Harmont&Blaine: “fare eccellenza a Napoli si può”

Un caso di interesse nazionale. Una società napoletana che sta scalando i vertici del mercato internazionale dell’abbigliamento maschile di lusso, raccogliendo premi e riconoscimenti. Per i più è ‘la marca del cagnolino’. Nome commerciale Harmont&Blaine. Mercoledì 16 aprile, a circa un anno e mezzo dal primo incontro con gli studenti, Domenico Menniti, proprietario dell’azienda, ha raccontato, agli studenti del corso di Economia e Gestione delle Imprese del prof. Paolo Stampacchia, gli ultimi tredici anni della sua storia di imprenditore, nata sulle ceneri della guanteria di famiglia. 
Alto, grosso, occhi sporgenti, parla dei suoi problemi di imprenditore meridionale, che ha scelto di restare a Napoli, e del tanto che resta ancora da fare, riuscendo a comunicare il senso di fatica e precarietà che prova chi fa impresa in un’epoca di totale apertura dei mercati. “Frequentate un’università che rappresenta un marchio di qualità nel mondo della cultura, ma non dovete pensare che vi possa servire solo per accettare un lavoro al Nord con uno stipendio che non vi basterà nemmeno a mantenervi. Fare eccellenza a Napoli si può, la nostra storia lo dimostra”. La Harmont&Blaine nasce nel 1995 ma comincia il suo cammino virtuoso sei anni più tardi, nel 2001 ‘l’anno più difficile’, e si presenta come una piccola azienda che presenta un prodotto completo in un settore già saturo e maturo. “Siamo qui perché abbiamo fatto la scelta più difficile e non abbiamo ascoltato i consigli di nessuno”. Le difficoltà e le diseconomie che un’azienda del Sud incontra sono molte: velocità commerciale più bassa d’Europa, emergenza criminalità, costo del denaro più alto, anche se l’impresa ha merito creditizio. Nonostante queste difficoltà, l’impresa è passata da 20 dipendenti a 145, più i 600 dell’indotto ed è ormai presente a prestigiose rassegne di moda, come Pitti Uomo. “Vendiamo il profumo della capacità italiana che nasce in un posto in cui 2mila anni fa l’imperatore Tiberio veniva a trascorrere le vacanze” dice sottolineando ironicamente la parola ‘profumo’, in tempi di emergenza rifiuti. Non l’unica, visto le condizioni economiche generali. “A chi sostiene che oggi il prodotto cinese è un problema, rispondo che è, invece, un ammortizzatore sociale. Con il costo della vita e i salari attuali, i lavoratori non avrebbero altra alternativa che la rivoluzione. Se vogliamo dare un segnale, dobbiamo mettere in busta paga almeno 300 euro, ma a noi ne costano almeno 900 e, inoltre, abbiamo deciso di dare un premio di 250 euro”. Un esempio per spiegare il mercato al tempo della globalizzazione. “Se prima era una piramide, ora è una clessidra, con una parte alta che, nonostante tutto, si dilata, una bassa e, nel mezzo, una strozzatura che rappresenta la fascia media sempre più esigua”. In due anni, circa 60mila famiglie hanno perso liquidità ed un’azienda come la Harmont&Blaine che occupa il livello più basso della fascia di mercato media, per evitare di vedersi erodere la clientela, deve necessariamente cercare nuovi consumatori in Russia, India, Medio Oriente e Cina dove ha recentemente inaugurato dieci boutique. “Sono paesi con forti disparità sociali, dove vive una platea di super ricchi che fa spavento, ma per la quale il vecchio binomio denaro-cultura non vale più”. Per fare proseliti presso il nuovo pubblico che si va delineando e riposizionare il marchio verso l’alto, l’azienda ha rinunciato al 10% del proprio fatturato e investito in campagne promozionali mirate. I volti scelti sono quelli di personaggi di grande talento, carisma e successo, ma con una punta di grossolanità che compare a tratti. Rosario Fiorello, Paolo Bonolis, Fabio Cannavaro. “Per il nuovo testimonial, attraverso il quale pensiamo di rilanciarci in maniera un po’ differente, abbiamo tre candidati: Raul Bova, Alessandro Gassman, Gianluigi Buffon. Secondo voi quale prenderemo?”. 
“Cina e India 
stanno cambiando 
la storia economica”
Anche da noi, però, la società si sta lentamente polarizzando. Prova ne sono le file davanti ad alcuni negozi di lusso, mentre tutti gli altri sono vuoti. “Insieme con ogni capo, vendiamo un pezzetto di Colosseo, ma non può durare all’infinito”. Fra pochi mesi, sbarcherà in Europa un’azienda di moda cinese, diretta da un francese, che nel prodotto metterà il proprio valore aggiunto: una cultura del bello che ha una storia lunga il doppio della nostra. “In Cina ho visto aziende con tecnologie elevatissime, in grado di realizzare manufatti di altissima qualità. Laggiù sta crescendo una nuova classe di architetti e ingegneri molto sofisticata. Nel breve periodo l’impatto di India e Cina cambierà la storia economica in maniera molto interessante”. Come si preparano un’azienda ed una comunità ad affrontare un cambiamento probabilmente epocale? “Con la coerenza. Da queste parti abbiamo aspirazioni da terzisti. Facciamo buoni prodotti, ma non lo sappiamo comunicare. Non investiamo sulle persone, ma i dipendenti devono sentirsi parte di un progetto vincente. Bisogna investire sulle capacità. In questo senso, la nostra sembra più un’azienda giapponese, con un’unica vertenza sindacale in più di trent’anni”. 
“Mi sembra importante sottolineare che il mondo da Atlanticocentrico stia diventando sempre più Pacificocentrico” sottolinea il prof. Stampacchia. Menniti risponde rivolgendosi agli studenti: “non deponete il cervello. È l’elemento più importante che abbiate. La cultura universitaria sarà solo la base che dovrete saper contaminare il più possibile per piegare la tecnica all’istinto. Investite su di voi, non abbandonate la curiosità, cercate di essere un po’ cinesi e capire come si vive a Canton, con l’85% di umidità”. “All’inizio, vi siete affermati con delle camicie che avevano il colletto e i polsi diversi dal resto. Ora cambierete qualcosa?” domanda uno studente. “Pensiamo di differenziare la linea giovane, nella quale andare avanti con la ricerca del colore per la quale siamo famosi ed una classica. Magari con etichettature differenti, un po’ come la Ralf Loren. Recentemente abbiamo aggiunto anche una linea bambino”. 
Al termine dell’incontro il messaggio, ripetuto più volte, è chiaro: da Napoli si può.
Simona Pasquale 
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