Numerosissimi docenti e studenti affollano l’aula Piovani, il 14 dicembre, per la lezione di congedo del prof. Giuseppe Lissa, docente di Filosofia Morale. Tra i presenti, il Preside Arturo De Vivo, il Decano Fulvio Tessitore, il Direttore del Dipartimento di Filosofia Fabrizio Lomonaco. Non a caso è stata scelta quest’aula, che proprio il prof. Tessitore volle dedicare a Pietro Piovani, Maestro indiscusso di Lissa. “Compito a me gradito, quello di salutare con affetto il professore, a nome di tutta la Facoltà. Mi auguro che continui a darci tanti messaggi positivi, come ha fatto finora”, dice il Preside. Studioso di fama internazionale, i progetti di ricerca di Lissa hanno toccato grandi profondità, da Pascal ai filosofi del ’900. “Ha fornito grandi contributi nel campo della bioetica e il Dipartimento gli è grato per la sua maestria nel creare un gruppo di ricerca attivissimo”, aggiunge il prof. Lomonaco.
“Prendo congedo dopo trent’anni in quest’aula dedicata a Pietro Piovani, gloria filosofica di chi lo ha conosciuto e di chi lo conoscerà solo attraverso le sue opere”. E’ visibilmente emozionato il prof. Lissa nel pronunciare il nome del suo Maestro, al quale era particolarmente legato. “Sono obbligato in quest’occasione a parlare di me, anche se, come direbbe Pascal, l’io risulta odioso poiché, troppo rinchiuso nell’amor di sé, tende a diventare smisurato”. Il racconto inizia, la platea è catturata. “Il 23 novembre 1963 presi il treno da Solofra a Napoli. Solo l’anno prima mi trovavo a Pisa, ambiente di grande cultura, ma non a me congeniale. Il giorno prima a Dallas era stato assassinato Kennedy. Il terribile evento si era ripercosso su di me e la mia generazione. Destabilizzò noi che “volevamo la luna”. Lo stato di crisi di un sistema capitalistico che sacrificava i migliori provocò in me smarrimento, avevo il cuore in subbuglio”. Ma un evento significativo stava per cambiare la sua vita. “Proprio quel giorno, mi aggiravo tra le aule della centrale e mi ritrovai in quella di Piovani, che insegnava Filosofia Morale. Sono stato tra i primi suoi studenti. Lui era il ‘Maestro’, in un’epoca in cui la maestria tramontava”. Ricorda con trasporto del giorno in cui chiese la tesi al suo Maestro: “andai da Piovani con il cuore in gola, perché lui durante la lezione era come se portasse in un’altra dimensione chi lo ascoltava, ma quando questa finiva ritornava al suo distacco aristocratico, per cui lo sentivi vicino e allo stesso tempo lontano. Chiunque lo accostava poteva dunque farlo solo con timore riverente”. Alla richiesta di trattare Rousseau, il diniego di Piovani perché “per dire qualcosa di originale, bisognava occuparsi di pensatori sui quali non ci fossero già pareri autorevoli”. Così fu dirottato su un autore a lui sconosciuto (“accettai senza discutere”). “Giusnaturalismo ed etica moderna”, un libro di rottura del 1961, il testo di Piovani che provocò un mutamento, una scossa nel pensiero di Lissa. Non esistevano più certezze, bisognava prenderne atto. Ma anche “Storia delle idee”, del 1966. Mentre è infervorato dal ricordo dell’influenza di Piovani sul suo pensiero filosofico, il docente si abbandona ad un’improvvisa malinconia, al pensiero del 1980. “Quell’anno il Maestro ci lasciò. Per me è stata una separazione dolorosissima, che non ho ancora elaborato. Un po’ come la separazione da mio padre. Entrambi mi hanno consentito di essere quello che sono. Esser figlio vuol dire ricevere l’informazione intellettuale e spirituale, oltre che genetica. Così la maestria si è trasformata in filìa”. Dopo aver a lungo ricordato il contributo filosofico ed umano di Piovani, Lissa si concentra su ciò che ha costruito nei trent’anni d’attività di docente. Ha prestato attenzione al pensiero ebraico del ’900, si è occupato delle numerose questioni etico-filosofiche aperte dall’evento Sho’ah del XX secolo, si è interessato alla bioetica. “Le scienze moderne sono il nuovo modo di pensare, comportano domande su domande per le quali bisogna abbandonare ogni velleità metafisica di conoscere la risposta, nella sua totalità. Soddisfano il bisogno di sapere insito nell’uomo, che rinuncia tuttavia alla presunzione di sapere tutto”. Conclude con un’amara, ma allo stesso tempo speranzosa, considerazione. “L’Università così come la conoscevamo è morta, come direbbe Piovani nella sua Morte e trasfigurazione dell’Università. Siamo alle ultime battute, tra un po’ scomparirà anche il Dipartimento di Filosofia e con esso il Corso di Laurea. Non per questo però voglio cedere alla nostalgia e al rimpianto. Voglio pensare che stia per rinnovarsi e avvicinarsi alla dimensione europea”. Si rivolge poi agli studenti presenti: “la nuova Università deve essere protagonista di nuovi sviluppi e i filosofi dovranno collaborare con storici e filologi per partecipare alla grande partita. Noi anziani ora restiamo in panchina, tocca a voi giovani proseguire il gioco”. Annuncia che continuerà a fare ricerca, perché la vita non tiene il passo di quest’ultima. “Se l’uomo è veramente umano, mantiene il primato della ricerca sulla vita. Vivere filosofando è l’unico modo dignitoso per vivere, me l’ha insegnato Piovani, che poche feste si concedeva, e la filosofia per lui era una di queste. La morte non potrà mai sotterrare il pensiero”.
