Sofia Abad, studentessa italo-marocchina, iscritta a L’Orientale, condurrà presto un talk show

Nata e cresciuta a Napoli, origini marocchine. Sofia Abad, iscritta al Corso di Laurea Magistrale in Scienze delle Lingue, Storia, Culture del Mediterraneo e dei Paesi Islamici a L’Orientale, vive a Cellole, un paesino in provincia di Caserta. Ama viaggiare, scrivere e scattare foto. Di recente ha iniziato a dedicarsi a un nuovo progetto. Si chiama #TalkWithMe il programma che presto condurrà su un canale Youtube. “Uno spazio di condivisione, confronto e conoscenza del variegato mondo dell’Islam italiano”, sottolinea la laureanda evidenziando le ampie prospettive di apertura al dialogo che possono celarsi dietro un semplice hashtag. Un’iniziativa costruttiva pensata per dar voce a esperienze e opinioni diverse in fatto di fede in un clima di assoluta libertà. Obiettivo a monte è quello di aprire una breccia nel muro di pregiudizi e stereotipi riguardanti la comunità musulmana, dal velo al jihad. Sofia racconta la sua storia, a cavallo tra due visioni culturali, da lei sempre vissute come una fonte inesauribile di arricchimento alla scoperta di sé e degli altri. Qual è la storia dei tuoi genitori? Come ti hanno educata? “Sono la prima di tre figlie, nata da genitori marocchini che vivono in Italia da più di 30 anni. Sono sempre stati un esempio per me perché mi hanno insegnato sin da piccola a comprendere la diversità e a non farne un dramma, a rispettare le idee altrui e a dialogare con tutti a prescindere da ogni tipo di etichetta sociale. Ho sempre partecipato alle lezioni di religione cattolica a scuola e alle recite di fine anno. Ricordo mia madre ospitare i testimoni di Geova in casa per ascoltarli, offrire loro un buon tè alla menta e sorridere dicendomi: ‘nella diversità siamo tutti uguali, non giudicare mai nessuno’. Sono grata ai miei genitori per avermi educata con sani principi e valori religiosi. Anche grazie alla loro educazione sono ancora più convinta che l’Islam sia una parte di me”. Come è nata l’idea di un talk show? “Spesso sono stata contattata da programmi  televisivi per parlare di Islam, ma ho sempre rifiutato proprio perché notavo che l’interesse dei media non era quello di conoscere il mio punto di vista. La mia presenza, piuttosto, serviva solamente ad affermare ancora una volta una sola teoria, ovvero che l’Islam e i musulmani risultano essere una minaccia alle tradizioni secolarizzate italiane. Ho subito pensato questo: se non mi viene data la possibilità di esprimere liberamente il mio pensiero, allora vorrà dire che è giunto il momento di creare un talk show, in cui si possa dare voce a persone che per varie ragioni rimangono nell’ombra. Ne ho parlato con miei due colleghi Rosanna Sirignano e Nicola Di Mauro, entrambi dottorandi a L’Orientale, i quali hanno subito  creduto al progetto e insieme abbiamo deciso di concretizzarlo”. In cosa consiste #TalkWithMe? “Nelle puntate verranno ospitate varie figure emergenti, scrittori, blogger, musicisti, studiosi, attivisti, i quali saranno invitati a parlare della vita dei musulmani in Italia. E sarò proprio io a intervistarli. #TalkWithMe tenta di smontare le ‘etichette’ stabilite dalla società, dalla politica e dai media, perché siamo davvero stanchi di sentirci accostati solamente a terminologie negative, come terrorismo e fondamentalismo. Il programma è aperto a qualsiasi tipo di dibattito, vogliamo creare una vera e propria interazione dove ognuno di noi possa esprimersi senza sentirsi sotto pressione, purché lo si faccia nel pieno rispetto di tutte le religioni. Non intendiamo parlare di un Islam dottrinale, anche perché non ne abbiamo le competenze, bensì della pluralità musulmana, delle vite delle persone e del loro modo di approcciare alla quotidianità”. Come vivi il tuo rapporto con la religione? “In perfetto equilibrio, Alhamdulillah (Grazie a Dio). La religione è un qualcosa che sento dentro di me, vivo tutto in funzione di essa, ma questo non vuol dire che io non mi goda la vita. Spesso si commette l’errore di pensare che l’unico modo di considerare la religione, quando la si pone al centro della propria vita, sia essere passivi. Ciò non è assolutamente concepibile nell’Islam perché più si è impegnati attivamente nella società, nel lavoro, nello studio, con la famiglia, con gli amici o per se stessi, più ricompense si ricevono. E anche queste ultime sono ‘ibadat’, ossia atti di culto”.  