Quando si pensa all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., si pensa anche, quasi simultaneamente, alle vestigia dell’antica città di Pompei. Forse alla sua vastità è dovuta la fama, o allo stato di conservazione, ma non è minore l’importanza della seconda città colpita dal cataclisma: Ercolano. L’incontro dello scorso 24 novembre, dal titolo “Raccontare la città: l’esperienza del Parco archeologico di Ercolano”, ha ripercorso un po’ a ritroso la storia del complesso archeologico. Il seminario, che si è svolto sulla piattaforma Microsoft Teams, è stato introdotto dalla prof.ssa Nadia Barrella, Presidentessa del Corso di Laurea in Conservazione dei Beni culturali, ed ha visto la partecipazione del Direttore del Parco archeologico stesso, Francesco Sirano. La storia del Parco archeologico è interessante: l’esplorazione ebbe inizio nel 1738 ad opera del re di Napoli Carlo di Borbone, tramite lo scavo di cunicoli e gallerie; i lavori furono però interrotti dopo alcuni decenni a causa dello spessore e della durezza del fango vulcanico. Alcuni scavi a cielo aperto si susseguirono nel corso del Diciannovesimo secolo, ma fu soltanto nel 1927, grazie all’archeologo Amedeo Maiuri, che gran parte del Parco archeologico fu riesumata e aperta al pubblico. Un nuovo impulso si ebbe poi negli anni Ottanta, e proprio a questo periodo risale la scoperta dell’antico litorale e di alcuni scheletri di fuggiaschi, nonché di una barca che, si presuppone, fosse quella su cui si imbarcò Plinio il Vecchio nel tentativo di porre in salvo parte della popolazione. Ad alimentare queste teorie è stato il ritrovamento di uno scheletro in uniforme imperiale con alla cintura una spada. Dagli anni Settanta, tuttavia, il sistema di manutenzioni periodiche organizzato da Maiuri cominciò a bloccarsi, comportando la chiusura di case e interi tratti di strada della città. Nel 2002 una conferenza Pisa-Euromed dichiarava il parco archeologico di Ercolano, unitamente a quello di Pompei, “l’unico sito archeologico del mondo occidentale in uno stato di degrado così avanzato, senza una guerra civile che potesse giustificarlo”. È comunque dal 2001 che il sito archeologico è parte di un importante progetto di riqualificazione, l’Herculaneum Conservation Project, che si è meritato una menzione da parte del Direttore Generale dell’UNESCO, Irina Bokova, la quale ha osservato l’impegno delle istituzioni e della comunità locale nella salvaguardia del Parco. “Il progetto è parte di una collaborazione tra enti pubblici e privati ed è un’iniziativa del Packard Humanities Institute, che in Italia opera attraverso l’Istituto Packard per i Beni culturali e che è in stretta collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo”, racconta Sirano. È grazie alla creazione del Parco archeologico di Ercolano e alla collaborazione pubblico-privata “che stiamo portando avanti un ambizioso progetto di riqualificazione e messa in sicurezza di tutte le aree del sito, così da renderlo il più vivibile possibile. Prima del 2001, l’intera area era soggetta al degrado, era zona di traffici illeciti e bivacco della piccola criminalità; l’area circostante non era meno degradata, status delle cose che certo non favoriva il flusso dei visitatori”. Successivamente però, continua, “abbiamo cominciato a coinvolgere la cittadinanza tramite eventi all’interno del Parco e negli anni si è sviluppato un forte senso di appartenenza. Oggi vi sono aree adibite al passeggio e al ristoro dei nostri amici a quattro zampe e non solo, abbiamo dato la possibilità di accedere al Parco tutto l’anno pagando un abbonamento che costa quanto un singolo biglietto d’ingresso. Abbiamo inoltre provvisto il complesso di un’area espositiva dove non solo è possibile ammirare le meraviglie appartenute a una città romana del primo secolo d.C., ma anche numerose mostre temporanee”. L’intento di incrementare il numero di visitatori si è rivelato un successo, infatti “abbiamo attualmente un flusso, interrotto a causa dell’emergenza epidemiologica, composto per l’ottanta per cento da stranieri, per il venti per cento da italiani e per il nove per cento dalla popolazione locale nei giorni in cui l’ingresso è gratuito (e questo credo faccia parte di un più generico disinteresse nei confronti dei beni culturali). Il nostro intento, anche grazie alle numerose attività all’interno del Parco, consultabili sul nostro sito web, è quello di coinvolgere il più possibile la società locale; crediamo che questo sia il più importante punto di forza”. Naturalmente non è da sottovalutare il panorama web: “e infatti il nostro sito è strutturato in modo interattivo, ed è possibile visitare alcune sezioni del Parco archeologico in 3D; a breve il sito stesso sarà rinnovato, e già adesso gli utenti possono scaricare un’app dal Play Store, dal costo davvero esiguo, che è provvista di numerose funzionalità tra cui, appunto, la guida al sito archeologico e la modalità di visita in terza dimensione. Inoltre siamo molto attivi sui social; con brevi clip video, detti “lapilli”, si spiegano brevemente alcuni aspetti del Parco. Oggi non funzionano più le immagini con le didascalie o le mappe interattive; gli utenti adorano crogiolarsi nella visione di video, possibilmente brevi e che spieghino il più possibile. Questa è la nuova frontiera, e i Beni culturali non ne sono tagliati fuori. Avvicinarsi digitalmente alla cultura è oggi il modo più efficace per continuare a divulgarla”.
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