Risposte della politica fiscale alla crisi Covid-19 e prospettive del debito pubblico: al quarto incontro del Recovery Lab, il 26 aprile, è intervenuto un ospite d’eccezione, Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano ed ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale. Organizzato dal Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche (Dises) – professori Tullio Jappelli, Marco Pagano, Lorenzo Pandolfi e Saverio Simonelli – il Recovery Lab riflette sui principali temi legati all’attuale crisi economica e alle prospettive di ripresa.
“Politica fiscale in risposta alla pandemia e PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sono le questioni più discusse, subito dopo il grande tema del virus – comincia il prof. Cottarelli – In questa sede, vorrei cercare di delineare il quadro della situazione in una fase in cui la politica di bilancio ha svolto, e continuerà ad avere, un ruolo fondamentale”. L’emergenza da Coronavirus, oltre ad avere provocato una gravissima crisi sanitaria, ha innescato la caduta del Pil, legata a due fattori: “Uno è l’offerta. Se si sta a casa non si può produrre e, in questo caso, le politiche fiscali espansive non possono far nulla. L’altro fattore è legato alla caduta della domanda”. Caduta dovuta, a sua volta, alla diminuzione del potere d’acquisto e all’incertezza generata dalla crisi. Alla mancanza di domanda “si pone rimedio con politiche monetarie e fiscali molto espansive che sono state adottate da tutti i Paesi del mondo”. La politica monetaria era già molto espansiva in termini di livelli dei tassi di interesse, ma essendo insufficiente agire su questo fronte, causa uno shock economico che è stato il più forte dalla fine della seconda guerra mondiale, “tutti i Paesi hanno posto in essere anche delle politiche fiscali dei conti pubblici espansive”. Si parla oltretutto di misure espansive discrezionali di tre tipi: “Trasferimenti per compensare la perdita di potere d’acquisto e quindi sussidi di disoccupazione, cassa integrazione e i famosi ristori; la politica dei bonus, per incentivare a spendere di più; l’intervento diretto di spesa da parte dello Stato con acquisti di beni e servizi e anche investimenti pubblici”. Queste le azioni poste in essere da tutti i Paesi del mondo in misura diversa: “Dobbiamo tenere conto dell’entità dello shock. Notiamo, inoltre, come, in assenza di un vincolo di bilancio, chi era più spendaccione prima si è rivelato più spendaccione anche adesso”. Ciò si nota molto nell’area dell’euro con i paesi del Nord Europa che hanno mantenuto un deficit pubblico dell’ordine del 5% e quelli mediterranei e latini che hanno mantenuto, invece, il deficit nell’ordine del 10%. L’aumento del deficit pubblico in risposta alla crisi è stato possibile, grazie “a politiche di acquisti massicci di titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea e, al di fuori dell’Europa, tutte le Banche Centrali hanno fatto operazioni che comportavano maggiori acquisti di titoli di Stato”. In Italia, lo scorso anno, “la Bce, tramite la Banca d’Italia, ha acquistato titoli di Stato per circa 170 miliardi. Altri prestiti poi sono arrivati dalla Commissione Europea”. Con un deficit pubblico di 160 miliardi, contro i 185-190 arrivati dalle Istituzioni Europee, è stato possibile rimborsare parte del debito verso il settore privato. Questi interventi continueranno, tra acquisti della Bce e altre forme di finanziamento, “per cui, alla fine di quest’anno, il 26-27% del nostro debito pubblico sarà detenuto da Istituzioni Europee, in primis dalla Bce”. Mantenere il debito pubblico a questi livelli non conviene “anche perché ci rende schiavi delle decisioni delle Istituzioni Europee. Come si risolve il problema? Tramite la crescita che è la strada maestra per rendere il debito sostenibile”. La questione, naturalmente, è complessa. “Nel documento di Economia e Finanza si legge che è importante – nel momento in cui il Paese punta al rilancio con investimenti, transizione digitale ed ambientale, formazione ed inclusione – che i frutti della maggiore crescita contribuiscano al rafforzamento della finanza pubblica”. Un po’ di soldi, quindi, vanno risparmiati “non con l’austerity, ma con le riforme. E quello che accadrà una volta superata la crisi dipenderà dalle riforme”. Gli investimenti pubblici dovranno dare una spinta alla domanda che darà una spianata all’offerta. “Serviranno riforme di semplificazione ed efficientamento della pubblica amministrazione, riforme della giustizia e della concorrenza. Ma anche del fisco e non so come potrà avvenire con una coalizione di governo così diversificata. L’Italia dovrà diventare anche un paese in cui le imprese investano più volentieri”. Di queste cose parla il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che, tuttavia, “funzionerà se l’opinione pubblica vorrà farlo funzionare. Questo piano non è il prodotto di un mandato elettorale che riflette le preferenze del pubblico italiano. Arriva da un governo di coalizione che è frutto dell’emergenza, il che non è una colpa”. Il suo futuro, “credo, lo vedremo dopo le prossime elezioni generali quando sarà chiaro se le riforme che contiene sono davvero appoggiate. Un ultimo aspetto su cui insisto però – conclude il prof. Cottarelli – sarebbe l’introduzione in Italia di un principio di merito, in senso generale, sul quale puntare”.
