere trattati come egoisti, irresponsabili. Nessuno ha pensato che potessero essere una risorsa, segnatamente alle tecnologie, al supporto agli anziani. Sono stati espropriati della loro intelligenza. Dunque diventa fondamentale, da parte loro e di tutti, studiare ciò che è successo”.
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