Migrazioni di studenti e docenti all’estero e le opportunità in terra straniera: continuiamo il nostro viaggio con il prof. Amedeo Arena, 35 anni, docente di Diritto dell’Unione Europea. Laurea in Giurisprudenza all’Università di Roma Tor Vergata (“ma fieramente napoletano”), dottorato a Napoli alla Federico II durante il quale frequenta il suo primo Master in Diritto europeo della concorrenza al King’s College di Londra. Una volta terminato, vince un assegno di ricerca e consegue un secondo Master alla New York University, presso la quale collabora a un progetto sulla normativa comparata internazionale in materia di antitrust. Rientrato a Napoli, vince il primo concorso da ricercatore alla Federico II e partecipa al bando STAR (Sostegno Territoriale alle Attività di Ricerca) finanziato dal Banco di Napoli, grazie al quale ottiene una borsa per la University College di Londra. A 33 anni, è diventato il più giovane associato d’Italia nel suo settore. Arena racconta i progressi svolti nel Vecchio Continente in materia di mobilità dei lavoratori, dagli anni ’50 in poi, e la sua personale sfida del rientro. “Il dottore va a casa dell’ammalato che soffre di debolezza del tessuto economico e amministrazioni poco flessibili”, dice con ironia. Poi sottolinea: “Qui abbiamo tradizioni molto forti e primati culturali”, però dall’estero possiamo importare “alcune buone pratiche, come l’informalità accademica e il coinvolgimento dei giovani, che hanno tante cose da dire”. Londra e New York, metropoli dove in parte si è formato, “sono città globali. Napoli lo era nel Settecento, ma può tornare ad esserlo, per esempio nella formazione, grazie alle tante iniziative di internazionalizzazione e a programmi come l’Erasmus e il Fulbright”. Un ritorno, il suo, ispirato a Gaetano Filangieri, a cui a maggio verrà dedicata una conferenza, il quale ha influenzato il progetto costituzionale americano. “Era un antesignano della libera concorrenza e della libertà in commercio, uno dei primi, insieme a Ricardo e Smith, a intuirne il valore. È un modo per coltivare l’internazionalizzazione senza dimenticare chi siamo. La napoletanità ha un valore e va esportata, perché ha in sé concetti di cosmopolitismo, apertura e rinnovamento dell’identità, da riscoprire”. Come il mercato delle merci, anche quello delle professioni ha necessità di allargare i confini. Il Premio Nobel Paul Samuelson sostiene che una delle poche teorie economiche non ancora confutate dice che nel commercio internazionale l’unione fa la forza e la libertà di commercio arricchisce tutti i paesi che vi partecipano. Nella Conferenza di Messina, canovaccio del Trattato di Roma del ’57, c’è scritto che la fusione dei mercati nazionali in un unico mercato continentale è una necessità assoluta. Da allora, la Comunità Europea ha tentato di rendere i migranti non stranieri, disegnando una mobilità basata sul ricongiungimento familiare, l’assistenza sanitaria e il mutuo riconoscimento dei titoli professionali. Architetti, medici, infermieri, avvocati, sono tutti esempi di professionisti in grado di operare, con il proprio titolo d’origine, in qualsiasi Stato membro. Un risultato non ancora raggiunto negli Stati Uniti. “La disciplina è molto solida; permane la sfida culturale, eppure comincia a diffondersi l’idea che i cittadini europei che lavorano in un altro paese dell’Unione non siano stranieri ed è ormai quasi scontato per i giovani studiare, lavorare e aprire attività in un altro Stato membro”. Queste opportunità come sono percepite dai nostri studenti e quanto sono colte? “Sempre di più. Oltre i programmi più famosi, ci sono altre soluzioni, come le simulazioni processuali; l’anno scorso a Napoli abbiamo ospitato le finali regionali. Gli studenti vestono i panni dell’avvocato, confrontandosi con persone da oltre cento università del mondo. A Giurisprudenza c’è una lista di insegnamenti in inglese. A Scienze Politiche una Laurea Magistrale in inglese. I mezzi spesso sono limitati, il personale è sotto organico, ma si sta facendo molto, a cominciare dall’esperienza Apple”, prosegue il professore, che racconta degli accordi bilaterali sviluppati, uno dei quali con l’Università di Denver che consente agli allievi napoletani e d’oltreoceano di visitare la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione. Fra le idee in cantiere c’è una proposta di convenzione con l’Università di Chicago volta al conseguimento di un doppio titolo. “Napoli ha molto da offrire, sarebbe bello se si affermasse come un hub per lo studio all’estero, con delle scuole estive. La classe accademica è all’altezza”. Cosa del quadro europeo non è stato ancora pienamente attuato? “Andrebbe completata l’unione fiscale, con delle autentiche tasse europee da reinvestire sul territorio e il continente dovrebbe avere una vera politica estera, soprattutto ora che ci sono tante tensioni. La Brexit potrebbe mostrare la differenza fra l’essere o no parte del blocco. Anche se l’auspicio è che si ritiri la notifica di recesso, inglesi, scozzesi e gallesi sono nostri fratelli europei. La storia si ripete: quando c’è crisi, si dà la colpa agli stranieri. Speriamo di aver appreso qualche lezione”. La ricchezza culturale non deve diventare un ostacolo all’innovazione. “Il mondo va in un’altra direzione. Quando ci confrontiamo con il Giappone o la Corea del Sud, sono evidenti il numero dei laureati e le loro percentuali occupazionali, molto superiori alle nostre. Abbiamo delle cose da rivedere”.
Simona Pasquale