Quella di Marta Giovannetti è una storia che merita di essere raccontata. Originaria di Pietrasanta, in Toscana, dopo la Laurea Magistrale in Archeologia medievale all’Università di Pisa ha deciso di trasferirsi, a 27 anni, nella nostra città per ragioni sentimentali e di studio. Ha frequentato la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici del Suor Orsola Benincasa della quale aveva conoscenza grazie ad un tirocinio svolto con il team del prof. Federico Marazzi, la campagna di scavo al Monastero di San Benedetto de Jumento Albo a Civitanova del Sannio. Marta ha conseguito il titolo il 22 aprile, con il massimo dei voti e la lode, discutendo la tesi “Economia e olivicoltura nella Campania medievale (VIII-XI secolo)”, relatore il prof. Marazzi. Proprio come un filo rosso, il suo lavoro si profila come il coronamento di uno studio iniziato con l’elaborato di Laurea Triennale incentrato su un quadro generale dell’archeologia dell’olio e del vino, e portato avanti con la tesi Magistrale più rivolta alla tardoantichità ma sempre inerente alla produzione dell’olio e alla circolazione delle anfore olearie. Cuore della tesi di Specializzazione è un macchinario rinvenuto durante le campagne di scavo nel castello di Rupecanina a Sant’Angelo d’Alife, probabilmente una struttura del X secolo unica in tutta la regione. “Pensando che potesse avere a che fare con la produzione di olio o vino, ho scoperto che, effettivamente, era una base di torchio fatta a vasca. In seguito ho analizzato tutti i confronti provenienti dall’area dell’Israele e del nord Africa dal momento che lì ci sono molti più resti per quanto riguarda queste produzioni ma, visto che il torchio viene usato sia per produrre vino che olio, persisteva comunque il dubbio. Anche se nelle fonti relative a questo insediamento non c’era niente inerente a degli oliveti coltivati nei dintorni nel X secolo, oggi però vediamo che l’intera area, con i suoi versanti collinari ben esposti, è strettamente legata all’olivicoltura”, racconta Marta. Una spia della probabile produzione olearia del macchinario potrebbe essere la superficie interna interamente intonacata del torchio, con un’analisi dell’intonaco infatti si potrebbe rilevare l’effettiva presenza dei biomarker dell’olio di oliva. A rafforzare ancora di più la tesi di Marta vi è una macina, chiaramente reimpiegata alla base del torchio, normalmente impiegata nelle installazioni per la frangitura. Fondamentale nella realizzazione della tesi è stato il corso di Cartografia Archeologica e GIS (Geographic Information System) tenuto dalle prof.sse Giuseppina Renda e Stefania Gigli Quilici dell’Università Vanvitelli, in convenzione con il Suor Orsola Benincasa, che la specializzanda ha seguito. Un passaggio basilare è stato l’analisi delle fonti edite come il Chronicon Vulturnense e altri libri reperiti nella biblioteca LATEM (Laboratorio di Archeologia Tardoantica e Medievale) dal direttore Marazzi, così come fonti pubblicate online dall’Istituto Storico per il Medioevo durante la pandemia. “Ho estrapolato tutti gli elementi relativi alla presenza di oliveti in Campania nei secoli, realizzato le carte archeologiche con GIS per visualizzare l’espansione dell’olivicoltura e condotto quest’ analisi considerando anche le trasformazioni del paesaggio agrario e i grandi eventi economici, politici e sociali che si sono susseguiti tra VIII e XI secolo. Dal momento che l’olio è un prodotto importante per la vita di tutti i giorni e che non si usava solo in campo alimentare ma era il maggior combustibile dell’antichità, non posso pensare che non fosse collegato anche ai grandi circuiti economici come lo era nell’età romana”. Ulteriore intralcio alla ricostruzione storica del commercio oleario “è la questione dei contenitori. Mentre in epoca romana e tardoantica l’olio era immagazzinato all’interno di anfore che ben si prestano alla conservazione, in epoca medievale si adoperano contenitori deperibili come gli otri di pelle” chiarisce Marta che oggi si occupa di sorveglianze archeologiche sui lavori pubblici. Il suo sogno, però, è quello di dedicarsi alla ricerca. “Se ci si impegna, se si tiene duro, lavorare con la propria laurea non è solo un sogno, è realtà”, il suo messaggio agli studenti di Archeologia.
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