“Napoli e lo spazio del nomos” è stato il filo conduttore del quinto appuntamento con Il Sabato delle idee, rassegna di conferenze e incontri a tema nata dalla collaborazione tra Università Suor Orsola Benincasa, Fondazione SDN per la Ricerca e l’Alta Formazione in Diagnostica Nucleare e Palazzo delle Arti di Napoli con lo scopo di ravvivare il dibattito cittadino sui temi di maggiore interesse civile, sociale e culturale per la città di Napoli.
All’incontro-dibattito di sabato 30 maggio hanno partecipato giuristi, magistrati, giornalisti, ricercatori, filosofi e antropologi per discutere del ‘nomos’ inteso non come ‘norma, regola’ ma come spartizione originaria che sta alla base della costruzione normativa di una società. Spiega, infatti, il prof. Francesco De Sanctis, Rettore del Suor Orsola Benincasa, che “il termine greco ‘nomos’ va interpretato nel significato originario di ‘ripartizione, distribuzione’ che viene prima del ‘tesmòs’, cioè la legge come la intendiamo oggi. Bisogna porre al centro della riflessione non tanto il problema della legalità a Napoli, ma il problema di cosa sia realmente venuto a mancare alla cittadinanza napoletana in questi ultimi anni, partendo non direttamente dall’analisi del tessuto normativo, bensì dall’analisi della spartizione (nomos, appunto) che è all’origine di un determinato tessuto normativo e sociale”. Come sottolinea anche Raffaele Cantone, giudice della Corte di Cassazione ed ex pubblico ministero presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, “il primo significato di nomos non è regola, ma consuetudine, costume. È poi la buona consuetudine a creare la norma. Nella realtà napoletana, però, si è radicata una consuetudine all’illegalità che riduce progressivamente lo spazio del nomos, fino quasi ad azzerarlo. Bisogna, invece, recuperarlo come spazio delle regole per ripristinare la legalità a Napoli”. Lo spazio del nomos va inteso, dunque, come la necessità, ma anche l’esigibilità da parte della cittadinanza di una vita resa buona attraverso le regole. Napoli, città complessa e intimamente contraddittoria, oggi deve rimboccarsi le maniche per tornare a essere “quel centro di irradiazione della cultura che è sempre stata – afferma Stefano Rodotà, ex Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali. “Lo spazio del nomos non è la legge sovrana, il cosiddetto ‘nomos basileus’, ma è una legge più profonda, è il modo in cui si costituisce una società. Quando, però, l’ordinamento criminale diventa prevalente, come spesso accade nella realtà napoletana e non solo, tutto il resto viene sopraffatto con un ritorno al pre-politico, al pre-leviatano. Ora è necessario un ribaltamento, Napoli deve tornare a essere la città dei diritti”, sostiene Rodotà. Città dei diritti ma non solo, anche “città dell’impegno” secondo il giudice Cantone, che invita i cittadini a smettere di aspettare sempre l’uomo della provvidenza, “il demiurgo che arrivi dall’esterno a risolvere i problemi di Napoli! Bisogna agire in prima persona, tutti insieme, anche quella borghesia intellettuale troppo spesso distante dalla plebe e dai problemi della città e arroccata sulle sue posizioni”.
