Le donne, la questione berbera, l’economia: tre anni dopo le primavere arabe

La nuova questione berbera, i rapporti di genere, l’attivismo sociale: quali sono i cambiamenti intervenuti nei Paesi del Nord Africa a tre anni dalle primavere arabe? I tre temi sui quali si è dibattuto in occasione del convegno di studi sulla transizione svoltosi a L’Orientale dal 23 al 26 settembre e nato nell’ambito del PRIN 2010-2011 ‘State, Plurality, Change in Africa’ che coinvolge sei università italiane. “Noi abbiamo una speciale unità di questo progetto, che si concentra sulle questioni della governance dal basso e della transizione in Nord Africa”, spiega la prof.ssa Ersilia Francesca, docente di Storia contemporanea dell’economia del Medio Oriente e Nord Africa, e di Gender politics in contesto islamico, coordinatrice dell’evento insieme alla prof.ssa Anna Maria Di Tolla. Una iniziativa resa possibile grazie alle “collaborazioni e convenzioni con le università partners – Cairo University, American University in Cairo, Université Mohammed V-Agdal Rabat, Inalco di Parigi – con cui abbiamo organizzato in passato anche delle summer schools per gli studenti”, continua la prof.ssa Francesca. “Il nostro Ateneo cerca di mantenere vivi i contatti con le università straniere attraverso un lavoro di internalizzazione molto impegnativo che necessita la firma di numerose convenzioni con paesi europei ed extraeuropei, maghrebini ed asiatici”, sottolinea la prof.ssa Di Tolla, docente di Lingua e Letteratura berbera. Il variegato gruppo di lavoro accoglie professionisti di diversa provenienza, formazione ed età: “in modo da avere un vantaggioso scambio di idee e opinioni”, afferma la prof.ssa Francesca e prosegue: “noi docenti cerchiamo di puntare sulla pregnanza di temi attuali e dare attraverso questi incontri internazionali se non delle risposte, degli strumenti di analisi e spunti di riflessione per noi stessi, i nostri colleghi e gli studenti. Infatti a breve seguirà una pubblicazione che ha per oggetto questo convegno”.
Tra gli obiettivi preminenti del meeting, gioca un ruolo di primo piano il ‘Risveglio arabo’, che l’Occidente ha chiamato Primavera e che rappresenta un momento storico cruciale sotto diversi punti di vista: le rivoluzioni arabe del 2011 hanno smosso la coscienza di autodeterminazione, promosso lo sviluppo di entità politiche e di sensibilizzazione su scala globale, oltre ad accelerare il progresso verso il consolidamento di diritti democratici, la giustizia sociale e l’equità di genere, soprattutto per ciò che riguarda la mobilità femminile, influendo sulla politica regionale dei paesi della sponda sud del Mediterraneo nonché sulle relazioni internazionali, rese possibili dalla mediazione interculturale della lingua araba.
La forza
emergente
delle donne
“Le rivolte del 2011 hanno visto una partecipazione delle donne molto attiva. Alcuni interventi durante il convegno hanno sottolineato il ruolo femminile attraverso la scrittura, le arti visive, i graffiti, le performance. Molte donne hanno preso parte alle rivolte scrivendo delle proprie esperienze personali e familiari in quanto militanti e si è diffuso così un genere particolare nella scrittura femminista, che è quello delle memorie delle rivolte, come è stato evidenziato citando le autrici Ahdaf Soueif e Radwa Ashour”, rileva la prof.ssa Francesca. La presenza delle donne in piazza insieme agli uomini ha segnato una svolta per il genere femminile: “le donne hanno associato la lotta per la libertà di espressione e la democrazia alle rivendicazioni femministe e paritarie. Ma tutto ciò, purtroppo, ha scatenato anche delle reazioni violente”, aggiunge la prof.ssa Francesca. Durante le primavere arabe, sebbene migliaia di madri fossero ancora in lutto per la morte dei propri figli, i martiri della resistenza, esse hanno partecipato attivamente alle rivolte contro le ingiustizie e l’abuso di potere, che hanno portato al rovesciamento dei regimi tirannici in Tunisia, Egitto, Libia. In un contesto di mobilitazione politica, Islam e femminismo, dunque, sembra non siano in contraddizione: “la religione viene usata per reprimere i diritti, perché a volte se ne fa un uso strumentale da parte delle strutture patriarcali e neoliberiste per emarginare le donne. Ma in sé la religione è neutra e l’interpretazione prevalente è solo una delle tante possibili: non è il Corano che reprime le donne, ma è l’uso che se ne fa”, commenta la prof.ssa Francesca e continua, soffermandosi sulla situazione attuale vissuta dal genere femminile: “sicuramente, in questo momento, c’è una lotta tra visioni contrastanti: quella ortodossa dei movimenti salafiti e una più laica, che è stata difesa per esempio in Tunisia”. Ciononostante, si è voluto ribadire durante il convegno, nel periodo post-rivoluzionario una leadership femminista ha assunto le redini di partiti politici, sindacati e associazioni studentesche consentendo anche alle donne di acquisire una posizione di potere. Inoltre, negli ultimi vent’anni la scena culturale e intellettuale nordafricana, ma anche mediorientale, ha visto un aumento costante nelle pubblicazioni di donne intellettuali che si occupano di tematiche femminili da una prospettiva islamica. Ad esempio, la Tunisia, dopo la caduta del Presidente Ben Ali nel gennaio 2011, ha recuperato nella pratica cinematografica un impulso liberatorio che spezza gli anni di censura durati decenni. La prof.ssa Gina Annunziata, docente di Storia e critica del cinema, ha indagato l’attivismo femminile nel cinema tunisino post-rivoluzionario segnalando, a tal proposito, la visione di alcuni film documentari, tra cui “Laïcité, Inch’Allah!” della regista franco-tunisina Nadia El-Fani, la quale ha filmato immagini toccanti in presa diretta della Rivoluzione dei Gelsomini. 
