“Un uomo dall’inestinguibile curiosità, dallo spirito avventuroso e dall’inespugnabile giovinezza”, così il Rettore Francesco De Sanctis definisce il Preside della Facoltà di Lettere Piero Craveri nella giornata di studi in suo onore organizzata nella Sala degli Angeli del Suor Orsola il 12 maggio. Per festeggiare i 70 anni del Preside amici, colleghi e allievi si sono incontrati per riflettere su Politica e storia, uno dei temi più cari al professor Craveri che nella sua carriera ha sempre congiunto la passione politica con l’interesse storiografico.
Al convegno, presieduto dal professor Giuseppe Galasso sono intervenuti alcuni tra i maggiori storici italiani, i professori Massimo Teodori, Paolo Pombeni, Simona Colarizi, Mario Rusciano, Gaetano Guagliariello, Maurizio Griffo e Eugenio Capozzi che hanno analizzato i principali argomenti su cui si è incentrata la ricerca scientifica di Craveri.
Fermezza e costanza nell’indagine intellettuale sono le doti che, secondo il prof. Galasso, meglio descrivono il carattere del Preside: “soprattutto il sostanziale, intimo rispetto della pluralità delle vie possibili rispecchia lo spirito di Pietro. E’ un uomo che dà l’impressione di essere un componente dell’Abbazia de li Frati Gaudenti e poi non si capisce come faccia a trovare il tempo per lavorare tanto”.
Il profilo di Craveri è caratterizzato “dal disinteresse personale e dall’anti-carrierismo professionale. Non hai mai mostrato alcuna intenzione strumentale di potere – ha affermato il professor Teodori – Ha sempre cercato la sua strada indipendentemente e spesso malgrado la posizione prestigiosissima che la sua nascita gli consentiva”.
Nato a Torino, il nipote di Benedetto Croce si è laureato a Roma in Giurisprudenza con 110 e lode con una tesi sui giuristi napoletani del XVII e XVIII secolo, pubblicata sugli “Annali di storia del diritto”. Dopo un anno di studi al CNR a Parigi ha insegnato nelle Università di Genova, Messina, Napoli e Roma conseguendo l’Ordinariato a soli 46 anni. E’ stato membro del consiglio scientifico di Confindustria, del Fondo sociale europeo presso la Commissione europea di Bruxelles e senatore nel 1987; è Presidente del Consorzio per il Restauro del Mezzogiorno e del Comitato di Gestione della Scuola Europea di Studi Avanzati, eppure conserva un’umiltà sorprendente: “Quando il Rettore mi ha presentato questo convegno gli ho chiesto come gli fosse venuto in mente di organizzare una giornata per una persona che non è mai riuscita a prendersi sul serio – racconta – Invece oggi sono stato preso fin troppo sul serio. Mi hanno fatto arrossire. Massimo mi ha messo su un piedistallo. Sono apparso quasi un ideal-tipo senza la fragilità che mi accompagna.”
Al convegno, presieduto dal professor Giuseppe Galasso sono intervenuti alcuni tra i maggiori storici italiani, i professori Massimo Teodori, Paolo Pombeni, Simona Colarizi, Mario Rusciano, Gaetano Guagliariello, Maurizio Griffo e Eugenio Capozzi che hanno analizzato i principali argomenti su cui si è incentrata la ricerca scientifica di Craveri.
Fermezza e costanza nell’indagine intellettuale sono le doti che, secondo il prof. Galasso, meglio descrivono il carattere del Preside: “soprattutto il sostanziale, intimo rispetto della pluralità delle vie possibili rispecchia lo spirito di Pietro. E’ un uomo che dà l’impressione di essere un componente dell’Abbazia de li Frati Gaudenti e poi non si capisce come faccia a trovare il tempo per lavorare tanto”.
Il profilo di Craveri è caratterizzato “dal disinteresse personale e dall’anti-carrierismo professionale. Non hai mai mostrato alcuna intenzione strumentale di potere – ha affermato il professor Teodori – Ha sempre cercato la sua strada indipendentemente e spesso malgrado la posizione prestigiosissima che la sua nascita gli consentiva”.
Nato a Torino, il nipote di Benedetto Croce si è laureato a Roma in Giurisprudenza con 110 e lode con una tesi sui giuristi napoletani del XVII e XVIII secolo, pubblicata sugli “Annali di storia del diritto”. Dopo un anno di studi al CNR a Parigi ha insegnato nelle Università di Genova, Messina, Napoli e Roma conseguendo l’Ordinariato a soli 46 anni. E’ stato membro del consiglio scientifico di Confindustria, del Fondo sociale europeo presso la Commissione europea di Bruxelles e senatore nel 1987; è Presidente del Consorzio per il Restauro del Mezzogiorno e del Comitato di Gestione della Scuola Europea di Studi Avanzati, eppure conserva un’umiltà sorprendente: “Quando il Rettore mi ha presentato questo convegno gli ho chiesto come gli fosse venuto in mente di organizzare una giornata per una persona che non è mai riuscita a prendersi sul serio – racconta – Invece oggi sono stato preso fin troppo sul serio. Mi hanno fatto arrossire. Massimo mi ha messo su un piedistallo. Sono apparso quasi un ideal-tipo senza la fragilità che mi accompagna.”