Quali sono le abitudini di ambo le culture a cui non rinunciate in famiglia? “A casa mangiamo cibi che variano dal couscous alla lasagna, dalla carne con le prugne alla parmigiana di melanzane, dalla frittata di maccheroni alla harira (zuppa), per non parlare di dolci. Per comunicare utilizziamo due registri linguistici: l’italiano e l’arabo, più precisamente il dialetto marocchino. Le radici marocchine, la realtà quotidiana italiana, la religiosità rafforzano ancora di più la mia identità e sono gli elementi indispensabili che fanno di me la vera Sofia. Non posso dire di essere solamente italiana e neanche solo marocchina. Mi piace definirmi ‘italo-marocchina’ e ne vado fiera, poiché credo sia una vera e propria ricchezza, un valore aggiunto. Mi affascina la maniera in cui queste due parti di me – apparentemente diverse, ma in realtà molto simili – siano in perfetta sintonia tra di loro”. Come mai hai scelto L’Orientale intraprendendo lo studio dell’arabo? “Ho scelto di iscrivermi qui ben sei anni fa, perché sentivo la necessità di conoscere il mondo arabo-islamico anche dal punto di vista accademico. Ho sostenuto, infatti, diversi esami che riguardano l’Islam e la lingua araba. Adesso mi sto specializzando anche in Linguistica, precisamente in dialettologia araba. Ho sempre parlato
il dialetto marocchino in casa sin dalla mia infanzia. Ma è stato proprio lo studio dell’arabo a farmi sentire davvero realizzata. Ho sempre voluto impararlo anche per leggere e comprendere il Corano e altri testi teologici, insomma voglio partire dalle fonti originali per capire le varie sfumature interpretative”. Cosa ha significato per te approfondire il discorso sulle lingue e le culture straniere? “Credo che studiare le lingue sia fondamentale per chiunque, a prescindere dalle proprie origini. Tuttavia, alcuni non riescono a comprendere la fortuna di nascere in un altro Paese e rischiano di abbandonare una parte della propria identità. Molte volte è la stessa società che non aiuta i figli nati da genitori stranieri a mantenere la giusta proporzione tra le due entità. Ci si può trovare a fare necessariamente una scelta e, soprattutto in fase adolescenziale, a soffrire di crisi identitarie, a non riconoscersi o a negare la sfera più intima, familiare e incompresa dal mondo esterno. Come uscirne? All’inizio è un lavoraccio, l’unico segreto per il giusto equilibro è essere sempre se stessi. Occorre innanzitutto accettarsi per ciò che si è
e poi accettare che la diversità sia un bene per trovare una via di scampo ai pregiudizi”. Quali sviluppi si intravedono all’orizzonte per la condizione dei musulmani italiani? “Io credo che in Italia, seppure in ritardo rispetto gli altri Paesi europei, si stia smuovendo qualcosa. Dal punto di vista politico, nonostante i musulmani rappresentino la seconda religione più diffusa sul territorio, essi non hanno ancora un’intesa con lo Stato. Lo scorso 1° febbraio è stato compiuto un piccolo passo per l’attuazione del ‘Patto nazionale per un Islam italiano’.
Ma siamo solo all’inizio. L’Islam oramai è parte della società italiana, questo per via delle nascite  di figli delle prime generazioni e del numero di conversioni. Noi, in quanto italiani e musulmani, ci attiviamo attraverso associazioni nel nostro piccolo per fare informazione continua e superare le barriere che spesso conducono al terrore,
all’islamofobia, alla xenofobia, al razzismo”. Quali sono le tue aspettative per un avvenire non troppo lontano? “Mi piacerebbe diventare docente di lingua araba e fare ricerca in ambito universitario. Attualmente viaggio molto per motivi di studio. Una meta nel cassetto? Ho sempre desiderato andare in Medio Oriente. Infine, spero davvero che #TalkWithMe possa diventare un programma  innovativo e apprezzato da tutti. Io e il mio team vorremmo che le Università potessero sostenere questo lavoro, anche attraverso seminari e incontri. Il progetto nasce da un’idea, ma, per far sì che quest’ultima si realizzi davvero nella pratica, bisogna fare di ‘collaborazione’ la nostra parola chiave”.
Sabrina Sabatino
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