Allegra Taglialatela
“Prendo congedo dopo trent’anni in quest’aula dedicata a Pietro Piovani, gloria filosofica di chi lo ha conosciuto e di chi lo conoscerà solo attraverso le sue opere”. E’ visibilmente emozionato il prof. Lissa nel pronunciare il nome del suo Maestro, al quale era particolarmente legato. “Sono obbligato in quest’occasione a parlare di me, anche se, come direbbe Pascal, l’io risulta odioso poiché, troppo rinchiuso nell’amor di sé, tende a diventare smisurato”. Il racconto inizia, la platea è catturata. “Il 23 novembre 1963 presi il treno da Solofra a Napoli. Solo l’anno prima mi trovavo a Pisa, ambiente di grande cultura, ma non a me congeniale. Il giorno prima a Dallas era stato assassinato Kennedy. Il terribile evento si era ripercosso su di me e la mia generazione. Destabilizzò noi che “volevamo la luna”. Lo stato di crisi di un sistema capitalistico che sacrificava i migliori provocò in me smarrimento, avevo il cuore in subbuglio”. Ma un evento significativo stava per cambiare la sua vita. “Proprio quel giorno, mi aggiravo tra le aule della centrale e mi ritrovai in quella di Piovani, che insegnava Filosofia Morale. Sono stato tra i primi suoi studenti. Lui era il ‘Maestro’, in un’epoca in cui la maestria tramontava”. Ricorda con trasporto del giorno in cui chiese la tesi al suo Maestro: “andai da Piovani con il cuore in gola, perché lui durante la lezione era come se portasse in un’altra dimensione chi lo ascoltava, ma quando questa finiva ritornava al suo distacco aristocratico, per cui lo sentivi vicino e allo stesso tempo lontano. Chiunque lo accostava poteva dunque farlo solo con timore riverente”. Alla richiesta di trattare Rousseau, il diniego di Piovani perché “per dire qualcosa di originale, bisognava occuparsi di pensatori sui quali non ci fossero già pareri autorevoli”. Così fu dirottato su un autore a lui sconosciuto (“accettai senza discutere”). “Giusnaturalismo ed etica moderna”, un libro di rottura del 1961, il testo di Piovani che provocò un mutamento, una scossa nel pensiero di Lissa. Non esistevano più certezze, bisognava prenderne atto. Ma anche “Storia delle idee”, del 1966. Mentre è infervorato dal ricordo dell’influenza di Piovani sul suo pensiero filosofico, il docente si abbandona ad un’improvvisa malinconia, al pensiero del 1980. “Quell’anno il Maestro ci lasciò. Per me è stata una separazione dolorosissima, che non ho ancora elaborato. Un po’ come la separazione da mio padre. Entrambi mi hanno consentito di essere quello che sono. Esser figlio vuol dire ricevere l’informazione intellettuale e spirituale, oltre che genetica. Così la maestria si è trasformata in filìa”. Dopo aver a lungo ricordato il contributo filosofico ed umano di Piovani, Lissa si concentra su ciò che ha costruito nei trent’anni d’attività di docente. Ha prestato attenzione al pensiero ebraico del ’900, si è occupato delle numerose questioni etico-filosofiche aperte dall’evento Sho’ah del XX secolo, si è interessato alla bioetica. “Le scienze moderne sono il nuovo modo di pensare, comportano domande su domande per le quali bisogna abbandonare ogni velleità metafisica di conoscere la risposta, nella sua totalità. Soddisfano il bisogno di sapere insito nell’uomo, che rinuncia tuttavia alla presunzione di sapere tutto”. Conclude con un’amara, ma allo stesso tempo speranzosa, considerazione. “L’Università così come la conoscevamo è morta, come direbbe Piovani nella sua Morte e trasfigurazione dell’Università. Siamo alle ultime battute, tra un po’ scomparirà anche il Dipartimento di Filosofia e con esso il Corso di Laurea. Non per questo però voglio cedere alla nostalgia e al rimpianto. Voglio pensare che stia per rinnovarsi e avvicinarsi alla dimensione europea”. Si rivolge poi agli studenti presenti: “la nuova Università deve essere protagonista di nuovi sviluppi e i filosofi dovranno collaborare con storici e filologi per partecipare alla grande partita. Noi anziani ora restiamo in panchina, tocca a voi giovani proseguire il gioco”. Annuncia che continuerà a fare ricerca, perché la vita non tiene il passo di quest’ultima. “Se l’uomo è veramente umano, mantiene il primato della ricerca sulla vita. Vivere filosofando è l’unico modo dignitoso per vivere, me l’ha insegnato Piovani, che poche feste si concedeva, e la filosofia per lui era una di queste. La morte non potrà mai sotterrare il pensiero”.
Allegra Taglialatela