Nicola Piovani incontra gli studenti di STIM

Sessant’anni, più di trenta dei quali trascorsi al fianco dei maggiori registi italiani ed europei, come autore di musiche e colonne sonore. Tutto questo è Nicola Piovani. Giovedì 8 giugno, nell’aula A6 di Monte Sant’Angelo, ha incontrato gli studenti del corso di Cinema e Fotografia. Moderatore dell’evento, il critico Giulio Baffi, docente della Facoltà di Economia. La manifestazione ha chiuso gli appuntamenti dedicati alla provincia italiana nel cinema di Fellini. La rassegna ha consentito agli studenti di vedere alcuni dei suoi film più famosi e di approfondire il lavoro di Piovani, attualmente impegnato nella scrittura di una composizione per i cento anni della Cgil. “Concentro sempre l’attenzione su un maestro del cinema italiano. Di volta in volta cerco di individuare una lacuna o un interesse da parte degli studenti. Il nostro cinema è maestro nel mondo ed i giovani devono avere la coscienza dell’importanza poetica e culturale dell’Italia” commenta il prof. Baffi. “Incontri come questi danno la possibilità ai futuri promotori del territorio, di comprendere come fare marketing anche attraverso il cinema e la rete” dice la prof.ssa Roberta Siciliano, Presidente del Corso di Laurea in Scienze del Turismo. 
Monicelli, Magni, Luna, ma anche Luca De Filippo, Gassman, Garinei e Fabrizio De Andrè (con il quale ha collaborato agli arrangiamenti degli album Non al denaro, non all’amore, né al cielo e Storia di un impiegato), sono solo alcuni dei nomi con i quali Piovani ha lavorato nel corso di una carriera lunga e prestigiosa coronata, nel ’99, dall’Oscar per le musiche del film La vita è bella di Roberto Benigni. 
Il ricordo più affettuoso è per Fellini. “Quando lui era in azione, sembrava di stare su un altro pianeta. Sapeva darti emozioni e scavalcare i  pregiudizi e la pochezza, nel lavoro e nella vita”. Da molti anni si divide tra cinema e teatro, due mondi musicali molto diversi. “Tanto meglio riesce la musica al cinema, quanto più è sorniona la sua struttura. Deve entrare solo ad un certo punto della storia, in punta di piedi e poi espandersi, senza mai prevaricare sul resto, altrimenti disturba”. La musica rappresenta il sentimento di chi racconta. Bastano poche battute per richiamare alla memoria tutte le emozioni vissute sulla pellicola. “Come una volta scrisse un cronista del giornale francese Express, la musica rappresenta l’inconscio del film. Racconta qualcosa che il personaggio non sa”. Il cinema è un’arte fortemente realistica. Il teatro, invece, è rappresentazione. Non si vede mai solo il personaggio, ma anche chi  lo interpreta. La musica in teatro è bene che si senta e si presenti, come fanno i personaggi. Anzi, è meglio che il pubblico veda chi sta suonando. 
Il film con
Fellini e Moretti
Le domande dei ragazzi in aula sono tantissime. 
“Un autore di musiche da film si sente in una gabbia? La committenza, lo obbliga a stare in certi ranghi?” chiede un ragazzo. “Pensate ai grandi pittori rinascimentali che dovevano dipingere, all’interno di edifici già esistenti, con spazi e superfici definite, affreschi i cui soggetti erano commissionati. Noi, al confronto, godiamo di una grande libertà. Un  film non ti da l’opportunità di scrivere la tua musica, ma di entrare in una storia. La partitura deve essere scomposta perché le singole scene richiedono cose diverse. Imparare a giocare con tutto questo è bellissimo” risponde il compositore. 
“Le è mai capitato, a riprese  iniziate, di dover rivedere il suo lavoro, perchè il risultato non corrispondeva all’idea che si era fatto leggendo la sceneggiatura? E’ mai successo, invece, che un regista, modificasse qualcosa dopo avere ascoltato la sua musica?” chiede la prof.ssa Siciliano. “Dopo aver letto una sceneggiatura, devi quasi sempre scartare la maggior parte delle idee che ti erano venute prima. È capitato anche che alcuni registi decidessero di modificare il montaggio in base alla musica. Sono casi eccezionali in cui la collaborazione è un reciproco scambio. È successo durante le riprese di ‘Kaos’, dei fratelli Taviani”. 
“Come fa a sapere quale strumento è meglio mettere in evidenza?” vuol sapere invece un altro studente. “Nel nostro lavoro la tecnica conta molto ma ci sono anche aspetti non razionali. Per la ‘Stanza del figlio’, ho pensato al pianoforte per sottolineare l’andirivieni del padre da una stanza all’altra. È rischioso, perché è uno strumento che entra nella scena con forza, eppure mi sembrava che potesse funzionare. Lavoravo su una storia che mi aveva molto colpito e in questi casi si fanno delle scelte con maggiore sicurezza”.  “Quanto del maestro Piovani ci sia in Fellini lo sappiamo, almeno in parte, dai film. Ma quanto Fellini c’è nel maestro Piovani e quanto del regista scomparso c’è in Nicola come persona?” domanda una ragazza. “Ero un suo ammiratore, anche prima di lavorarci insieme. Per ammirazione, avevo voluto conoscere Nino Rota. Quando lui è  morto è stato come entrare in una bottega in cui bisognava completare un lavoro tutt’altro che logoro. C’è voluta tanta presunzione, perché Fellini e Rota, insieme rappresentavano un marchio”. 
“Che differenza c’è tra il cinema o il teatro e le canzoni?” chiede dall’aula un altro studente. “I dischi di De André ai quali ho collaborato, rappresentavano degli  esperimenti un po’ anomali. In 12 canzoni, raccontavano una storia. È molto cinematografico”. 
“Quando le viene l’ispirazione?”  chiede una studentessa. “Non sai nemmeno tu come e quando arrivi l’intuizione. Se una storia ti stimola, ti viene voglia di raccontarla e tradurla in qualche modo, ma è solo una piccola parte. Il resto è lavoro artigianale, da fare al tavolino, ed è una grande fatica”. “Dicono che lavorare con Moretti sia terribile perché è molto nervoso. È vero?” domanda un ragazzo. “È maniacalmente impaurito dai dettagli, anche da quelli per altri insignificanti ma c’è grande differenza tra il momento in cui cura il montaggio e quello in cui gira  le scene ed è, al tempo stesso, attore e regista. In questo caso, la leggenda ha un fondamento di verità”.  “Quanto è influenzato dai grandi maestri del passato?” domanda uno studente. “Nessun grande musicista sarebbe mai esistito se non ce ne fosse stato un altro prima. Grandi compositori come Ravel, che amo molto, oppure Rota e Morricone, che sono i miei maestri, mi influenzano sicuramente”. “Com’è stato lavorare con Benigni in La vita è bella?”. “Quel film è un atto di coraggio. Fino a pochissimi giorni prima dell’uscita, produttori, distributori e giornalisti, erano convinti che sarebbe stato un disastro e imploravano Benigni di cambiare il  finale. La paura era tanta. Benigni ha messo in gioco la sua popolarità. Ha vinto la scommessa. Merita ammirazione e rispetto perché è un artista che rischia sempre. Molti non lo fanno e ripetono per tutta la vita i successi di trent’anni prima”. 
Al termine dell’incontro, per il compositore romano ci sono applausi e autografi da firmare.
Simona Pasquale
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