Una finestra sul mondo, su quella fetta di mondo che si trova oltreoceano e che ha appena eletto come quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America il plurimiliardario e politicamente scorretto Donald Trump. È l’incontro che si è svolto al Dipartimento Jean Monnet di Caserta grazie all’iniziativa del professore Diego Lazzarich che ha invitato per l’occasione, lunedì 21 novembre nell’aula 3 del Dipartimento di Scienze Politiche,
Anthony Ranzulli, primo Segretario degli Affari Interni all’Ambasciata americana a Roma. Una riflessione su un momento importante per l’Occidente proprio perché gli USA non sono uno Stato come un altro ed è per questo che tutti si interessano a ciò che vi accade. Le elezioni presidenziali rappresentano, quindi, un evento da seguire con una certa attenzione. Gli Stati Uniti sono speciali perché è una realtà che da colonia è diventata potenza (dopo la II Guerra Mondiale ha trainato le sorti dell’Occidente con il Piano Marshall) attraverso la presa di coscienza e di parola nella storia di un soggetto collettivo. “Perché ha vinto Trump?”, questo è il titolo e l’interrogativo attorno al quale ha ruotato l’incontro che ha visto la partecipazione di molti studenti del Corso di Laurea in Scienze Politiche
ma anche di ricercatori, docenti e semplici curiosi. Donald Trump è stato designato leader del Partito Repubblicano, lui che in passato era iscritto al Partito Democratico, attraverso il sistema delle primarie che, nel suo caso, sono state ‘aperte’, cioè anche chi non era iscritto al Partito aveva la possibilità di esprimere la propria preferenza tra decine e decine di candidati (il Partito Democratico ha invece optato per delle primarie chiuse). Ciò che ha sorpreso molto, nella mappa dei risultati fruibili sulla maggior parte dei siti di informazione, è che anche gli Stati post industriali, roccaforti del Partito Democratico dove il ruolo dei Sindacati è sempre stato forte, oggi si sono schierati a favore del Partito Repubblicano. Anche la Working Class, bianca e nera, ha preferito dar fiducia a un uomo potente che alle spalle non ha alcuna tradizione politica ma un patrimonio immobiliare da capogiro. Trump ha ottenuto 61.500.000 voti contro i 62.900.000 di Clinton ma l’ha spuntata lo stesso: questo perché l’elettorato americano è un sistema molto complesso in cui i Grandi Elettori dello Stato della California non hanno lo stesso peso di quelli nell’Ohio o nel Minnesota. Ma come ha conquistato il popolo americano, lo stesso che quattro anni fa ha eletto il primo Presidente afroamericano della storia? Gli esperti di comunicazione affermano che Trump ha adottato un linguaggio davvero basico, semplice, che poteva essere compreso anche da un bambino di 10 anni, al di là dei contenuti forti e davvero poco democratici che tanto piacciono a quella corrente populista che soffia in molti Paesi del mondo. Ma quello che è saltato all’occhio è stata la sua battaglia contro l’establishment, ovvero l’insieme dei detentori del potere economico e politico, e dei loro sostenitori, che in un paese vigilano sul mantenimento dell’ordine costituito e occupano un posto di rilievo nella vita sociale e culturale. Hilary Clinton, per ironia, rappresenta proprio questo potere, qualcosa che sa di vecchio e superato che alla base non ha un messaggio forte per il suo elettorato. Ecco che sul ring c’era da una parte l’èlite e dall’altra l’americano medio che nella sua scelta ha avuto una motivazione prevalentemente economica. Trump non è proprietario di giornali o emittenti televisive, i suoi conflitti d’interesse sono altri (e chissà come verranno gestiti), ma è comunque una celebrità e, anche nel suo caso, il potere dei media ha contribuito alla scalata di un uomo con il fiuto degli affari e che ha intuito che all’elettorato occorre dire ciò che si vuole sentir dire. La sua vittoria ha diviso in due il Paese
così come il resto dell’Occidente, tutti si chiedono che tipo di scenario geopolitico si andrà a comporre, che cosa accadrà concretamente se Trump ha la maggioranza netta sia alla Camera che al Senato. Ma una cosa bisogna ricordarla: i padri fondatori due secoli e mezzo fa avevano pensato agli Stati Uniti come a una Repubblica e non come a una Democrazia. È plausibile quindi che il fine giustifica il mezzo?
