Paolo Cappabianca, l’umanista medico va a Bruxelles per l’oro in Neurochirurgia

Va in giro per il mondo per incontri scientifici vissuti come “partite di tennis”. È orgoglioso dei suoi allievi “diventati più bravi di me”, grato ai suoi Maestri “che mi hanno dato un metodo”, fiero di sé quando pensa che l’allenatore di canottaggio, che ha scelto anni fa, oggi allena la nazionale rumena. Paolo Cappabianca è un “umanista prestato alla medicina”. L’umanista sulla mensola più alta della libreria conserva Sciascia ed Erri De Luca. Il medico dal ’97 al centro della sala operatoria mette una strumentazione chirurgica in miniatura che consente di operare all’interno del cranio passando per le narici. Una tecnica mininvasiva che, il prossimo ottobre, lo porterà a Bruxelles per ritirare la medaglia d’oro dell’EANS (The European Association of Neurosurgical Societies). Ha 65 anni, insegna Neurochirurgia alla Federico II, e pensa a “come migliorare nei prossimi 65”.
Professore, tempo fa in un’intervista a La Repubblica, parlando della chirurgia mininvasiva, ha detto: “vengono dagli USA a studiare da noi”. È ancora così?
“Questo tipo di chirurgia è stato un pretesto. Non abbiamo mai pensato di aver fatto una cosa eccezionale per la quale meritavamo di stare in prima pagina. C’è uno scambio continuo di informazioni e di conoscenze nelle quali si lavora come a una partita di tennis. La palla va da un lato all’altro del campo, noi insegniamo agli altri delle cose e loro ce ne restituiscono di nuove. E con più forza le trasmettiamo, con più forza ritornano nel nostro campo”.
Le prossime “partite”?
“Uno dei miei collaboratori sta tenendo lezioni a Roma. Il mese prossimo andrò in Marocco per la World Federation of Neurosurgical Societies. Poi sarò a Bruxelles per ricevere la medaglia d’oro dell’EANS e a Belgrado per gli ottant’anni della società serba di neurochirurgia. A novembre sono previsti congressi a Bologna e un workshop a Napoli dove verranno persone qualificate, italiane e straniere, a imparare queste tecniche”.
Contento del viaggio a Bruxelles?
“È un riconoscimento alla Scuola napoletana che certamente va al di là dei miei meriti. La nostra Neurochirurgia ha avuto grandi figure già dagli anni ’50 con il professor Castellano che all’ospedale Cardarelli operò il primo tumore cerebrale a Napoli. Penso anche al professor D’Andrea, che fondò la neurochirurgia federiciana, al professor Conforti, altra figura molto brillante, al professor De Divitiis, mio Maestro. Cinque Presidenti della Società Italiana di Neurochirurgia sono venuti da Napoli. Insomma, c’è una tradizione che a noi tocca solo rinnovare. Io raccolgo il testimone e i meriti di quelli che mi hanno preceduto”.
Ha parlato del suo Maestro. Qual era l’approccio ai libri dello studente Cappabianca?
“Sono stato fortunato perché fin dalla scuola ho avuto grandi Maestri che più che trasmettermi informazioni mi hanno dato una lezione di metodo. È stato un periodo fertile perché gli anni della contestazione ci hanno permesso di mettere in discussione tante affermazioni preconcette. Questo ci ha sempre consentito di guardare oltre per imparare di più. È questo che mi ha accompagnato a scuola, all’università e nella professione”. 
Come reputa il professor Cappabianca?
“Un umanista prestato alla Medicina. Le confesserò un mio vanto e debolezza. In Neurochirurgia ho allevato tantissime persone di grande qualità. Molti collaboratori sono più bravi di me e per me è motivo di grande soddisfazione. Lo stesso l’ho fatto anche nel canottaggio. Sono socio onorario della Federazione Italiana di Canottaggio perché, partendo da un circolo napoletano che aveva grandi tradizioni, ma non straordinarie, abbiamo portato un atleta, Giuseppe Vicino, a vincere la medaglia di bronzo alle Olimpiadi e a essere due volte campione del mondo. È successo perché ho applicato una lezione di metodo”.
Cioè?
“Ho cambiato l’allenatore, i sistemi di allenamento, la sede e altro. È stato un percorso costruito attraverso un programma. L’allenatore che ho scelto oltre venti anni fa adesso allena la nazionale olimpica romena (Antonio Colamonici). Sono convinto che raccoglierà medaglie alle prossime Olimpiadi”. 
Ha 65 anni. Se ripensa alla sua carriera è soddisfatto o cambierebbe qualcosa?
“Sono stato fortunato, tante cose mi sono andate bene. Poi ringrazio Dio per la mia famiglia, per lo sport e per tutto ciò che è andato come avrei desiderato. Certamente altre cose si possono fare meglio e magari le miglioreremo nei prossimi 65 anni”.
Ha diagnosticato un tumore all’ipofisi a una persona semplicemente guardandola. È questo l’episodio professionale che ricorda di più?
“No. Quello è stato un caso della sorte. Per me la cosa più bella è quando una persona che ha quasi perso la vista la recupera. È una nuova luce, una nuova giornata che si schiude. Mi da grandissima emozione”.
Soddisfazioni, ma anche sacrificio. Com’è la sua giornata lavorativa?
“Se il sacrificio è animato dalla passione, allora non c’è stanchezza né rimpianto”.
Cosa serve a uno studente per arrivare pronto al mondo del lavoro?
“Formiamo buone generazioni di professionisti. Se gli altri Paesi prendono i nostri laureati a costo zero, forse tanto scarsi non siamo. Questa benedetta fuga di cervelli depaupera noi a vantaggio degli altri”. 
È tempo di ritorno in aula. Cosa dice agli studenti?
“Di coltivare il loro sogno, ricordandosi che l’impegno è sacrosanto. Oggi molte persone si ricordano solo dei propri diritti e non dei doveri. Se uno fa una cosa e vuole conseguire un risultato ha il dovere di metterci tutto sé stesso”.
- Advertisement -




Articoli Correlati