Decreto Gelmini, dibattito a Scienze

Nell’ambito del ciclo di incontri “L’università che vogliamo”, lunedì 23 novembre la Facoltà di Scienze si è riunita per approfondire e commentare le parti salienti del decreto legge Gelmini che fra alcuni mesi approderà in Parlamento. Questi gli aspetti fondamentali della proposta che dovrà comunque essere meglio definita dal dibattito parlamentare: sparisce il membro esterno dalle commissioni di valutazione di associati e ordinari, i rapporti numerici tra le fasce saranno decisi dal Governo con un decreto delegato e la programmazione dovrà essere finanziariamente sostenibile. La responsabilità ultima delle assunzioni passerà al Rettore e al Consiglio di Amministrazione. Verrà favorita la mobilità dei docenti. I ricercatori, assunti esclusivamente a tempo determinato dai Dipartimenti, avranno gli stessi incarichi didattici dei professori. 
Per la prima volta, dopo molti anni, viene modificata la governance dell’università. I Dipartimenti assumeranno un ruolo di primo piano nella didattica e nel reclutamento dei nuovi docenti, mentre le Facoltà (o Scuole), se istituite, avranno una funzione di coordinamento e saranno rette dal Consiglio dei Direttori di Dipartimento che sceglierà il Preside fra i membri esterni al consesso. Come nel mondo anglosassone, il Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo assumerà il ruolo di organo di vertice con poteri decisionali anche sul reclutamento dei docenti. Per il resto, invece, la proposta si discosta molto dai modelli d’oltralpe. Il Rettore continua ad essere nominato dai docenti – anziché dal Consiglio di Amministrazione – e i dirigenti accademici intermedi – Presidi e Direttori di Dipartimenti – continueranno ad essere eletti dagli interni. “Mancano indicazioni sulle modalità di composizione del Consiglio di Amministrazione, la cui responsabilità è limitata perché non sceglie né il rettore, né i dirigenti interni. Infine, non viene professionalizzata la figura del dirigente accademico e quindi nelle università continueranno a mancare figure motivate ad incentivare il buon funzionamento delle strutture. L’assetto complessivo resta autorefenziale”, dice il ricercatore Lorenzo Marrucci.
Permane il fondo per il diritto allo studio, ma viene introdotto il prestito d’onore agli studenti erogato in base ai risultati conseguiti ai test di ingresso. “Non è però previsto un euro per questo fondo. Nel testo si parla di eventuali finanziamenti pubblici, ma fondamentalmente saranno i privati a finanziarlo”, sottolinea il ricercatore Sebastiano Perriello Zampilli.  “Il documento è ancora molto generico, eccetto che sul modo di distribuire i costi in organico. Anzi ci sono dei cavilli infernali. Ogni volta si capisce una cosa diversa e occorre procedere con delle simulazioni numeriche”, commenta la ricercatrice Giuliana Fiorillo. Come già detto, viene incentivata la mobilità dei docenti. Infatti, un posto su tre da ordinario o associato dovrà essere ricoperto da esterni. Per questi ultimi, il reclutamento avverrà, nell’80% dei casi, per chiamata diretta senza più concorso. Si conserva la formula contrattuale dell’assegno di ricerca, triennale e rinnovabile fino ad un massimo di dieci anni. Dopo questo lasso di tempo, il ricercatore dovrà essere assunto come docente associato (e se questo non accade?). Fino all’approvazione della legge saranno possibili solo concorsi da ricercatori a tempo indeterminato, persone che resteranno bloccate in un ruolo ad esaurimento senza possibilità di carriera.
Simona Pasquale 
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