“Politica fiscale in risposta alla pandemia e PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sono le questioni più discusse, subito dopo il grande tema del virus – comincia il prof. Cottarelli – In questa sede, vorrei cercare di delineare il quadro della situazione in una fase in cui la politica di bilancio ha svolto, e continuerà ad avere, un ruolo fondamentale”. L’emergenza da Coronavirus, oltre ad avere provocato una gravissima crisi sanitaria, ha innescato la caduta del Pil, legata a due fattori: “Uno è l’offerta. Se si sta a casa non si può produrre e, in questo caso, le politiche fiscali espansive non possono far nulla. L’altro fattore è legato alla caduta della domanda”. Caduta dovuta, a sua volta, alla diminuzione del potere d’acquisto e all’incertezza generata dalla crisi. Alla mancanza di domanda “si pone rimedio con politiche monetarie e fiscali molto espansive che sono state adottate da tutti i Paesi del mondo”. La politica monetaria era già molto espansiva in termini di livelli dei tassi di interesse, ma essendo insufficiente agire su questo fronte, causa uno shock economico che è stato il più forte dalla fine della seconda guerra mondiale, “tutti i Paesi hanno posto in essere anche delle politiche fiscali dei conti pubblici espansive”. Si parla oltretutto di misure espansive discrezionali di tre tipi: “Trasferimenti per compensare la perdita di potere d’acquisto e quindi sussidi di disoccupazione, cassa integrazione e i famosi ristori; la politica dei bonus, per incentivare a spendere di più; l’intervento diretto di spesa da parte dello Stato con acquisti di beni e servizi e anche investimenti pubblici”. Queste le azioni poste in essere da tutti i Paesi del mondo in misura diversa: “Dobbiamo tenere conto dell’entità dello shock. Notiamo, inoltre, come, in assenza di un vincolo di bilancio, chi era più spendaccione prima si è rivelato più spendaccione anche adesso”. Ciò si nota molto nell’area dell’euro con i paesi del Nord Europa che hanno mantenuto un deficit pubblico dell’ordine del 5% e quelli mediterranei e latini che hanno mantenuto, invece, il deficit nell’ordine del 10%. L’aumento del deficit pubblico in risposta alla crisi è stato possibile, grazie “a politiche di acquisti massicci di titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea e, al di fuori dell’Europa, tutte le Banche Centrali hanno fatto operazioni che comportavano maggiori acquisti di titoli di Stato”. In Italia, lo scorso anno, “la Bce, tramite la Banca d’Italia, ha acquistato titoli di Stato per circa 170 miliardi. Altri prestiti poi sono arrivati dalla Commissione Europea”. Con un deficit pubblico di 160 miliardi, contro i 185-190 arrivati dalle Istituzioni Europee, è stato possibile rimborsare parte del debito verso il settore privato. Questi interventi continueranno, tra acquisti della Bce e altre forme di finanziamento, “per cui, alla fine di quest’anno, il 26-27% del nostro debito pubblico sarà detenuto da Istituzioni Europee, in primis dalla Bce”. Mantenere il debito pubblico a questi livelli non conviene “anche perché ci rende schiavi delle decisioni delle Istituzioni Europee. Come si risolve il problema? Tramite la crescita che è la strada maestra per rendere il debito sostenibile”. La questione, naturalmente, è complessa. “Nel documento di Economia e Finanza si legge che è importante – nel momento in cui il Paese punta al rilancio con investimenti, transizione digitale ed ambientale, formazione ed inclusione – che i frutti della maggiore crescita contribuiscano al rafforzamento della finanza pubblica”. Un po’ di soldi, quindi, vanno risparmiati “non con l’austerity, ma con le riforme. E quello che accadrà una volta superata la crisi dipenderà dalle riforme”. Gli investimenti pubblici dovranno dare una spinta alla domanda che darà una spianata all’offerta. “Serviranno riforme di semplificazione ed efficientamento della pubblica amministrazione, riforme della giustizia e della concorrenza. Ma anche del fisco e non so come potrà avvenire con una coalizione di governo così diversificata. L’Italia dovrà diventare anche un paese in cui le imprese investano più volentieri”. Di queste cose parla il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che, tuttavia, “funzionerà se l’opinione pubblica vorrà farlo funzionare. Questo piano non è il prodotto di un mandato elettorale che riflette le preferenze del pubblico italiano. Arriva da un governo di coalizione che è frutto dell’emergenza, il che non è una colpa”. Il suo futuro, “credo, lo vedremo dopo le prossime elezioni generali quando sarà chiaro se le riforme che contiene sono davvero appoggiate. Un ultimo aspetto su cui insisto però – conclude il prof. Cottarelli – sarebbe l’introduzione in Italia di un principio di merito, in senso generale, sul quale puntare”.
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