Marino Niola, l’antropologo paladino della Dieta Mediterranea

Ci ha osservato e raccontato attraverso le nostre tradizioni, le paure dei nostri giorni e perfino il nostro rapporto con la tavola: dalle pagine dei suoi libri, dagli schermi televisivi, ma soprattutto nelle aule del Suor Orsola Benincasa. Nome di chiara fama, il prof. Marino Niola, docente di Antropologia dei simboli, Antropologia delle arti e della performance, Miti e riti della gastronomia contemporanea, trasmette ogni giorno ai suoi studenti e alla sua équipe di ricerca la passione per la scienza che ‘studia l’uomo’, amore che in lui è presente fin dai primi anni di vita. “Mi sono avvicinato all’antropologia da bambino – racconta – quando la mia passione era rivolta ai miti greci. Ho sempre avuto un interesse particolare per le diversità culturali, le minoranze: mi ricordo che quando con gli altri bambini  si giocava ad ‘indiani e cowboy’ io volevo sempre fare l’indiano! Poi mi sono avvicinato seriamente alla disciplina quando ho iniziato l’università e ho letto il saggio ‘Tristi Tropici di Levi Strauss’, è stato un colpo di fulmine”. Erano gli anni ’70 e da allora il percorso è stato tutto all’insegna degli studi antropologici, con un curriculum da fare invidia, e con una cattedra, oggi, che si nutre di attività di ricerca, di rapporti con organismi e istituzioni nazionali e internazionali, e che coinvolge gli studenti con uno studio critico e divertente.
“Le lezioni per noi erano anche incontri emotivi”
Il prof. Niola, infatti, fa una dura critica alle università di oggi, sterili contenitori, depauperate nei contenuti da una riforma cieca e devastante. “L’università prima era divertente, meno burocratica, meno tabellare. Le lezioni per noi erano anche incontri emotivi. Quello che manca agli studenti, adesso, è avere davanti dei docenti che pensano con loro, che con loro ragionino su cose nuove. Io ricordo come i miei Maestri facessero in aule dei veri ‘esperimenti di pensiero’. Oggi ai ragazzi si somministrano pillole preconfezionate. Siamo un format”, aggiunge. Poi evidenzia: “L’articolazione attuale dell’università, in seguito alle varie riforme, è basata sulla considerazione di soli criteri quantitativi. Sono soprattutto criteri tarati per le Facoltà scientifiche, dove si produce anche in maniera più veloce, mentre la ricerca umanistica prevede una lunga elaborazione di pensiero prima di arrivare al prodotto finale. Ne usciamo molto penalizzati”.
Altra deriva verso la quale si sta dirigendo il sistema universitario è quella dell’autocolonizzazione anglosassone: “Ci siamo piegati alla lingua inglese e alla cultura anglosassone, con un conseguente impoverimento, soprattutto per noi umanisti”.
Ma in questo quadro si riescono comunque a portare a casa buoni risultati con punte di eccellenza, come sono gli attuali…
 
Articolo pubblicato sul nuovo numero di Ateneapoli in edicola (n. 5/2016)
o in versione digitale all'indirizzo: https://www.ateneapoli.it/archivio-giornale/ateneapoli
 
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