L’orrore della shoah nel racconto di Marika Venezia

Marika Kaufmann Venezia è la moglie dello scrittore italiano di origine ebraica Shlomo Venezia, che è morto quattro anni fa ed ha raccontato in varie opere la sua terribile esperienza di internato nel lager di Auschwitz – Birkenau, dove sua madre e due sue sorelle furono assassinate nelle camere a gas e dove egli stesso fu reclutato
nei Sonderkommando. Erano squadre speciali di prigionieri dei campi di sterminio incaricate di cremare e smaltire i cadaveri di coloro i quali erano stati avviati alle camere a gas. Dopo la scomparsa del marito, Marika ha raccolto il testimone ed ha raccontato in più occasioni, durante pubblici incontri con ragazzi ed adulti, il dramma dell’Olocausto, così come lo ha appreso dalle memorie di Shlomo negli anni che ha trascorso al suo fianco. Il 24 maggio sarà a Napoli, alla Federico II, per incontrare gli studenti del Laboratorio di Psicologia Applicata e chiunque altri abbia intenzione di partecipare. Appuntamento alle 10 nell’aula Ottagono, presso la sede principale dell’Ateneo, al Corso Umberto. L’evento è stato organizzato dalla prof.ssa Barbara De Rosa. “È una occasione – dice – non solo per mantenere viva la memoria di quel che è stato, per trasmetterla ai giovani e per stimolarli a riflettere. È anche una tappa di un percorso scientifico e didattico di lettura della catastrofe dell’umanità, quale indubbiamente fu la Shoah, dal punto di vista psicoanalitico”. Nell’ottica delle vittime e nell’ottica dei carnefici, degli assassini. “I testi della letteratura concentrazionaria – prosegue De Rosa – ci avvertono che anche quella di chi deportò, uccise con le camere a gas, torturò è una potenzialità umana. Erano uomini pure quelli, per quanto terribile possa essere il doverlo ammettere. Come sia potuto accadere è la domanda che ci si pone ancora a distanza di anni. Ebbene, se la Shoah è stato il tentativo di cacciare una parte della umanità fuori dalla umanità, allora la psicanalisi ci dice che questo percorso non sarebbe potuto accadere senza meccanismi e organizzazioni capaci di trasformare, agli occhi del carnefice, la vittima in oggetto, in una cosa, di annullarne ogni componente umana che potesse ispirare sentimenti umani. La burocratizzazione dello sterminio attraverso i lager e le camere a gas servì appunto a questo, a disumanizzare le vittime per i carnefici e, quindi, a disumanizzare gli stessi carnefici, rimuovendo dai loro animi e dai loro cuori qualunque remota possibilità di provare pietà o compassione”. Aggiunge: “Inizialmente, prima che fosse messa in piedi la macchina dello sterminio, si procedeva con le fucilazioni di massa. Eppure, perfino alcuni tra i soldati nazisti non avrebbero retto emotivamente alla prospettiva di sparare una pallottola a bruciapelo a donne e bambini. Ecco allora la spersonalizzazione del genocidio: i lager, le camere a gas, i kapò ed i Sonderkommando che incenerivano le vittime asfissiate nelle camere a gas. Il campo di concentrazione eliminò il rapporto diretto tra carnefice e vittima”. La presenza di Marika Venezia, si diceva, sarà anche una  opportunità per far conoscere agli studenti cosa sia accaduto negli anni del nazismo. “Con la progressiva  scomparsa degli ultimi testimoni di quella tragedia – sottolinea la prof.ssa  De Rosa – è sempre più concreto
il rischio che su quei fatti cali l’oblio. Non possiamo e non dobbiamo permetterlo, perché senza memoria di quello che è accaduto tutto più ripetersi. La Shoah è stato l’emblema, l’apice, e noi, dal punto di vista psicoanalitico, vediamo in quegli eventi le potenzialità mortifere dell’umano espresse nella forma più micidiale. Tuttavia, purtroppo, i processi di disumanizzazione che hanno reso possibile la Shoah non si sono conclusi con la fine della II Guerra mondiale. Si sono manifestati e tuttora si manifestano in varie situazioni nel mondo. La Shoah, insomma, è l’emblema di qualcosa che ha a che fare anche con l’oggi”.
Fabrizio Geremicca
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