“Le Università: fabbriche o semafori?”. Titolo volutamente enigmatico, quello scelto dall’ex Rettore della Federico II Massimo Marrelli, Emerito di Scienza delle Finanze, per la relazione che ha svolto il 30 marzo nel Centro Congressi dell’Ateneo, in via Partenope, nell’ambito della manifestazione Come alla Corte di Federico II. “Un modo”, ha detto ai presenti, tra i quali l’ex Rettore Guido Trombetti ed il Rettore in carica Gaetano Manfredi, “per incuriosirvi”. Tema della relazione, corredata da dati statistici, tabelle e grafici, il ruolo degli atenei oggi in Italia. “Spero che venga fuori – ha affermato – che non darò risposte, ma porrò domande”. Dopo un breve approfondimento storico sul concetto di Università, che in Europa si è sviluppato in epoca medievale, ma che affonda le sue radici in strutture che altrove sono più antiche – “l’Università al Qarawiyyin in Marocco fu fondata da una donna nello 859 dopo Cristo e quella di Nalanda in India risale al V secolo dopo Cristo” –, Marrelli è entrato nel vivo del problema. “La domanda dalla quale bisogna partire è il motivo per il quale le persone si iscrivono all’Università. Una risposta fa riferimento al sapere come bene di consumo e di gratificazione: vado all’università perché mi piace conoscere ed apprendere. Mi dà soddisfazione, come mi dà gratificazione andare al teatro ed al cinema oppure mangiare un buon gelato. Un’altra teoria sostiene che la frequentazione universitaria sia un bene di investimento: vado all’Università perché penso che mi servirà”. Nell’ambito di questa seconda opzione, che si potrebbe definire economicista, si contrappongono i due modelli ai quali il professore Marrelli ha fatto riferimento per il titolo della sua conferenza. La teoria dell’Università come fabbrica del capitale umano vede gli atenei come luogo di produzione di questo capitale attraverso
l’attività di ricerca e formazione di competenze avanzate negli studenti. Queste competenze sono richieste dagli individui perché aumentano la loro produttività sul mercato del lavoro e, quindi, permettono loro di ottenere migliori retribuzioni attese. D’altro lato, la teoria dei giochi vede le Università come meccanismo di segnalazione sul mercato del lavoro degli individui i quali, per loro natura, sono dotati di alte capacità. È questa la teoria delle Università come semafori. In qualche modo, secondo questa concezione, gli atenei risparmiano alle realtà lavorative di selezionare con procedure complesse, lunghe e costose i migliori, perché li segnalano attraverso una selezione che, evidentemente, dovrà essere piuttosto dura. In sostanza, se il modello della fabbrica del capitale umano è più inclusivo, quello del semaforo è più esclusivo. “In ogni caso – ha sottolineato durante la sua conferenza il professore Marrelli – entrambe queste teorie prevedono che si osservi una differenza nelle retribuzioni attese tra i laureati e gli altri. Questa differenza è, in genere, parzialmente confermata”. Il docente ha poi allargato il campo e la prospettiva: “Si osservano altri fenomeni interessanti. In particolare, correlazioni positive tra le spese per le Università e gli indici di democrazia, di libertà e di innovazione di un paese”. Ha però invitato i presenti a non trarre conclusioni affrettate da questo dato. “È molto complesso indicare una relazione tra la causa e l’effetto. È la spesa per le Università che fa crescere gli indicatori di democrazia o è vero l’inverso? Un’altra domanda insoluta: l’Università è un input di produzione, nel senso che alti livelli di spesa per gli atenei determinano l’aumento del prodotto interno lordo di un paese, oppure è un bene di lusso che alcune società possono concedersi in misura maggiore di altre e, dunque, la maggiore spesa universitaria è l’effetto, non la causa di un pil elevato?”