“Alcuni giorni fa hanno suscitato stupore e curiosità i video di una colonia di 36 Ibis sacri ripresi lungo le sponde del fiume Sele. Un altro gruppo piuttosto numeroso di questi uccelli si è peraltro stabilito da tempo alla foce del Volturno”. Il prof. Domenico Fulgione, Coordinatore del Corso di Laurea in Scienze per la Natura e per l’Ambiente della Federico II, ha raccontato il 3 maggio, nell’ambito di un convegno sulle specie aliene che si è svolto all’Orto Botanico in occasione della X edizione della mostra – mercato Planta, vicende di immigrazioni di animali che sono state prodotte volontariamente o involontariamente dall’uomo e storie di occupazioni da parte dei nuovi arrivati di nicchie ecologiche che erano patrimonio delle specie nostrane.
Il caso dell’Ibis, ormai diffusissimo anche in Italia, è tra i più clamorosi. “Il suo habitat – ha raccontato – è alle foci del Nilo. Nell’antico Egitto era una presenza sacra ed Erodoto ci racconta che i pellegrini portavano esemplari mummificati di questi uccelli al dio Thot. Addirittura si allevavano a questo scopo, per avere sempre animali da offrire in dono a Thot. Durante la campagna d’Egitto notarono gli Ibis anche gli scienziati al seguito di Napoleone e scrissero di averne visti a migliaia mummificati per Thot”.
La specie, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, sempre più frequentemente fu ospitata nei giardini zoologici europei. “Alcuni esemplari – ha ricordato Fulgione – fuggirono e si stabilirono in aree verdi limitrofe, dove iniziarono anche a riprodursi.
Accadde per esempio in alcune zone della Francia. In Italia l’Ibis comparve per la prima volta vicino Vercelli, in un’area faunistica che ospitava animali reduci dai circhi o dagli zoo. Qualche esemplare fuggì ed ecco che ora abbiamo l’Ibis in Italia. Nel delta del Po, nel Lazio, in Campania e in altre zone. Con il problema non da poco che mancano i coccodrilli e i rapaci che predano questi uccelli lungo il corso del Nilo. Qui da noi non ha nemici naturali. Mangia piccoli mammiferi, rettili ed è un depressore di biodiversità. In Francia hanno portato avanti campagne di eradicazione, che è un modo diverso, un eufemismo per dire che li catturano e li eliminano”.
Un’altra storia di specie aliena ed invasiva è quella dello scoiattolo variabile. “Una specie originaria del sud-est asiatico. Ora è molto diffusa, per esempio, nel territorio del Parco del Cilento e del Vallo di Diano, dove sta creando grosse difficoltà allo scoiattolo meridionale, originario di quei territori. Tutto potrebbe essere iniziato con il gesto di alcuni turisti inglesi i quali pare che abbiano liberato alcuni esemplari di scoiattolo variabile a Maratea alcuni anni fa. La specie si è rapidamente diffusa e sta prendendo il sopravvento su quella nostrana”.
Ha mostrato un esemplare in foto. “Mia figlia lo ha visto – ha raccontato – e mi ha chiesto per quale motivo faccio la guerra ad un animale così carino. Ho provato a risponderle che è un po’ come tenere la cameretta in ordine, che ogni animale ha un suo posto dove, sulla base della sua storia e della sua evoluzione, deve stare. Se si confonde questo ordine nascono problemi per tante specie”. Contro lo scoiattolo variabile è in atto un progetto di eradicazione nel parco del Cilento e non è piacevole parlarne perché, in sostanza, gli esemplari sono catturati ed eliminati con il gas. “Si sta valutando però la possibilità – ha detto al cronista Sabatino Troisi, un veterinario che collabora con Fulgione – di adottare tecniche incruente di sterilizzazione per contenere la popolazione”.
