“Fare mente locale” all’Università

La scelta post-diploma è un momento critico e cruciale per molti studenti che possono provare dubbi e incertezze come avviene solitamente nelle fasi di passaggio: lasciano un ambiente scolastico familiare, e per certi versi rassicurante, per intraprendere un percorso formativo che reca con sé le incertezze dell’ignoto.
Tante, infatti, sono le possibilità che si prospettano, tanti sono i Corsi di studio esistenti, discipline affini dai labili confini, che non sempre sono chiare agli studenti che le scelgono. Il ventaglio delle possibilità formative e occupazionali di alcuni Corsi di studio dà agli studenti la sensazione di poter fare “tutto e niente”. “Tutto” perché si toccano molte aree di interesse, “niente” perché non si viene formati per un settore specifico e definito. Spesso si tende a scegliere solo in vista degli sbocchi occupazionali, penalizzando l’espressione più autentica dei propri desideri, che invece andrebbe sicuramente esplorata e seguita. Il consiglio che si può dare a un giovane è quello di incrociare motivazioni personali (gusti per una determinata disciplina, per un certo tipo di studi, passioni coltivate già a scuola e che ora all’Università possono sbocciare etc.) e considerazioni più oggettive, legate alle possibilità occupazionali.  
Ma cosa succede una volta dentro? Che succede quando gli studenti si imbattono nel mondo universitario? Molto dipende dal Corso di studio scelto, ma anche dalla personalità e dalla motivazione di uno studente. All’inizio, specie nei Corsi di studio “affollati”, gli studenti si possono sentire “matricole” anonime, che cercano una propria dimensione nel labirinto delle possibilità: un proprio “posto” dentro il sistema. Fin dall’inizio gli studenti sono chiamati a conoscere il sistema universitario e il suo funzionamento, destreggiandosi in un contesto ampio e vario, dove la sensazione di spaesamento può essere molto comune. 
In questa fase di transizione e cambiamento, gli studenti possono sentirsi entusiasti nel pensare a un proprio progetto personale, formativo e di vita, ma allo stesso tempo essere dubbiosi e preoccupati perché è l’inizio di una nuova fase della propria esistenza. Molte matricole, disorientate, sentono vacillare anche le convinzioni sulla propria scelta. Tuttavia le incertezze e i ripensamenti possono essere l’espressione naturale di una fase di adattamento al nuovo percorso e non implicano necessariamente il fallimento della propria scelta. È fondamentale per gli studenti tollerare questo stato di malessere temporaneo e non arrendersi davanti alle prime difficoltà, pensando di aver fatto una scelta sbagliata. Il senso di appartenenza all’Università si costruisce gradualmente attraverso la partecipazione alla vita universitaria in tutte le sue forme. 
Sentirsi a casa in
un luogo nuovo
Si racconta che, quando iniziava i suoi corsi, Umberto Eco dicesse alle matricole che sopravvive all’Università chi sa “leggere le bacheche”. Non citava come primo fattore lo studiare molto o il frequentare i corsi. È evidente che studio e frequenza sono elementi fondamentali ma Eco, con la sua ironia, voleva intendere una cosa importantissima: per sentirci a casa in un luogo nuovo dobbiamo imparare a conoscerlo, avere punti di riferimento. Ora le bacheche ci sono sempre meno, ma l’esigenza rimane: imparare a muoversi nel nuovo contesto, sapere dove sono gli studi dei docenti e le aule (e ovviamente macchinette per il caffè e bar, se c’è), scoprire se ci sono gruppi organizzati di studenti più ‘anziani’ che possono dare notizie, saper navigare sui siti istituzionali per reperire tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno, sono tutte mosse che ci possono permettere di ‘appropriarci’ del nuovo mondo come suoi abitanti e non come visitatori.
Possiamo definire tutto questo come l’esigenza di “fare mente locale”: di solito l’espressione si usa per indicare lo sforzo di ri-organizzare le idee quando abbiamo dimenticato qualcosa, ma qui la dobbiamo intendere quasi letteralmente. Entrati come matricole all’Università rischia di esserci una sfasatura, una separazione tra la nostra mente (ancora legata agli ambienti e alle abitudini della scuola oppure alle idee vaghe e spesso fantasiose che avevamo sull’Università) e la realtà dei nuovi contesti. “Fare mente locale” è sintonizzare la nostra mente e il luogo che da lì in poi frequenteremo per molte ore alla settimana per i successivi tre anni (almeno). Per questo motivo, se possibile, è importante frequentare con regolarità i corsi, andare a ricevimento dai docenti, non vivendoli come semi-dei irraggiungibili, fare domande a lezione. E, ovviamente, studiare, studiare, studiare.
A complicare la sensazione di spaesamento, ci può essere la scarsa motivazione a intraprendere quel percorso formativo o l’eccessiva idealizzazione del mondo universitario che gradualmente è destinata a essere disillusa. Talvolta, però, la scelta universitaria non corrisponde effettivamente alle reali possibilità e alle attitudini degli studenti, che spesso si trovano a scegliere percorsi formativi per i quali non sono stati adeguatamente formati e orientati, per cui rischiano di andare in crisi prima ancora di adattarsi al nuovo contesto.
Avere il coraggio di coltivare i propri sogni mantenendo i piedi per terra, mettere alla prova le proprie competenze e il proprio metodo di studio attraverso il confronto con docenti e colleghi, chiedere aiuto e raccogliere informazioni sufficienti per chiarire i propri dubbi, non considerare gli insuccessi eventi irreparabili, sono alcuni ingredienti fondamentali per uscire dal labirinto e dirigere la bussola della propria formazione.
a cura dello staff psico-pedagogico del Centro SInAPSi
SInAPSi è il Centro dell’Ateneo Federico II cui possono rivolgersi tutti gli studenti che si sentono esclusi dalla vita universitaria a causa di disabilità, disturbi specifici dell’apprendimento o difficoltà temporanee.
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