. Altro quesito che Marrelli ha sollevato è quello relativo all’impatto degli atenei sull’economia italiana, che appare inferiore rispetto alle aspettative. “Le Università italiane – ha detto – e per fortuna ormai si riconosce questo dato, sono molto produttive in termini di ricerca scientifica. Il numero di pubblicazioni per ricercatore è tra i più alti del mondo e lo stesso può dirsi per gli altri indicatori comunemente usati. Perché, bisogna chiedersi, questo fatto non si traduce in un alto tasso di brevettazione, di innovazione e di crescita del Pil?”. Ha concluso il docente: “Tutte le risposte alle domande precedenti possono essere date solo tenendo conto del fatto che le Università operano in contesti complessi e che le interazioni tra gli agenti all’interno di questi sistemi non permettono di isolare il comportamento di alcuni senza correre il rischio di giungere a conclusioni del tutto errate e fuorvianti. Dobbiamo ammettere, con un po’ di umiltà, che ad oggi non conosciamo abbastanza la complessità del mondo in cui viviamo. Solo migliorando questa conoscenza potremo dare risposte più accurate. Forse è proprio per questo che esistono le Università”
l’attività di ricerca e formazione di competenze avanzate negli studenti. Queste competenze sono richieste dagli individui perché aumentano la loro produttività sul mercato del lavoro e, quindi, permettono loro di ottenere migliori retribuzioni attese. D’altro lato, la teoria dei giochi vede le Università come meccanismo di segnalazione sul mercato del lavoro degli individui i quali, per loro natura, sono dotati di alte capacità. È questa la teoria delle Università come semafori. In qualche modo, secondo questa concezione, gli atenei risparmiano alle realtà lavorative di selezionare con procedure complesse, lunghe e costose i migliori, perché li segnalano attraverso una selezione che, evidentemente, dovrà essere piuttosto dura. In sostanza, se il modello della fabbrica del capitale umano è più inclusivo, quello del semaforo è più esclusivo. “In ogni caso – ha sottolineato durante la sua conferenza il professore Marrelli – entrambe queste teorie prevedono che si osservi una differenza nelle retribuzioni attese tra i laureati e gli altri. Questa differenza è, in genere, parzialmente confermata”. Il docente ha poi allargato il campo e la prospettiva: “Si osservano altri fenomeni interessanti. In particolare, correlazioni positive tra le spese per le Università e gli indici di democrazia, di libertà e di innovazione di un paese”. Ha però invitato i presenti a non trarre conclusioni affrettate da questo dato. “È molto complesso indicare una relazione tra la causa e l’effetto. È la spesa per le Università che fa crescere gli indicatori di democrazia o è vero l’inverso? Un’altra domanda insoluta: l’Università è un input di produzione, nel senso che alti livelli di spesa per gli atenei determinano l’aumento del prodotto interno lordo di un paese, oppure è un bene di lusso che alcune società possono concedersi in misura maggiore di altre e, dunque, la maggiore spesa universitaria è l’effetto, non la causa di un pil elevato?”. Altro quesito che Marrelli ha sollevato è quello relativo all’impatto degli atenei sull’economia italiana, che appare inferiore rispetto alle aspettative. “Le Università italiane – ha detto – e per fortuna ormai si riconosce questo dato, sono molto produttive in termini di ricerca scientifica. Il numero di pubblicazioni per ricercatore è tra i più alti del mondo e lo stesso può dirsi per gli altri indicatori comunemente usati. Perché, bisogna chiedersi, questo fatto non si traduce in un alto tasso di brevettazione, di innovazione e di crescita del Pil?”. Ha concluso il docente: “Tutte le risposte alle domande precedenti possono essere date solo tenendo conto del fatto che le Università operano in contesti complessi e che le interazioni tra gli agenti all’interno di questi sistemi non permettono di isolare il comportamento di alcuni senza correre il rischio di giungere a conclusioni del tutto errate e fuorvianti. Dobbiamo ammettere, con un po’ di umiltà, che ad oggi non conosciamo abbastanza la complessità del mondo in cui viviamo. Solo migliorando questa conoscenza potremo dare risposte più accurate. Forse è proprio per questo che esistono le Università”