Trasformare studenti di discipline umanistiche in potenziali sviluppatori di applicazioni iOS: l’obiettivo de ‘L’Orientale – iOS Foundation Program’, il nome del progetto in partnership con Apple. Il corso, la cui prima edizione è partita il 27 febbraio, si propone come un’opportunità gratuita di formazione destinata a un numero massimo di 30 partecipanti (compresi dottorandi e neolaureati) in un mese d’intenso lavoro per entrare a capofitto nel mondo delle competenze digitali. Sono quattro i docenti che impartiscono le lezioni presso il nuovo laboratorio ad alta tecnologia realizzato ad hoc presso Palazzo del Mediterraneo: le prof.sse Johanna Monti, linguista computazionale, e Valeria Caruso, lessicografa; i dottorandi Michele Stefanile, archeologo subacqueo, e Maria Anna di Palma, esperta di statistica. Ognuno di questi tutor è affiancato e coordinato dal dott. Luigi D’Acunto, 28 anni, laureato in Ingegneria e docente presso la iOS Developer Academy della Federico II. In prossimità del 24 marzo, ultimo giorno di lezione, alcuni ragazzi hanno raccontato sin dal principio la propria esperienza. L’obiettivo di questa lucida analisi è chiarire i principi di impostazione metodologica, le attività in itinere e le finalità del Programma, in vista della sua seconda edizione, probabilmente replicata in primavera. Viene spontaneo chiedersi: in che modo la programmazione informatica dialoga con le culture straniere? “Imparare a programmare è un po’ come apprendere una nuova lingua”, risponde Nives Serpe, iscritta al Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Comunicazione Interculturale in Area Euromediterranea.Il linguaggio di programmazione, detto ‘coding’, “serve come strumento di mediazione tra l’uomo e la macchina. L’approccio non è affatto dissimile da quello che caratterizza lo studio di una lingua. Anzi, anche la programmazione ha una sintassi e un lessico particolari”. Elisa Antonella Nardaccio, laureanda in Traduzione Specialistica, condivide lo stesso parere: “Nei primi giorni, è stato come iniziare da capo il percorso universitario con nuovi colleghi e una nuova ‘grammatica’. È proprio qui che risiede il link tra informatica e humanae litterae, in un approccio che è stato fin da subito semplice e lineare”. A tal proposito interviene Giuseppe De Rosa, studente del Corso di Laurea Magistrale in Archeologia: Oriente e Occidente: “Anche un umanista può proporre qualcosa di nuovo in ambito tecnologico, se abbandona per un attimo i soliti schemi di pensiero”. È un mondo del tutto diverso, dunque, quello con cui si stanno interfacciando i ragazzi, forse futuri ‘umanisti digitali’, ma ciò non basta a ostacolare in loro la propensione all’apprendimento e impedirgli di attivare – come suggerisce Elisa – la ‘modalità spugna’ per ascoltare e assorbire insegnamenti preziosi.
Come si sviluppa un’app? Team working e creatività
Teoria e prassi sono congiunte inscindibilmente nelle lezioni di programmazione: “il docente spiega e nello stesso tempo scrive al pc. Le immagini sono proiettate in modo che ogni studente possa seguire di pari passo le operazioni e riprodurle”, riprende Nives. Lo stesso discorso vale per gli ospiti, tra cui esperti di marketing, graphic design, business e management. “Nessuno di loro rispecchia il prototipo del docente seduto in cattedra, tutt’altro: girano tra i nostri tavoli aiutandosi con le slidesproiettate sui televisori”. Creatività, impegno e doti di problem solvingsono i requisiti necessari per unirsi
al team. “Il lavoro individuale è inesistente, il concetto di lezione completamente stravolto rispetto a quello al quale siamo abituati”. Si lavora sin dalla fase iniziale in gruppi di sei persone, al momento ogni tavolo sta progettando una propria app. I topic di maggiore attenzione finora sono stati lo sport, il cibo, il turismo, i giochi e gli eventi culturali. La metodologia d’apprendimento utilizzata si chiama ‘Challenge Based Learning’ e “si tratta di una sfida condivisa dal gruppo”, spiega Elisa. In realtà, “è molto più complesso di quanto si possa immaginare, poiché dietro una semplice funzionalità si nascondono intere linee di codici e molteplici esercizi. La soluzione non è quasi mai a portata di mano, ma si può individuare facendo buon uso degli strumenti a disposizione”. In primis, bisogna avvalersi di menti brillanti. Sicuramente, “il brainstorming favorisce un incremento della produttività e della qualità nel risultato
finale”, sostiene la studentessa. Il confronto e l’interazione sono gli unici mezzi per ovviare alle criticità. “A volte i dibattiti sono un po’ accesi, ma ne vale certamente la pena”, ci scherzano sopra un po’ tutti. Insomma, anche quando idee divergenti collidono, è sempre vero che l’unione fa la forza.
