“Musica e scienza tra natura e cultura” è il tema scelto per il secondo appuntamento del ciclo ‘Come alla Corte di Federico II’. “Il prof. Renato Musto è un fisico teorico di chiara fama ma è anche uno straordinario uomo di cultura che ha coltivato interessi su argomenti di grande spessore”: così il Rettore Guido Trombetti spiega perché ha invitato, il 5 novembre, un Ordinario di Fisica teorica, che ha lavorato sui problemi di Meccanica Quantistica, di Teoria Quantistica dei Campi e di Teoria di Stringa, a tenere una relazione sul legame tra musica e scienza.
Il prof. Musto intervalla la sua presentazione con brevi spezzoni musicali per disegnare un ampio affresco, dai primordi pitagorici alla scienza moderna, dei tentativi di spiegare “l’arte più ineffabile, figlia dell’ebbrezza panica” con principi matematici e fisici. “Molti pensatori moderni riprendono l’idea platonica di un mondo ordinato dai principi matematici dell’armonia universale: Keplero li ritrova nei moti dei pianeti, Galileo nel rapporto tra le frequenze di due pendoli. Ma è stato Pitagora ad aver per primo verificato l’esistenza del rapporto tra la lunghezza di una corda ed il suono che essa produce”. Individuare i rapporti matematici che sono alla base dell’armonia, però, non è sufficiente a spiegare perché determinate melodie ci trasmettano sensazioni positive: “Non si può dire perché ci piacciono alcuni suoni, fa parte dell’armonia universale”, ammette il docente. Molti studiosi si sono occupati di ricercare una base oggettiva della piacevolezza della musica, ad esempio riconducendola alla fisiologia della membrana cocleare all’interno dell’orecchio. Monitorare il cervello in attività può servire a capire cosa succede quando ascoltiamo un brano di nostro gradimento: “La melodia, il ritmo, gli elementi timbrici della musica vengono percepiti da diverse aree celebrali. La PET permette di verificare che alcune parti del sistema limbico sono sensibili al piacere intenso che dà la musica. Sono le stesse aree che reagiscono al piacere provocato dal sesso o dalla droga”. Nonostante i progressi delle neuroscienze, rimane tuttavia difficile descrivere cosa sia in realtà la musica: “Non è qualcosa di ben definito, è legata alla situazione culturale specifica. Una volta era tutt’uno con le cerimonie iniziatiche, con la voce di Dio, con la danza. Oggi ci stiamo abituando ad una fruizione solitaria, all’ascolto in cuffia di musica registrata”. Il professore asserisce l’esistenza di un istinto musicale innato. Lo confermano le capacità musicali dei bambini nei primi anni di vita e il carattere musicale della relazione tra la madre ed il neonato: “Tutti siamo in grado di riconoscere una ninnananna anche se è cantata in una lingua che ignoriamo e tutte le madri del mondo si rivolgono spontaneamente al bambino con un linguaggio tipico, il ‘mammese’”.
L’affermazione che la musica aiuta a stimolare lo sviluppo delle sinapsi nel neonato induce il prof. Andrea Di Lieto a porre una domanda: “La musica ha un effetto simile sul feto? L’ascolto della musica in utero può aiutare a migliorare le performance cognitive del nascituro?”. “Senz’altro. – risponde Musto – Gli effetti benefici della musica cominciano prima della nascita. Quanto sia forte la sua influenza non è ancora stato valutato. Personalmente sono convinto che la mia passione abbia origine dal fatto che mia madre cantava molto spesso”.
Il prof. Giuseppe D’Alessio si informa sul rapporto tra l’innata musicalità e la nascita del linguaggio nelle società primitive e un suo collega richiama l’attenzione su quale possa essere un’interpretazione della persistenza della musica tra le attività umane in un’ottica darwiniana, chiedendo “perché la capacità di produrre musica si sia conservata nonostante non dia un vantaggio selettivo”. “Connettere gli elementi emotivi con quelli razionali è essenziale per la sopravvivenza – risponde il prof. Musto, spiegando che anche ad alcuni animali si può attribuire un’attività musicale – Il canto degli uccelli è complesso e appreso per imitazione proprio come il canto umano. I canaridi hanno persino la facoltà di inventare nuove canzoni finalizzate al corteggiamento”.
Rosario D’Antonio e Nicola Caruso, rispettivamente laureando e neo-laureato in Psicologia, hanno filmato l’intero incontro. “Studiamo come la cultura gruppale possa essere appresa in termini fisici, matematici e musicali”, affermano i ragazzi che hanno entrambi lavorato ad una tesi di ricerca sotto la guida del prof. Guelfo Margherita. Fare musica è, infatti, molto spesso un’attività collettiva che richiede di sincronizzarsi con gli altri: “Nella cultura gruppale noi utilizziamo un linguaggio simile a quello musicale – sostiene il prof. Margherita – La messa in fase, ossia la creazione di un ritmo, rappresenta la pulsazione vitale del contesto generale in cui si è calati. Riflettendo su questi ritmi si può creare una melodia comune”.
“Io studio piano. Pensavo che l’intervento fosse centrato su concetti musicali. Tuttavia il collegamento tra scienza e antropologia è stato interessante”, afferma lo studente Salvatore Cosentino, ed il collega Sergio Osella concorda: “Ho sempre visto la musica come una passione, un modo di esprimere un sentimento, non come un’equazione algebrica. Le applicazioni matematiche e scientifiche alla musica sono state per me una scoperta”. “Mi aspettavo qualcosa di più divulgativo – rileva la prof.ssa Mirella Verbano – Purtroppo non ho competenze scientifiche e musicali adeguate”. “Renato è imprevedibile. Stasera mi ha sorpreso con il suo tentativo di fare un excursus tra varie discipline per fornire una visione d’insieme”, conclude la prof.ssa Gianna Palomba.
