Corridoi umanitari: gli studenti di arabo fra tirocinio e volontariato

Aiutare le famiglie di rifugiati provenienti dal Medio Oriente a raggiungere la propria autonomia imparando la lingua italiana: la finalità del rapporto di collaborazione tra L’Orientale e la Diaconia Valdese di Napoli. L’esperienza di didattica dell’italiano lingua seconda e della mediazione linguistica e culturale viene proposta agli studenti di arabo dei Corsi Triennali e Magistrali sotto forma di tirocinio formativo.

Dorothea Müller, pastora valdese della Chiesa Cristiana del Vomero e della Chiesa metodista di Napoli, racconta l’iniziativa dei corridoi umanitari, resa possibile dalla collaborazione della Federazione Chiese Evangeliche, la Tavola Valdese e la Comunità di Sant’Egidio: “accogliamo famiglie di rifugiati che raggiungono in maniera legale e sicura l’Italia. Sono soprattutto persone provenienti da Siria e Libano, e da quest’anno abbiamo un nuovo protocollo per l’Afghanistan. Si è notato che all’inizio era complicato trovare corsi di italiano ben strutturati su Napoli e le famiglie non riuscivano ad inserirsi nella società. Allora abbiamo iniziato noi ad organizzare i corsi e per aiutare i nostri beneficiari abbiamo coinvolto la prof.ssa Capezio.

Il contributo dei tirocinanti è stato enorme”. Un’esperienza formativa a 360 gradi dalla quale si riceve molto, come spiega la prof.ssa Oriana Capezio, docente di Lingua e Letteratura araba: “si cresce da un punto di vista sia professionale che personale; si costruisce insieme il rapporto e il modo di lavorare; non esiste uno standard, lo creiamo ogni volta in base alle famiglie e agli studenti che partecipano. Negli studenti Magistrali si nota una formazione più approfondita, ma nei ragazzi della Triennale c’è una grande volontà, nonostante le difficoltà linguistiche che possono incontrare. Spesso mi viene chiesto di prolungare il periodo di tirocinio, e in molti casi i rapporti che si stringono in quel periodo continuano anche dopo, privatamente”. 

Le famiglie si mostrano riconoscenti come possono nei confronti dei tirocinanti, che li supportano sia dal punto di vista didattico che in altri aspetti della vita quotidiana, come accompagnarli dal medico o a scuola, quando questo era possibile. Il Covid ha cambiato tutto, e adesso i rapporti sono solo telematici. “È stato bellissimo vedere l’entusiasmo e la creatività dei tirocinanti che, come noi, non erano preparati a questi cambiamenti. Hanno saputo, con intelligenza e umanità, sviluppare nuovi metodi didattici”, racconta la pastora Müller, che continua: “mi stupisce sempre, in studenti ancora molto giovani, l’impegno e la convinzione con la quale si sperimentano e sono capaci di capire i propri limiti. Fanno solo quello che sanno fare e accettano gli errori che possono commettere, segno di grande maturità”. Il lato positivo della modalità telematica, dice la prof.ssa Capezio, è operare a livello nazionale. I tirocinanti vengono inseriti nel gruppo di lavoro della scuola della Diaconia Valdese e affiancano i docenti durante le lezioni: “apprendono la professione – continua la docente – ma hanno anche l’incarico di creare spazi propri in cui costruire il rapporto con i beneficiari. Possono svolgere attività di approfondimento, sempre in base alle loro competenze, che non sono solo linguistiche ma spaziano dall’ambito storico e religioso a quello culturale e letterario”. 
I beneficiari sono spesso intere famiglie, dalla nonna ai nipoti, quindi tante fasce d’età e tanti diversi livelli di educazione. In questi casi la bravura dei tirocinanti è anche quella di gestire le persone che vengono da ambienti, livelli di formazione e religioni diverse. Con ogni nuovo tirocinante vengono organizzati degli incontri, insieme ad Anna Cigliano, operatrice dei corridoi umanitari, in cui si introducono i ragazzi all’argomento. Tuttavia, non si tratta di una vera e propria formazione, perché di volta in volta si valutano le diverse esigenze degli apprendenti: “la formazione avviene facendo – dice la prof.ssa Capezio – si passa dalla teoria alla pratica e si sviluppano ogni volta nuovi metodi di insegnamento”. La risposta da parte degli studenti è stata così positiva negli anni che molti, completato il tirocinio, hanno chiesto di continuare come volontari.


Il racconto di Sofia e Ikram: “Sono scambi che arricchiscono”

L’esperienza degli studenti e delle studentesse è stata sempre caratterizzata da grande entusiasmo e voglia di mettersi in gioco. Il tirocinio non ha spaventato gli studenti triennali, che hanno spesso scelto di vivere l’esperienza di insegnamento alle famiglie di rifugiati e di misurarsi con il ruolo di mediatori linguistici e culturali. Tuttavia, la formazione, linguistica ma non solo, ha spinto in particolar modo i frequentanti dei Corsi di Laurea Magistrale a partecipare alle attività di tirocinio con la comunità valdese di Napoli, con l’occasione di mettere in pratica le competenze teoriche acquisite durante gli anni di studio. 
Sofia Di Russo è al secondo anno della Magistrale in Letterature e Culture Comparate e ha svolto il tirocinio tra i mesi di giugno e agosto. Durante questo periodo è stata una figura di supporto e di mediazione tra i professori di lingua italiana e i parlanti arabofoni che seguivano il corso: “il gruppo era spesso caratterizzato da un ampio range d’età, c’erano sia ragazzi di 16 anni che persone di 40 e 50 anni. La cosa che personalmente ho più apprezzato non è stato tanto insegnare, perché comunque sono una studentessa e da loro ho imparato moltissimo, ma confrontarmi con i dialetti arabi, e quello siriano in particolare.