Come si sviluppa un’app? Team working e creatività
Teoria e prassi sono congiunte inscindibilmente nelle lezioni di programmazione: “il docente spiega e nello stesso tempo scrive al pc. Le immagini sono proiettate in modo che ogni studente possa seguire di pari passo le operazioni e riprodurle”, riprende Nives. Lo stesso discorso vale per gli ospiti, tra cui esperti di marketing, graphic design, business e management. “Nessuno di loro rispecchia il prototipo del docente seduto in cattedra, tutt’altro: girano tra i nostri tavoli aiutandosi con le slidesproiettate sui televisori”. Creatività, impegno e doti di problem solvingsono i requisiti necessari per unirsi
al team. “Il lavoro individuale è inesistente, il concetto di lezione completamente stravolto rispetto a quello al quale siamo abituati”. Si lavora sin dalla fase iniziale in gruppi di sei persone, al momento ogni tavolo sta progettando una propria app. I topic di maggiore attenzione finora sono stati lo sport, il cibo, il turismo, i giochi e gli eventi culturali. La metodologia d’apprendimento utilizzata si chiama ‘Challenge Based Learning’ e “si tratta di una sfida condivisa dal gruppo”, spiega Elisa. In realtà, “è molto più complesso di quanto si possa immaginare, poiché dietro una semplice funzionalità si nascondono intere linee di codici e molteplici esercizi. La soluzione non è quasi mai a portata di mano, ma si può individuare facendo buon uso degli strumenti a disposizione”. In primis, bisogna avvalersi di menti brillanti. Sicuramente, “il brainstorming favorisce un incremento della produttività e della qualità nel risultato
finale”, sostiene la studentessa. Il confronto e l’interazione sono gli unici mezzi per ovviare alle criticità. “A volte i dibattiti sono un po’ accesi, ma ne vale certamente la pena”, ci scherzano sopra un po’ tutti. Insomma, anche quando idee divergenti collidono, è sempre vero che l’unione fa la forza.
Informatica, questa sconosciuta
È importante possedere conoscenze preliminari dei sistemi informatici – peraltro oggetto del test di selezione – che rappresentano un trampolino di lancio per iniziare a familiarizzare con i linguaggi di programmazione. “Non tutti, però, ne hanno. Anzi, io ho deciso di frequentare il corso proprio per acquisire le nozioni tecniche”, continua Nives. Naturalmente, però, “si dà per scontato un minimo di preparazione: per esempio, cosa sia una ram, o quale sia la differenza tra hardware e software”. Oltre a sapersi destreggiare tra varie linee di codici, occorre ragionare in termini pragmatici. “Bisogna immaginare un
servizio che non sia già offerto né sul mercato iTunes né su Google e porsi continuamente domande riguardanti l’usabilità e l’efficacia del prodotto”. Secondo Giuseppe, è una questione di ‘percezione’, non solo di utilità. “Cerchiamo di concentrarci sui bisogni di un possibile utente, sull’esperienza che potrà vivere e le reazioni che avrà usando la nostra app”. Come avviene, invece, la gestione del lavoro in aula? “C’è chi adotta una politica democratica e chi invece delega il lavoro a seconda delle attitudini e capacità individuali. Più persone, infatti, hanno mostrato già una certa dimestichezza con alcuni passaggi: la valutazione di un target, la produzione di video o presentazioni di buon livello”. Un’ultima chicca: rientrano nella dotazione di ciascuno studente un MacBook Pro e un iphone, ed eventualmente anche i tablet.