I suoi Maestri
Eleganza, savoir faire e un sorriso aperto contraddistinguono il Preside che riconosce come suoi maestri grandi storici quali Chabod, Romeo e lo stesso Galasso: “Naturalmente nella mia esperienza la presenza di Croce c’è stata ma è una cosa che ho approfondito con il tempo. A 16-17 anni ero già militante socialista, mi precipitavo a fare le relazioni nelle sezioni. Dopo il periodo universitario lasciai il partito socialista ed entrai in quello radicale. Poi sono divenuto un radical-socialista.”
Craveri ha, dunque, respirato in casa la passione per la storia sin da giovanissimo: “Le vecchie filodrammatiche erano composte da famiglie che perpetuavano l’arte drammatica di generazione in generazione. Io appartengo ad una vecchia filodrammatica italiana: mi son trovato con la penna in mano molto presto. Ho iniziato gli studi giuridici e poi ho finito per fare una tesi in Storia del Diritto. Successivamente la passione civile e quella politica mi hanno condotto verso la storia delle idee culturali e politiche”.
Il Preside ricorda che l’Università, quando era studente, non era ancora un’istituzione di massa: “In tutt’Italia allora c’erano 4000-5000 Ordinari. Era un’Università d’elite soprattutto dal punto di vista del corpo docente. Prevaleva un modello elitario borghese anche tra i ragazzi che la frequentavano. Ovviamente ce ne erano di bravi e meno bravi ma essere arrivati all’università significava di per sé avere acquistato uno status. Oggi non è più così, soprattutto nel Mezzogiorno”.
Il Preside ritiene che nel sud Italia vi sia una maggiore consapevolezza di quanto il rafforzamento della propria formazione generale e professionale sia indispensabile per accedere al mondo del lavoro: “Questo sarà uno dei punti fondamentali per le Università italiane se avranno l’opportunità di svilupparsi in autonomia. Prevarranno quelle che garantiranno una migliore preparazione”.
Giunto nel 1996 al Suor Orsola Benincasa, il professor Craveri è divenuto Preside di una Facoltà in formazione: “Allora eravamo in 3, ora siamo quasi 40 docenti, un numero esiguo ma già consistente. Quello che più mi fa piacere è che siamo ciò che una volta si definiva un ‘corpo accademico’: tra noi c’è comunicazione, conosciamo rispettivamente il lavoro scientifico e il valore dell’altro. Il rapporto non è burocratizzato e speriamo che questo tratto si conservi. E’ una grande forza che permette di non frantumare i contenuti, di renderli collegiali.”
Craveri è convinto che nei prossimi anni, anche in sede ministeriale, si porrà un forte accento sugli studi scientifici per tentare di recuperare il gap tra l’Italia e i paesi europei ed extra-europei. Tuttavia dichiara con fermezza: “Una buona cultura scientifica non può nascere senza una buona cultura umanistica. Non a caso gli alunni che provengono dal liceo classico, dopo un breve disorientamento iniziale, spesso sono i migliori anche nel settore scientifico”. Nel XXI secolo, dunque, la funzione della cultura umanistica rimane intatta: “è di supporto al sistema, uno dei gangli essenziali della formazione”.
La sfida è tentare di diversificare le strutture didattiche in modo da avere delle articolazioni più vicine all’obiettivo professionalizzante senza togliere spazio alla ricerca: “Non si fa apprendimento professionale se non c’è chiarezza di idee ma tali idee non proliferano se non vi è sviluppo di alta cultura”.
Il Preside si rammarica che gli studenti, paradossalmente, si interessano di più agli avvenimenti più lontani che a quelli più vicini: “Non parliamo poi della storia contemporanea nazionale… C’è come una cesura mentale con il passato. Però la gente sta cominciando a rendersi conto che viviamo in un’epoca molto competitiva, in cui il cambiamento è rapido, le condizioni dell’esistenza non sono prefissate ma si trasformano costantemente. Noto che sta crescendo la curiosità verso la storia come metodo per guardare al passato e quindi al presente”.
L’ignoranza sugli avvenimenti del XX secolo dilaga ma il Preside non attribuisce interamente ai ragazzi la responsabilità di questa lacuna: “I libri di testo delle scuole medie sono in gran parte pessimi, la formazione degli insegnanti è discutibile.” Ritiene, inoltre, che il problema centrale sia la qualità dell’apprendimento: “Sono convinto che a scuola sia fondamentale non tanto imparare le singole materie, quando familiarizzare con un metodo. Vedo persone che terminano gli studi senza saper memorizzare o organizzarsi mentalmente. In questo spesso la scuola e il nostro sistema sociale non aiutano affatto”. E avverte i ragazzi cresciuti nell’era di Internet che le nuove tecnologie possono essere uno strumento formidabile ma solo se usate nel modo giusto: “L’uso di Internet ha sviluppato la capacità di accedere con facilità ad una massa di informazioni più varia di una volta ma si finisce per considerare spesso fonti primarie quelle che non lo sono. C’è il rischio di un impoverimento per l’eccessiva semplificazione ma sta anche all’università scongiurare questo pericolo”.
