Un gruppo di docenti universitari nei panni degli studenti con Dsa

Un docufilm prodotto dall'Associazione Dislessia con Sinapsi. Gli obiettivi spiegati dal prof. Alessandro Pepino, delegato del Rettore alla Disabilità

Le lettere e le cifre si confondono alla vista rendendo di fatto impossibile la decodifica di un testo e la risoluzione di un’operazione, e la grafia, spesso contorta, non riesce a tradurre il pensiero che c’è dietro la mano che scrive. Il percorso, scolastico prima e universitario poi, di uno studente con DSA è irto di ostacoli e scarno di soddisfazioni: sebbene oggi i Disturbi Specifici dell’Apprendimento non siano più un mistero né un tabù, resta ancora difficile immedesimarsi in chi ci convive e gli stessi insegnanti faticano a trovare la giusta chiave di comunicazione con questi allievi. È l’assunto del docufilm “Nei miei panni” che l’Associazione Italiana Dislessia ha realizzato in collaborazione con la Sezione DSA e disabilità del Centro SInAPSi dell’Università Federico II. Girato lo scorso ottobre a Città della Scienza, è stato da poco rilasciato su YouTube. L’obiettivo di ‘Nei miei panni’ è “sensibilizzare i docenti universitari sul tema, invitandoli ad immedesimarsi negli studenti con DSA per poter comprendere quali e quante difficoltà questi ragazzi affrontino quotidianamente”, spiega il prof. Alessandro Pepino, docente ad Ingegneria, Delegato del Rettore alla Disabilità e ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Molti docenti, “purtroppo, continuano a considerare come facilitazioni tutti gli strumenti a cui lo studente con DSA ha diritto per legge – come tempi aggiuntivi per lo svolgimento delle prove, calcolatrici, mappe concettuali – quando, invece, servono a porlo esattamente sullo stesso piano degli altri”. E così, nel docufilm, un gruppo di docenti, principalmente della Federico II, viene sottoposto ad alcuni particolari test di lettura, interpretazione del testo, memorizzazione, calcolo. A tenere queste prove è “il prof. Giacomo Stella, psicologo e fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia, che fa incappare i suoi allievi d’occasione in tutte le difficoltà che vive tipicamente chi ha un disturbo specifico dell’apprendimento”. Di test in test – dalla lettura di parole in cui le lettere non sono al proprio posto all’interpretazione di un lungo brano in brevissimo tempo – tutti i docenti, appartenenti ai più svariati settori scientifico-disciplinari, appaiono stupiti e confusi “e, al termine del video, rilasciano delle testimonianze molto toccanti sull’esperienza che hanno appena vissuto”. Il prof. Pepino ne consiglia la visione fino alla fine: “Da parte dei colleghi che hanno partecipato all’iniziativa, di base, c’è l’empatia verso l’allievo. Questo sentimento è fondamentale, è la premessa per poter capire cosa accade oltre la cattedra”.

Percorsi personalizzati per gli studenti caregiver

Poi prosegue: “Ancora oggi la conoscenza e l’accettazione dei disturbi specifici dell’apprendimento non sono totali. Pensiamo soltanto al fatto che in Campania, su una popolazione scolastica di trecentomila unità, emerge soltanto l’1% di studenti con DSA, contro una media nazionale del 5% ed europea del 7-8%”. Questo vuol dire che “ci sono tantissimi ragazzi e ragazze i cui disturbi non vengono riconosciuti e compresi e che, piuttosto, sono considerati svogliati e incapaci e abbandonati a sé”. Ma il problema è più ampio: “Per riconoscere il disturbo specifico dell’apprendimento, ad esempio, c’è bisogno di logopedisti e queste figure mancano nelle Asl della nostra regione. È solo uno degli aspetti che connotano tale problematica, sociale, di estrema rilevanza”. Un disturbo, prosegue il prof. Pepino, è in potenza dentro ciascuno di noi e “l’intelligenza e la capacità di apprendere sono legati anche al modo in cui ci vengono presentati i contenuti. Gli studenti con DSA sono un laboratorio eccezionale ai fini dell’innovazione della didattica, innovazione che, chiaramente, poi andrebbe a beneficio di tutti”. Dalle mappe concettuali ai laboratori virtuali, “lo stimolo alla comprensione attiva e partecipativa piuttosto che ad una vana memorizzazione è una sfida da cui possono uscire tutti vincitori. Sia a scuola che all’università, molti insegnanti si limitano semplicemente ad esporre il contenuto”. È una modalità che non paga più, “oltre che un problema di evoluzione culturale che, mi sembra, il nostro Ateneo stia affrontando bene”. Qualche esempio: “Come Sinapsi, di recente, abbiamo prodotto delle linee di indirizzo volte a mettere a sistema tutti quegli accorgimenti da adottare in sede d’esame per lo studente con DSA. Di norma, strumenti compensativi come calcolatrici, formulari, mappe concettuali non sono consentiti e la resistenza è ancora più alta quando la richiesta avviene a pochi giorni dall’esame”. Ecco, quindi, “la necessità di regolare questa richiesta che dovrà avvenire almeno con trenta giorni di anticipo rispetto all’esame”. Ancora: “La nostra attenzione si è focalizzata anche sugli allievi caregiver familiari che, pur non rientrando nel discorso sulla disabilità, data la loro situazione, hanno una serie di disagi e vincoli”. I caregiver familiari, ora, “possono accedere a tutti i servizi del Centro Sinapsi, per avere una carriera personalizzata. Sono già arrivate una decina di richieste e abbiamo notato che anche altri Atenei si stanno muovendo nella stessa direzione”. È stata la pandemia “a portare alla luce una serie di problematiche a cui prima non si prestava attenzione come anche, ad esempio, quella degli studenti lavoratori. Fino a vent’anni fa potevano usufruire di corsi ad hoc per loro che, poi, sono stati eliminati completamente”. È il momento, conclude, “di comprendere che ci sono una serie di cambiamenti importanti da adottare per offrire a tutti le stesse opportunità. L’Università, oggi, può fare la differenza”.


Carol Simeoli 

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