Un progetto di Citizen Science
La nutria – un roditore – è un altro ‘imbucato’ nell’ecosistema della Campania. Originaria del Sudamerica, ma presente ormai in molti fiumi, è anch’essa un potente depressore di biodiversità perché in Italia non ha praticamente nemici naturali. La lista degli indesiderati, peraltro, non termina certo qui. Maina egiziana, Oca egiziana, Parrocchetto monaco, Gobbo della Giamaica, Parrocchetto dal collare, sono tutte specie aliene arrivate in Italia in circostanze diverse con l’aiuto dell’uomo e che si sono sistemate talmente bene da creare problemi alla fauna e alla flora nostrana. Tra i rettili, poi, c’è il grande problema della Tartaruga palustre americana.
Per molti anni ospite delle case, è stata sistematicamente abbandonata dove capitava non appena diventava abbastanza grande da creare problemi agli incauti e inconsapevoli acquirenti. Voracissima, incide molto negativamente sulla flora delle aree dove si è insediata e può trasmettere parassiti e altre patologie alle tartarughe presenti da secoli in Italia. “Anche i pesci hanno i loro rappresentanti invasivi. Il Persico sole, per esempio, e il Gobione giallo. Quest’ultimo è tra le 100 specie aliene più pericolose. Piano piano ha invaso il Danubio a causa di comportamenti scriteriati dell’uomo.
Oggi lo ritroviamo anche nel Sele, è stato segnalato nel Tanagro e probabilmente c’è pure nel Volturno. Porta un parassita che provoca la morte per dissanguamento dei salmoni e ha creato danni enormi negli allevamenti, perché ha effettuato il salto di specie. Potrebbe diventare una minaccia molto seria per le nostre trote”.
Non mancano le specie aliene anche tra i crostacei. Negli ultimi anni si è molto scritto, per esempio, del Granchio blu, specie di origine nordamericana che ha invaso il Mar Mediterraneo. Si riproduce vertiginosamente, preda vongole, cozze e telline ed è entrato in competizione (vittoriosa per lui) con i granchi storicamente presenti in quelle acque. È commestibile e lo si ritrova ormai sistematicamente anche sui banchi delle pescherie. Ha assunto, in sostanza, un certo valore commerciale, entrando a far parte di non poche ricette. Con il risultato paradossale che, se ipoteticamente si trovasse ora il modo per azzerare la popolazione di granchi blu che ha colonizzato i nostri mari e ad eliminare una presenza così ingombrante per l’ecosistema, insorgerebbero pescatori e commercianti che hanno trovato in essa una fonte di guadagno. Ci sono poi, per citare qualche altro esempio tra i crostacei, il gambero rosso americano e quello della Louisiana.
Il problema delle specie aliene, peraltro, non è circoscritto agli animali. “È una situazione – ha spiegato durante il convegno la prof.ssa Annalisa Santangelo, botanica della Federico II – che troviamo anche nel mondo vegetale”. Qualche esempio? “Il più noto è forse quello dell’ailanto”. Il quale, come ha raccontato il comandante dei carabinieri forestali del Parco del Vesuvio, si è diffuso molto nell’area naturale in particolare dopo i disastrosi incendi dell’estate 2017. “È una specie – ha confermato la docente – che ha la capacità di occupare rapidamente gli spazi che sono lasciati vuoti da altre piante e che ha un tasso di riproduzione molto rapido”.
In ambito vegetale la lotta alle specie invasive si basa soprattutto sull’espianto meccanico, laddove possibile. “In alcune situazioni – ha però sostenuto la docente federiciana – diventa inevitabile ricorrere ai diserbanti”. In ogni caso, sia per le specie animali che per quelle vegetali, è fondamentale il monitoraggio e per questo la Regione Campania ha avviato un progetto di Citizen Science, in collaborazione con ASNU (Associazione Scienze Naturali Unite), affinché i cittadini fotografino e segnalino le specie aliene animali e vegetali nelle quali si imbattono.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n.08 – 2024 – Pagina 3