Manuela Pitterà
Craveri ha, dunque, respirato in casa la passione per la storia sin da giovanissimo: “Le vecchie filodrammatiche erano composte da famiglie che perpetuavano l’arte drammatica di generazione in generazione. Io appartengo ad una vecchia filodrammatica italiana: mi son trovato con la penna in mano molto presto. Ho iniziato gli studi giuridici e poi ho finito per fare una tesi in Storia del Diritto. Successivamente la passione civile e quella politica mi hanno condotto verso la storia delle idee culturali e politiche”.
Il Preside ricorda che l’Università, quando era studente, non era ancora un’istituzione di massa: “In tutt’Italia allora c’erano 4000-5000 Ordinari. Era un’Università d’elite soprattutto dal punto di vista del corpo docente. Prevaleva un modello elitario borghese anche tra i ragazzi che la frequentavano. Ovviamente ce ne erano di bravi e meno bravi ma essere arrivati all’università significava di per sé avere acquistato uno status. Oggi non è più così, soprattutto nel Mezzogiorno”.
Il Preside ritiene che nel sud Italia vi sia una maggiore consapevolezza di quanto il rafforzamento della propria formazione generale e professionale sia indispensabile per accedere al mondo del lavoro: “Questo sarà uno dei punti fondamentali per le Università italiane se avranno l’opportunità di svilupparsi in autonomia. Prevarranno quelle che garantiranno una migliore preparazione”.
Giunto nel 1996 al Suor Orsola Benincasa, il professor Craveri è divenuto Preside di una Facoltà in formazione: “Allora eravamo in 3, ora siamo quasi 40 docenti, un numero esiguo ma già consistente. Quello che più mi fa piacere è che siamo ciò che una volta si definiva un ‘corpo accademico’: tra noi c’è comunicazione, conosciamo rispettivamente il lavoro scientifico e il valore dell’altro. Il rapporto non è burocratizzato e speriamo che questo tratto si conservi. E’ una grande forza che permette di non frantumare i contenuti, di renderli collegiali.”
Craveri è convinto che nei prossimi anni, anche in sede ministeriale, si porrà un forte accento sugli studi scientifici per tentare di recuperare il gap tra l’Italia e i paesi europei ed extra-europei. Tuttavia dichiara con fermezza: “Una buona cultura scientifica non può nascere senza una buona cultura umanistica. Non a caso gli alunni che provengono dal liceo classico, dopo un breve disorientamento iniziale, spesso sono i migliori anche nel settore scientifico”. Nel XXI secolo, dunque, la funzione della cultura umanistica rimane intatta: “è di supporto al sistema, uno dei gangli essenziali della formazione”.
La sfida è tentare di diversificare le strutture didattiche in modo da avere delle articolazioni più vicine all’obiettivo professionalizzante senza togliere spazio alla ricerca: “Non si fa apprendimento professionale se non c’è chiarezza di idee ma tali idee non proliferano se non vi è sviluppo di alta cultura”.
Il Preside si rammarica che gli studenti, paradossalmente, si interessano di più agli avvenimenti più lontani che a quelli più vicini: “Non parliamo poi della storia contemporanea nazionale… C’è come una cesura mentale con il passato. Però la gente sta cominciando a rendersi conto che viviamo in un’epoca molto competitiva, in cui il cambiamento è rapido, le condizioni dell’esistenza non sono prefissate ma si trasformano costantemente. Noto che sta crescendo la curiosità verso la storia come metodo per guardare al passato e quindi al presente”.
L’ignoranza sugli avvenimenti del XX secolo dilaga ma il Preside non attribuisce interamente ai ragazzi la responsabilità di questa lacuna: “I libri di testo delle scuole medie sono in gran parte pessimi, la formazione degli insegnanti è discutibile.” Ritiene, inoltre, che il problema centrale sia la qualità dell’apprendimento: “Sono convinto che a scuola sia fondamentale non tanto imparare le singole materie, quando familiarizzare con un metodo. Vedo persone che terminano gli studi senza saper memorizzare o organizzarsi mentalmente. In questo spesso la scuola e il nostro sistema sociale non aiutano affatto”. E avverte i ragazzi cresciuti nell’era di Internet che le nuove tecnologie possono essere uno strumento formidabile ma solo se usate nel modo giusto: “L’uso di Internet ha sviluppato la capacità di accedere con facilità ad una massa di informazioni più varia di una volta ma si finisce per considerare spesso fonti primarie quelle che non lo sono. C’è il rischio di un impoverimento per l’eccessiva semplificazione ma sta anche all’università scongiurare questo pericolo”.
Manuela Pitterà