Situazione
politica e
riforme
economiche
Le nuove forze politiche mostrano a causa della propria debolezza di non essere pronte a sostenere la transizione politica: “parlando di crisi economica, alcuni interventi del convegno si sono soffermati sul disagio della crisi idrica, delle lotte rurali e del land grabbing. Il problema evidenziato è che si parla della possibilità di un piano Marshall per il Nord Africa ma non esiste ancora un vero e proprio programma pianificato perché spesso questi paesi investitori agiscono nel loro interesse. La situazione è dunque molto fluida, perché in un instabile clima politico è piuttosto problematico enucleare delle riforme economiche. Non si può pianificare un piano generale di ricostruzione se molti paesi sono ancora in guerra, come nel Medio Oriente”, illustra la prof.ssa Francesca.
Tra i docenti presenti all’evento, alcuni hanno approfondito i punti chiave della situazione economica e politica: “si è ridotto il turismo che, sia per l’Egitto sia per la Tunisia, costituiva una delle risorse principali”, fa presente la prof.ssa Francesca e fa notare, inoltre, che “si è ridotta, contemporaneamente, l’incidenza degli investimenti diretti esteri, e il ritorno dei lavoratori in Libia ha fatto perdere in Egitto e Tunisia una risorsa importante che era quella delle rimesse immigrati”. 
Strettamente legato allo sconvolgimento politico pubblico è la crisi idrica, un ulteriore problema diffuso nel Maghreb che, a sua volta, aggrava la crisi alimentare. In alcuni paesi nordafricani, “non vi è una correlazione diretta tra il livello di precipitazioni, le risorse idriche e la resa delle colture”, come sottolineato dalla prof.ssa Eugenia Ferragina, docente di Economia e Istituzioni del Mediterraneo. Il fabbisogno di cibo ha influito sull’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli agendo conseguentemente sull’inflazione, che ha esasperato i conflitti sociali e la destabilizzazione politica di masse afflitte dal deficit alimentare in crescita.
Hanno delle ricadute socio-economiche anche le migrazioni nel Mediterraneo e il problema non è solo italiano: “l’Italia non può essere lasciata sola dall’Europa, ma dovrebbe avere un ruolo più importante nella mediazione, trovandosi geograficamente proprio di fronte a questi paesi”, conclude la prof.ssa Francesca”.
A L’Orientale
la prima cattedra
di Berbero in Italia
Il 26 settembre: data simbolica per festeggiare un secolo di studi berberi a L’Orientale. “Quest’Ateneo ha il prestigio di essere tra le prime università europee ad insegnare la lingua berbera. Francesco Beguinot è stato il primo studioso ad introdurre gli studi berberi in Italia e nel 1913 fu chiamato dall’Istituto Universitario Orientale. Negli anni immediatamente successivi fu istituita la prima cattedra di questa lingua in Italia, avviata da allora e continuata con i docenti successivi, come Luigi Serra e oggi con me, che detengo l’affidamento della lingua berbera, che è oggi lingua ufficiale del Marocco e lingua nazionale in Algeria e nei prossimi anni sarà utilizzata, anche se in parte già lo è, nei rapporti culturali e commerciali tra l’Europa e i paesi maghrebini”, spiega la prof.ssa Anna Maria Di Tolla e continua: “Le peculiarità linguistiche del berbero riguardano la sua appartenenza alla famiglia linguistica afro-asiatica. È una lingua parlata da molti migranti che oggi arrivano in Italia e che molto spesso sono considerati arabi e di madrelingua araba. Sono, invece, berberi che non parlano l’arabo e a volte neanche il dialetto arabo dei vari paesi di provenienza”. Le rivendicazioni identitarie della comunità berbera hanno spesso generato le proteste in paesi come Marocco, Algeria, Tunisia: “i berberi, abitanti autoctoni del territorio nordafricano, hanno subito la marginalizzazione della lingua e della cultura e non si è realizzata alcuna unificazione istituzionale del Maghreb, perché né la religione islamica né la lingua araba hanno costituito fattori di stabilità politica, anzi le differenze ideologiche profonde e le rivalità di potere hanno accentuato la frammentazione politica nel Nord Africa mediterraneo. Per questo motivo, i berberi rivendicano in molti dei paesi dove vivono il riconoscimento dell’identità, dei diritti linguistici e culturali”, conclude la prof.ssa Di Tolla.
Sabrina Sabatino
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