Manuela Pitterà
Il prof. Musto intervalla la sua presentazione con brevi spezzoni musicali per disegnare un ampio affresco, dai primordi pitagorici alla scienza moderna, dei tentativi di spiegare “l’arte più ineffabile, figlia dell’ebbrezza panica” con principi matematici e fisici. “Molti pensatori moderni riprendono l’idea platonica di un mondo ordinato dai principi matematici dell’armonia universale: Keplero li ritrova nei moti dei pianeti, Galileo nel rapporto tra le frequenze di due pendoli. Ma è stato Pitagora ad aver per primo verificato l’esistenza del rapporto tra la lunghezza di una corda ed il suono che essa produce”. Individuare i rapporti matematici che sono alla base dell’armonia, però, non è sufficiente a spiegare perché determinate melodie ci trasmettano sensazioni positive: “Non si può dire perché ci piacciono alcuni suoni, fa parte dell’armonia universale”, ammette il docente. Molti studiosi si sono occupati di ricercare una base oggettiva della piacevolezza della musica, ad esempio riconducendola alla fisiologia della membrana cocleare all’interno dell’orecchio. Monitorare il cervello in attività può servire a capire cosa succede quando ascoltiamo un brano di nostro gradimento: “La melodia, il ritmo, gli elementi timbrici della musica vengono percepiti da diverse aree celebrali. La PET permette di verificare che alcune parti del sistema limbico sono sensibili al piacere intenso che dà la musica. Sono le stesse aree che reagiscono al piacere provocato dal sesso o dalla droga”. Nonostante i progressi delle neuroscienze, rimane tuttavia difficile descrivere cosa sia in realtà la musica: “Non è qualcosa di ben definito, è legata alla situazione culturale specifica. Una volta era tutt’uno con le cerimonie iniziatiche, con la voce di Dio, con la danza. Oggi ci stiamo abituando ad una fruizione solitaria, all’ascolto in cuffia di musica registrata”. Il professore asserisce l’esistenza di un istinto musicale innato. Lo confermano le capacità musicali dei bambini nei primi anni di vita e il carattere musicale della relazione tra la madre ed il neonato: “Tutti siamo in grado di riconoscere una ninnananna anche se è cantata in una lingua che ignoriamo e tutte le madri del mondo si rivolgono spontaneamente al bambino con un linguaggio tipico, il ‘mammese’”.
L’affermazione che la musica aiuta a stimolare lo sviluppo delle sinapsi nel neonato induce il prof. Andrea Di Lieto a porre una domanda: “La musica ha un effetto simile sul feto? L’ascolto della musica in utero può aiutare a migliorare le performance cognitive del nascituro?”. “Senz’altro. – risponde Musto – Gli effetti benefici della musica cominciano prima della nascita. Quanto sia forte la sua influenza non è ancora stato valutato. Personalmente sono convinto che la mia passione abbia origine dal fatto che mia madre cantava molto spesso”.
Il prof. Giuseppe D’Alessio si informa sul rapporto tra l’innata musicalità e la nascita del linguaggio nelle società primitive e un suo collega richiama l’attenzione su quale possa essere un’interpretazione della persistenza della musica tra le attività umane in un’ottica darwiniana, chiedendo “perché la capacità di produrre musica si sia conservata nonostante non dia un vantaggio selettivo”. “Connettere gli elementi emotivi con quelli razionali è essenziale per la sopravvivenza – risponde il prof. Musto, spiegando che anche ad alcuni animali si può attribuire un’attività musicale – Il canto degli uccelli è complesso e appreso per imitazione proprio come il canto umano. I canaridi hanno persino la facoltà di inventare nuove canzoni finalizzate al corteggiamento”.
Rosario D’Antonio e Nicola Caruso, rispettivamente laureando e neo-laureato in Psicologia, hanno filmato l’intero incontro. “Studiamo come la cultura gruppale possa essere appresa in termini fisici, matematici e musicali”, affermano i ragazzi che hanno entrambi lavorato ad una tesi di ricerca sotto la guida del prof. Guelfo Margherita. Fare musica è, infatti, molto spesso un’attività collettiva che richiede di sincronizzarsi con gli altri: “Nella cultura gruppale noi utilizziamo un linguaggio simile a quello musicale – sostiene il prof. Margherita – La messa in fase, ossia la creazione di un ritmo, rappresenta la pulsazione vitale del contesto generale in cui si è calati. Riflettendo su questi ritmi si può creare una melodia comune”.
“Io studio piano. Pensavo che l’intervento fosse centrato su concetti musicali. Tuttavia il collegamento tra scienza e antropologia è stato interessante”, afferma lo studente Salvatore Cosentino, ed il collega Sergio Osella concorda: “Ho sempre visto la musica come una passione, un modo di esprimere un sentimento, non come un’equazione algebrica. Le applicazioni matematiche e scientifiche alla musica sono state per me una scoperta”. “Mi aspettavo qualcosa di più divulgativo – rileva la prof.ssa Mirella Verbano – Purtroppo non ho competenze scientifiche e musicali adeguate”. “Renato è imprevedibile. Stasera mi ha sorpreso con il suo tentativo di fare un excursus tra varie discipline per fornire una visione d’insieme”, conclude la prof.ssa Gianna Palomba.
Manuela Pitterà