All’incontro-dibattito di sabato 30 maggio hanno partecipato giuristi, magistrati, giornalisti, ricercatori, filosofi e antropologi per discutere del ‘nomos’ inteso non come ‘norma, regola’ ma come spartizione originaria che sta alla base della costruzione normativa di una società. Spiega, infatti, il prof. Francesco De Sanctis, Rettore del Suor Orsola Benincasa, che “il termine greco ‘nomos’ va interpretato nel significato originario di ‘ripartizione, distribuzione’ che viene prima del ‘tesmòs’, cioè la legge come la intendiamo oggi. Bisogna porre al centro della riflessione non tanto il problema della legalità a Napoli, ma il problema di cosa sia realmente venuto a mancare alla cittadinanza napoletana in questi ultimi anni, partendo non direttamente dall’analisi del tessuto normativo, bensì dall’analisi della spartizione (nomos, appunto) che è all’origine di un determinato tessuto normativo e sociale”. Come sottolinea anche Raffaele Cantone, giudice della Corte di Cassazione ed ex pubblico ministero presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, “il primo significato di nomos non è regola, ma consuetudine, costume. È poi la buona consuetudine a creare la norma. Nella realtà napoletana, però, si è radicata una consuetudine all’illegalità che riduce progressivamente lo spazio del nomos, fino quasi ad azzerarlo. Bisogna, invece, recuperarlo come spazio delle regole per ripristinare la legalità a Napoli”. Lo spazio del nomos va inteso, dunque, come la necessità, ma anche l’esigibilità da parte della cittadinanza di una vita resa buona attraverso le regole. Napoli, città complessa e intimamente contraddittoria, oggi deve rimboccarsi le maniche per tornare a essere “quel centro di irradiazione della cultura che è sempre stata – afferma Stefano Rodotà, ex Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali. “Lo spazio del nomos non è la legge sovrana, il cosiddetto ‘nomos basileus’, ma è una legge più profonda, è il modo in cui si costituisce una società. Quando, però, l’ordinamento criminale diventa prevalente, come spesso accade nella realtà napoletana e non solo, tutto il resto viene sopraffatto con un ritorno al pre-politico, al pre-leviatano. Ora è necessario un ribaltamento, Napoli deve tornare a essere la città dei diritti”, sostiene Rodotà. Città dei diritti ma non solo, anche “città dell’impegno” secondo il giudice Cantone, che invita i cittadini a smettere di aspettare sempre l’uomo della provvidenza, “il demiurgo che arrivi dall’esterno a risolvere i problemi di Napoli! Bisogna agire in prima persona, tutti insieme, anche quella borghesia intellettuale troppo spesso distante dalla plebe e dai problemi della città e arroccata sulle sue posizioni”.
“Agire in prima
persona” senza
aspettare
“il demiurgo”
persona” senza
aspettare
“il demiurgo”
Lo spazio di discussione, moderato da Alfonso Ruffo, direttore del Denaro, ha visto protagonisti anche il prof. Marino Niola, docente di Antropologia al Suor Orsola, e il prof. Bruno Moroncini, docente di Antropologia filosofica all’Università di Salerno, che hanno arricchito il dibattito con analisi di carattere antropologico e filosofico sul rapporto tra nomos e politica.
A lanciare un’idea ‘interattiva’, invece, è stato Roberto Casati, Direttore di Ricerca del CNRS di Parigi, secondo il quale “il vero problema della società (non solo napoletana o campana) non è un deficit normativo, ma un deficit di conoscenza normativa. Si potrebbe fare nel campo del diritto ciò che wikipedia ha fatto nel campo dell’informazione: creare uno spazio di costruzione normativa, una sorta di wikilex o wikinomos, in cui i cittadini possano liberamente contribuire alla costruzione della legge”. Attirare, però, i cittadini nello spazio del nomos non è cosa facile quando si è “tutti immersi in una pulviscolarità di comportamenti illegali” come sostiene Guido Trombetti, Rettore dell’Università Federico II di Napoli. “Napoli è sempre alla ribalta perché è una città esagerata, l’ideale per i media. Ma il suo vero problema è la dimensione pulviscolare dell’illegalità, che interessa tutta la cittadinanza senza soluzione di continuità, dalla piccola inosservanza della legge ai crimini più efferati. Il fatto è quasi antropologico, c’è bisogno dell’impegno di tutte le istituzioni”. Contrario alla tolleranza zero, “sarebbe forse meglio una tolleranza (epsilon), cioè prossima allo zero ma non proprio zero, altrimenti si corre il rischio di trasformare un posto libero in un posto oppresso”, Trombetti individua nella dimensione educativa, a partire dalle scuole, la dimensione strategica per risolvere il problema dell’illegalità. E sulle scuole puntava anche Giancarlo Siani, giornalista del Mattino ucciso dalla camorra nel 1985 a soli 26 anni, quando andava nelle scuole e diceva agli studenti “è tutto marcio, sì, è vero. Ma la speranza siete voi”. A ricordarlo suo fratello Paolo, al termine del dibattito, attraverso la proiezione di alcune scene del film Fortapasc di Marco Risi e del video “Per amore di verità”, realizzato da Sandro Di Domenico e Federico Tosi e vincitore del Premio ‘Una vita da raccontare’, istituito dal Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e dedicato quest’anno proprio a Siani.
