Il diritto allo studio non è solo mangiare e dormire a prezzi politici. Per il prof. Marani occorre ridefinirlo svincolandolo da vecchie concezioni, e questo sarà il tema di una conferenza internazionale che organizzerà a fine novembre. Secondo il Presidente, il diritto allo studio deve assistere i giovani non tanto nella soluzione del problema di dove mangiare e dove dormire, quanto nella integrazione sociale e nella individuazione di opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. Questo è vero soprattutto nel nostro territorio, dove “gli assessorati provinciale e regionale al lavoro non fanno alcunché per aiutare i laureati”. “Formiamo un capitale che va perduto”, dice, “perché i laureati, in particolare i migliori, vanno via immediatamente, verso luoghi dove viene data loro la possibilità di spendere le loro competenze. E’ una situazione drammatica e io ho intenzione di impiegare le maggiori risorse possibili per aiutare i giovani su questo piano. Mi importa molto del mangiare e del dormire dei fuori sede, ma mi importa moltissimo che questi ragazzi dopo la laurea trovino lavoro”.
Anche l’idea del vivere fuori sede deve cambiare. Le residenze universitarie per Marani andrebbero eliminate, e le mense superate dalle convenzioni con i punti ristoro. Per fare gli interessi dei ristoratori? “Perché, qualcuno crede che dietro le mense universitarie non ci siano interessi forti?”, è la risposta. “La convenzione costa dieci volte meno e garantisce comunque un buon servizio. Che potrebbe funzionare anche per i posti letto. Se ci fossero delle famiglie e dei bed and breakfast accreditati, si potrebbero dare agli studenti dei voucher da 200 notti da utilizzare come occorre, eliminando i casermoni dei fuori sede. La residenza richiama l’idea di un universitario di provincia anni Sessanta, pendolare, che arriva con i salumi e i formaggi e torna a casa il fine settimana, allo stesso modo dei colleghi provinciali come lui, tutti insieme nel casermone. E’ più rassicurante, meno rischioso, ma limita l’inclusione in un contesto sociale cittadino che, seppur penoso come quello napoletano, è pur sempre importante”. La casa dei fuori sede come un ghetto, dunque? Se lo dice uno come il prof. Marani, che fuori sede lo è stato (originario di Catanzaro, si è trasferito a Napoli per studiare Scienze Politiche), ci si può a maggior ragione riflettere su. “Forse c’è un vezzo culturale in tutto questo, ma credo davvero che debba essere il futuro del diritto allo studio”.
Anche l’idea del vivere fuori sede deve cambiare. Le residenze universitarie per Marani andrebbero eliminate, e le mense superate dalle convenzioni con i punti ristoro. Per fare gli interessi dei ristoratori? “Perché, qualcuno crede che dietro le mense universitarie non ci siano interessi forti?”, è la risposta. “La convenzione costa dieci volte meno e garantisce comunque un buon servizio. Che potrebbe funzionare anche per i posti letto. Se ci fossero delle famiglie e dei bed and breakfast accreditati, si potrebbero dare agli studenti dei voucher da 200 notti da utilizzare come occorre, eliminando i casermoni dei fuori sede. La residenza richiama l’idea di un universitario di provincia anni Sessanta, pendolare, che arriva con i salumi e i formaggi e torna a casa il fine settimana, allo stesso modo dei colleghi provinciali come lui, tutti insieme nel casermone. E’ più rassicurante, meno rischioso, ma limita l’inclusione in un contesto sociale cittadino che, seppur penoso come quello napoletano, è pur sempre importante”. La casa dei fuori sede come un ghetto, dunque? Se lo dice uno come il prof. Marani, che fuori sede lo è stato (originario di Catanzaro, si è trasferito a Napoli per studiare Scienze Politiche), ci si può a maggior ragione riflettere su. “Forse c’è un vezzo culturale in tutto questo, ma credo davvero che debba essere il futuro del diritto allo studio”.