È stato bellissimo il rapporto che si è instaurato dal punto di vista umano: ci parlavano del loro passato, della loro vita, dei parenti, e sono scambi che ti arricchiscono”. Ma arrivare a questi rapporti non è immediato e scontato, ci si può trovare di fronte persone più reticenti di altre, più timide di altre. Come si riesce a gestire questi casi? “Il mio punto di forza – racconta Sofia – è la gentilezza, a prescindere da chi ho di fronte. Se alle persone ti poni con gentilezza, funziona sempre, perché trasmetti il rispetto e la fiducia su cui si costruiscono i rapporti. C’è sempre stata la massima libertà nell’esprimersi, soprattutto durante gli spazi che mi ritagliavo con loro. Io rispondevo alle loro curiosità e loro alle mie”. Dal punto di vista personale, non è difficile immaginare come esperienze di questo tipo lascino un’impronta indelebile ed entrino a far parte del proprio bagaglio esperienziale. Dal punto di vista universitario, l’arricchimento è assicurato, soprattutto grazie al confronto con i dialetti regionali, aspetto lasciato in ombra nei corsi universitari: “l’arabo porta con sé delle difficoltà linguistiche importanti e avere scambi con loro mi ha portato a sforzarmi e oggi ho un linguaggio più articolato e completo”. Questa esperienza ha aperto a Sofia nuove prospettive future nell’ambito dell’insegnamento agli stranieri, ma anche in quello dell’accoglienza. Rispetto alle incertezze del futuro lavorativo: “tutti gli ambiti sono difficili. Già dagli anni universitari, però, capisci se c’è la motivazione utile a portarti avanti. La paura, invece, devi razionalizzarla e studiare e specializzarti in un campo è l’unica via per farlo. Se non provi neanche a combattere, hai perso la sfida in partenza”.

L’esperienza di Ikram Rachid è quella di chi in prima persona ha vissuto il distacco dalla propria cultura e l’arrivo in un posto nuovo e sconosciuto, in cui la lingua è il primo grande ostacolo da superare. Trasferitasi ancora bambina in Italia dal Marocco, Ikram racconta: 
“all’epoca ero l’unica straniera a scuola e ho vissuto l’impegno dei miei genitori nell’imparare la lingua italiana da soli. Oggi c’è una maggiore sensibilità al tema e questi corsi linguistici permettono di inserirsi in maniera più rapida in società e supportano, soprattutto nei primi mesi in Italia”. Al secondo anno di Lingue e Culture Comparate, Ikram ha svolto il tirocinio con la comunità valdese tra giugno e agosto: “ho frequentato la Triennale all’Università Aldo Moro di Bari, in Mediazione linguistica e culturale, e per anni ho fatto parte di un’associazione che, tra le altre cose, forniva corsi di italiano lingua seconda; quindi, l’ambito del tirocinio mi interessava molto. Mi sono occupata dell’insegnamento della lingua ai beneficiari più adulti, persone che hanno già una famiglia e con una conoscenza dell’italiano quasi pari a zero”.

I tempi di apprendimento della lingua non sono uguali per tutti e dipendono in gran parte dal livello di studi della persona cui si insegna e dalle motivazioni che la spingono a studiare. “C’erano anche coppie laureate, con una buona posizione sociale nel loro paese d’origine; loro hanno acquisito velocemente un ottimo livello di italiano. Quasi tutti i beneficiari sono arrivati nell’estate del 2020, in piena pandemia, e non hanno avuto modo di fare conoscenze – continua Ikram – Sono persone molto motivate, sanno di dover imparare la lingua per inserirsi nella società e aiutare anche i figli a farlo. Avevamo con loro anche degli spazi dedicati in cui spesso ci chiedevano di apprendere l’italiano colloquiale, quello di cui hanno più bisogno nella quotidianità”. La difficoltà maggiore per la studentessa: i beneficiari parlavano spesso in arabo, perché sapevano di venire comunque capiti, a dimostrazione di una formazione dei tirocinanti adeguata e puntuale. “Questa esperienza ha permesso di formarmi in un certo ambito e oggi so che riuscirei ad affrontare una professione di questo tipo. Ci sono sempre le paure di non aver raggiunto il migliore livello possibile, ma i tutor ci hanno sempre incoraggiati e motivati, riconoscendo le nostre competenze”, conclude Ikram.

Scarica gratis il nuovo numero di Ateneapoli su www.ateneapoli.it

- Advertisement -

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here





Articoli Correlati