Inaugurata, inoltre, la mostra di arte contemporanea dell’artista napoletana Melita Rotondo, intitolata “Io sono un filo d’erba”, che resterà in esposizione all’Università Suor Orsola fino al 26 giugno e che testimonia, come per ogni appuntamento del Sabato delle idee, la collaborazione con il Pan.
Toccati, dunque, i temi della legalità, dei diritti e della libertà di stampa, intrecciati e quanto mai attuali. Numerose le domande di ricercatori e giovani studenti dalla platea: come si attua il ribaltamento? Come si diventa città dei diritti e dell’impegno? Come si fa alla fine a uscire dalla nube di illegalità e dal solito vittimismo? La risposta di tutti pare essere una sola, sempre la stessa: ‘la speranza siamo noi’. Aveva ragione Giancarlo.
Marzia Parascandolo
A lanciare un’idea ‘interattiva’, invece, è stato Roberto Casati, Direttore di Ricerca del CNRS di Parigi, secondo il quale “il vero problema della società (non solo napoletana o campana) non è un deficit normativo, ma un deficit di conoscenza normativa. Si potrebbe fare nel campo del diritto ciò che wikipedia ha fatto nel campo dell’informazione: creare uno spazio di costruzione normativa, una sorta di wikilex o wikinomos, in cui i cittadini possano liberamente contribuire alla costruzione della legge”. Attirare, però, i cittadini nello spazio del nomos non è cosa facile quando si è “tutti immersi in una pulviscolarità di comportamenti illegali” come sostiene Guido Trombetti, Rettore dell’Università Federico II di Napoli. “Napoli è sempre alla ribalta perché è una città esagerata, l’ideale per i media. Ma il suo vero problema è la dimensione pulviscolare dell’illegalità, che interessa tutta la cittadinanza senza soluzione di continuità, dalla piccola inosservanza della legge ai crimini più efferati. Il fatto è quasi antropologico, c’è bisogno dell’impegno di tutte le istituzioni”. Contrario alla tolleranza zero, “sarebbe forse meglio una tolleranza (epsilon), cioè prossima allo zero ma non proprio zero, altrimenti si corre il rischio di trasformare un posto libero in un posto oppresso”, Trombetti individua nella dimensione educativa, a partire dalle scuole, la dimensione strategica per risolvere il problema dell’illegalità. E sulle scuole puntava anche Giancarlo Siani, giornalista del Mattino ucciso dalla camorra nel 1985 a soli 26 anni, quando andava nelle scuole e diceva agli studenti “è tutto marcio, sì, è vero. Ma la speranza siete voi”. A ricordarlo suo fratello Paolo, al termine del dibattito, attraverso la proiezione di alcune scene del film Fortapasc di Marco Risi e del video “Per amore di verità”, realizzato da Sandro Di Domenico e Federico Tosi e vincitore del Premio ‘Una vita da raccontare’, istituito dal Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e dedicato quest’anno proprio a Siani.
Inaugurata, inoltre, la mostra di arte contemporanea dell’artista napoletana Melita Rotondo, intitolata “Io sono un filo d’erba”, che resterà in esposizione all’Università Suor Orsola fino al 26 giugno e che testimonia, come per ogni appuntamento del Sabato delle idee, la collaborazione con il Pan.
Toccati, dunque, i temi della legalità, dei diritti e della libertà di stampa, intrecciati e quanto mai attuali. Numerose le domande di ricercatori e giovani studenti dalla platea: come si attua il ribaltamento? Come si diventa città dei diritti e dell’impegno? Come si fa alla fine a uscire dalla nube di illegalità e dal solito vittimismo? La risposta di tutti pare essere una sola, sempre la stessa: ‘la speranza siamo noi’. Aveva ragione Giancarlo.
Marzia Parascandolo