Claudia Monaco
Anthony Ranzulli, primo Segretario degli Affari Interni all’Ambasciata americana a Roma. Una riflessione su un momento importante per l’Occidente proprio perché gli USA non sono uno Stato come un altro ed è per questo che tutti si interessano a ciò che vi accade. Le elezioni presidenziali rappresentano, quindi, un evento da seguire con una certa attenzione. Gli Stati Uniti sono speciali perché è una realtà che da colonia è diventata potenza (dopo la II Guerra Mondiale ha trainato le sorti dell’Occidente con il Piano Marshall) attraverso la presa di coscienza e di parola nella storia di un soggetto collettivo. “Perché ha vinto Trump?”, questo è il titolo e l’interrogativo attorno al quale ha ruotato l’incontro che ha visto la partecipazione di molti studenti del Corso di Laurea in Scienze Politiche
ma anche di ricercatori, docenti e semplici curiosi. Donald Trump è stato designato leader del Partito Repubblicano, lui che in passato era iscritto al Partito Democratico, attraverso il sistema delle primarie che, nel suo caso, sono state ‘aperte’, cioè anche chi non era iscritto al Partito aveva la possibilità di esprimere la propria preferenza tra decine e decine di candidati (il Partito Democratico ha invece optato per delle primarie chiuse). Ciò che ha sorpreso molto, nella mappa dei risultati fruibili sulla maggior parte dei siti di informazione, è che anche gli Stati post industriali, roccaforti del Partito Democratico dove il ruolo dei Sindacati è sempre stato forte, oggi si sono schierati a favore del Partito Repubblicano. Anche la Working Class, bianca e nera, ha preferito dar fiducia a un uomo potente che alle spalle non ha alcuna tradizione politica ma un patrimonio immobiliare da capogiro. Trump ha ottenuto 61.500.000 voti contro i 62.900.000 di Clinton ma l’ha spuntata lo stesso: questo perché l’elettorato americano è un sistema molto complesso in cui i Grandi Elettori dello Stato della California non hanno lo stesso peso di quelli nell’Ohio o nel Minnesota. Ma come ha conquistato il popolo americano, lo stesso che quattro anni fa ha eletto il primo Presidente afroamericano della storia? Gli esperti di comunicazione affermano che Trump ha adottato un linguaggio davvero basico, semplice, che poteva essere compreso anche da un bambino di 10 anni, al di là dei contenuti forti e davvero poco democratici che tanto piacciono a quella corrente populista che soffia in molti Paesi del mondo. Ma quello che è saltato all’occhio è stata la sua battaglia contro l’establishment, ovvero l’insieme dei detentori del potere economico e politico, e dei loro sostenitori, che in un paese vigilano sul mantenimento dell’ordine costituito e occupano un posto di rilievo nella vita sociale e culturale. Hilary Clinton, per ironia, rappresenta proprio questo potere, qualcosa che sa di vecchio e superato che alla base non ha un messaggio forte per il suo elettorato. Ecco che sul ring c’era da una parte l’èlite e dall’altra l’americano medio che nella sua scelta ha avuto una motivazione prevalentemente economica. Trump non è proprietario di giornali o emittenti televisive, i suoi conflitti d’interesse sono altri (e chissà come verranno gestiti), ma è comunque una celebrità e, anche nel suo caso, il potere dei media ha contribuito alla scalata di un uomo con il fiuto degli affari e che ha intuito che all’elettorato occorre dire ciò che si vuole sentir dire. La sua vittoria ha diviso in due il Paese
così come il resto dell’Occidente, tutti si chiedono che tipo di scenario geopolitico si andrà a comporre, che cosa accadrà concretamente se Trump ha la maggioranza netta sia alla Camera che al Senato. Ma una cosa bisogna ricordarla: i padri fondatori due secoli e mezzo fa avevano pensato agli Stati Uniti come a una Repubblica e non come a una Democrazia. È plausibile quindi che il fine giustifica il mezzo?
Claudia Monaco