È importante possedere conoscenze preliminari dei sistemi informatici – peraltro oggetto del test di selezione – che rappresentano un trampolino di lancio per iniziare a familiarizzare con i linguaggi di programmazione. “Non tutti, però, ne hanno. Anzi, io ho deciso di frequentare il corso proprio per acquisire le nozioni tecniche”, continua Nives. Naturalmente, però, “si dà per scontato un minimo di preparazione: per esempio, cosa sia una ram, o quale sia la differenza tra hardware e software”. Oltre a sapersi destreggiare tra varie linee di codici, occorre ragionare in termini pragmatici. “Bisogna immaginare un
servizio che non sia già offerto né sul mercato iTunes né su Google e porsi continuamente domande riguardanti l’usabilità e l’efficacia del prodotto”. Secondo Giuseppe, è una questione di ‘percezione’, non solo di utilità. “Cerchiamo di concentrarci sui bisogni di un possibile utente, sull’esperienza che potrà vivere e le reazioni che avrà usando la nostra app”. Come avviene, invece, la gestione del lavoro in aula? “C’è chi adotta una politica democratica e chi invece delega il lavoro a seconda delle attitudini e capacità individuali. Più persone, infatti, hanno mostrato già una certa dimestichezza con alcuni passaggi: la valutazione di un target, la produzione di video o presentazioni di buon livello”. Un’ultima chicca: rientrano nella dotazione di ciascuno studente un MacBook Pro e un iphone, ed eventualmente anche i tablet.
Cos’altro si impara durante il corso?
Insieme alle nozioni basilari di programmazione e al lavoro di squadra, il corso insegna “a non dare mai nulla per scontato. Arriva un’idea e sembra geniale. Come fare per capire se lo è realmente? Interrogandosi. Formulare domande e ipotizzarne le probabili risposte fornisce una chiave
di apertura mentale”. Questa è l’opinione di Nives, cui fa eco il bilancio complessivo di Giuseppe. “Dover adeguare il nostro modo di pensare ad applicazioni interattive ci sta mettendo sicuramente alla prova, poiché stimola il nostro spirito di adattamento e rende davvero concreta la possibilità di usare attivamente le ultime creazioni tecnologiche, e non di subirle”. Si unisce al coro anche Cristina Mongelluzzo di Lingue e Comunicazione Interculturale per riepilogare i punti salienti di “un’esperienza professionale e personale vivamente consigliata. Giorno dopo giorno scopriamo cose nuove, conosciamo tante persone e impariamo a lavorare insieme”. Non solo uno stimolo per allargare i propri orizzonti, ma una concreta chance di arricchire il bacino di opportunità lavorative accessibili. E, infine, “come in ogni prova c’è una grande lezione di vita: non smettere mai di sperimentare, mettersi in gioco ed esplorare mondi e linguaggi senza confini”. Il tutto riassumibile in una celebre citazione, tanto amata dalla studentessa: ‘Siate il cambiamento
che vorreste vedere nel mondo’.
Insieme alle nozioni basilari di programmazione e al lavoro di squadra, il corso insegna “a non dare mai nulla per scontato. Arriva un’idea e sembra geniale. Come fare per capire se lo è realmente? Interrogandosi. Formulare domande e ipotizzarne le probabili risposte fornisce una chiave
di apertura mentale”. Questa è l’opinione di Nives, cui fa eco il bilancio complessivo di Giuseppe. “Dover adeguare il nostro modo di pensare ad applicazioni interattive ci sta mettendo sicuramente alla prova, poiché stimola il nostro spirito di adattamento e rende davvero concreta la possibilità di usare attivamente le ultime creazioni tecnologiche, e non di subirle”. Si unisce al coro anche Cristina Mongelluzzo di Lingue e Comunicazione Interculturale per riepilogare i punti salienti di “un’esperienza professionale e personale vivamente consigliata. Giorno dopo giorno scopriamo cose nuove, conosciamo tante persone e impariamo a lavorare insieme”. Non solo uno stimolo per allargare i propri orizzonti, ma una concreta chance di arricchire il bacino di opportunità lavorative accessibili. E, infine, “come in ogni prova c’è una grande lezione di vita: non smettere mai di sperimentare, mettersi in gioco ed esplorare mondi e linguaggi senza confini”. Il tutto riassumibile in una celebre citazione, tanto amata dalla studentessa: ‘Siate il cambiamento
che vorreste vedere nel mondo’.
Sabrina Sabatino