Giovani e mondo del lavoro: una transizione difficile

Sempre più difficile e meno immediata la transizione dei laureati nel mondo del lavoro: una fase estremamente delicata e, in troppi casi, molto repentina. Come fare per rendere questi due mondi, quello universitario e quello del lavoro, meno distanti? E’ quanto discusso nel convegno “Innoviamo l’università. La prospettiva della transizione università-lavoro” che si è svolto il 15 marzo. Promosso dalla Facoltà di Economia, nell’ambito del corso di Econometria ed Econometria applicata, l’incontro è stato organizzato dalle rappresentanze studentesche di “Università Moderata”, in particolare da Rosario Lebbioli. A fare gli onori di casa la Preside Clelia Mazzoni, la quale ha voluto sottolineare il lavoro dell’Ateneo in questa direzione anche attraverso l’istituzione di altre attività che mirano ad insegnare agli studenti come parlare in pubblico o sostenere un colloquio e stringendo convenzioni con oltre 400 aziende per stage post-laurea. “Bisogna coltivare non solo la propria preparazione, ma anche la passionalità professionale”, ha sottolineato la Preside. “In Paesi come Italia e Cile, i giovani rappresentano un basso capitale per la loro poca esperienza. Il punto è cercare di capire perché le cose in Italia non funzionino come negli altri Paesi e l’occupazione dei laureati si fermi al 67%, di fronte al 77% della Germania e all’80% della Svezia. Molti economisti liberisti hanno identificato come soluzione per la disoccupazione giovanile una maggiore flessibilità del mercato facendo ricorso al lavoro temporaneo”, ha spiegato il prof. Francesco Pastore, docente di Economia Politica alla SUN ed autore di un libro proprio su questa difficile fase transitoria dal titolo “Fuori dal tunnel”. Eppure, nonostante per i giovani lavoratori temporanei ci siano più possibilità di arrivare ad un’occupazione stabile, questa soluzione potrebbe portare ad un’eccessiva precarietà, oltre a fornire scarse conoscenze specifiche: “bisognerebbe coniugare flessibilità e sicurezza, pratica già avviata da altri Paesi come la Germania, che ha istituito un sistema duale di apprendistato già nell’Università, e il Giappone, dove sono le scuole stesse ad indicare alle imprese gli studenti meritevoli, per cui il 30% lavora già dopo la scuola superiore”. Se poi consideriamo il problema in una zona come il Mezzogiorno d’Italia, le statistiche sembrano addirittura peggiorare, come illustra il prof. Amedeo Lepore, docente di Storia economica alla SUN: “secondo le pubblicazioni attuali, pare ci sia un abisso tra Nord e Sud d’Italia a livello economico, oltre che universitario, ma i criteri di valutazione delle Università sono assolutamente sbagliati”. Dal momento che i finanziamenti per la ricerca vengono stanziati secondo il numero di iscritti, nello stilare una classifica sarebbero senza dubbio penalizzati i piccoli Atenei come la SUN, nonostante nel rapporto tra dimensione dei finanziamenti e risultati del lavoro di ricerca le Università del Sud siano molto in alto. Ancora più sbagliato il fatto che non costituisca elemento di valutazione la qualità della didattica. Prospettiva diversa quella esaminata dal prof. Floro Ernesto Caroleo, docente di Politica economica all’Università Parthenope che si è occupato delle possibili politiche da applicare nel settore: “quella maggiormente auspicata dai governi è senza dubbio la flessibilità salariale poiché meno costosa, ma può portare a conseguenze sociali negative come povertà delle giovani famiglie e bassa natalità”. Una più alta spesa iniziale in politiche legate alla formazione e all’educazione corrisponde a maggiori vantaggi in tempi più lunghi senza conseguenze negative; bisognerebbe quindi offrire salari minimi e sussidi di disoccupazione oltre a sistemi di orientamento al lavoro nelle Università e connessioni con le imprese per ottenere risultati meno immediati ma più duraturi. Una politica che la SUN sembra avere già avviato, come illustrato dal prof. Mario Raffa, docente di Economia gestionale alla Federico II: “Il rapporto tra Università e mondo esterno è cresciuto con le imprese e la Pubblica amministrazione, ma bisogna aprire anche al settore dei servizi. Abbiamo appoggiato il progetto FIXO e stiamo cercando di stabilire convenzioni anche con la Pubblica amministrazione. Nel 2003, il progetto Start Cup fu lanciato da 5 università, oggi sono più di 40 e sono nate 2000 imprese”. “Abbiamo avviato collaborazioni con il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed anche delle sovvenzioni per studenti che effettuano stage a 100 chilometri di distanza. Tra i nostri progetti anche la creazione di un software per identificare i profili richiesti dalle aziende in base ad età e piano di studio; una sorta di banca dati in cui inserire anche un breve video di presentazione”, fa notare il prof. Davide Dell’Anno, delegato al Placement d’Ateneo. Prevista anche l’istituzione di una Commissione Placement che inviti gli studenti a colloqui di gruppo. E le iniziative cominciano a dare i primi frutti. “Dal 2007 al 2012 la sola Facoltà di Economia della SUN ha registrato un aumento delle aziende convenzionate per gli stage pari al 261% mentre il numero dei tirocinanti è aumentato del 300%”, aggiunge il prof. Francesco Gangi, docente di Economia aziendale. Il 65% dei giovani laureati con esperienze di stage post-laurea trova lavoro, a fronte del 60% degli studenti che non hanno fatto questa esperienza. Pare ad ogni modo che il 50% dei laureati post-stage lasci la regione, il 20 si dedichi all’imprenditoria, il 17 sia assunto a tempo indeterminato e il 13% resti inattivo. Particolarmente interessato al ruolo della ricerca il prof. Erasmo Papagni, docente di Politica economica alla SUN: “fare ricerca è essenziale per trovare nuovi talenti e per formare docenti universitari preparati e meglio disposti verso gli studenti”. Ma qual è la posizione delle aziende? Il dott. Bruno Scuotto, Presidente del gruppo Piccola industria di Confindustria Campania, ha esaminato le aspettative e le esigenze formative delle imprese: “molti imprenditori temono che assumere il giovane e talentuoso neo-laureato possa stravolgere gli equilibri degli altri lavoratori, un’idea assolutamente errata. Bisogna fare spazio nelle aziende e rendersi conto delle nuove figure professionali di cui si ha bisogno, come una figura umanistica per ascoltare pareri e suggerimenti di quanti lavorano nell’azienda e colmare quindi quell’1% di figure che mancano in ogni impresa”. Anche Confindustria ha previsto l’attivazione di un portale per avvicinare i giovani al mondo del lavoro. Dopo una lunga mattinata di interventi, l’ultimo è stato il dott. Costantino Formica, vice Presidente dell’associazione NOI-Napoli Open Innovation, che ha voluto concludere con uno spiraglio di ottimismo: “in Italia ci sono aziende che hanno una tripla A per come gestiscono i giovani lavoratori, dall’ENEL a Telecom, fino a Cariparma, oltre a molte multinazionali farmaceutiche e chimiche”.
Anna Verrillo
- Advertisement -




Articoli Correlati