Tra carceri, tribunali e manuali: il corso di Diritto processuale penale

La possibilità di presenziare alle udienze, un’esperienza della realtà carceraria ed uno studio improntato allo spirito critico: è questo il trinomio su cui risulta imperniato il corso di Diritto Processuale Penale del prof. Mariano Menna. L’obiettivo conclamato è quello di offrire agli studenti un quadro compiuto ed esperienziale dei fenomeni giuridici oggetto di studio, addizionando al canonico corso attività seminariali destinate a svolgersi per l’intero anno accademico. Una preziosa occasione da cogliere. “Consci dell’insofferenza mostrata da non pochi studenti per le sparute occasioni di contatto con la realtà giuridica nel suo momento applicativo, abbiamo deciso di rinnovare ed intensificare iniziative che permettano di raccordare i discenti con la fenomenologia del diritto. In questo modo – ha rilevato il prof. Menna – si agevola il perseguimento di una duplice finalità: da un lato, si favorisce la comprensione della materia, potendo i ragazzi assistere esperienzialmente allo sviluppo dei fenomeni giuridici; dall’altro, si rende lo studio più avvincente e stimolante”. 
Saranno riproposte anche quest’anno le iniziative “Vieni e vedi” e “Diamo un calcio all’indifferenza”, con le quali gli studenti potranno esperire un impatto con la realtà carceraria, interagire con i detenuti e condividere con essi momenti conviviali e ludici come una partita di calcetto, che lo scorso anno – per la cronaca – ha visto gli studenti sammaritani capitolare. Queste attività sono soprattutto volte a sensibilizzare sul senso di umanità nei confronti della popolazione carceraria, chiamata a subire la risposta punitiva dello Stato per le fattispecie criminose perpetrate ma, di certo, non nelle condizioni degradanti che, ahinoi, contrassegnano le carceri italiane. “Bisogna rammentare che dietro le sbarre ci sono delle persone, prima ancora che dei soggetti che si sono resi artefici di un reato. Neanche il più irriducibile rigore punitivo può rendere ragione – ha chiosato la dott.ssa Mena Minafra, collaboratrice del prof. Menna – delle condizioni disumane in cui versano i detenuti. La pena, nel solco dei dettami costituzionali, è preordinata ad una finalità rieducativa del reo che, a fronte dell’espiazione delle misure punitive, può acquisire coscienza del disvalore insito nelle condotte perpetrate ed emendarsi, ai fini di un reinserimento nel tessuto sociale”. Assunto ribadito dal dott. Marco Puglia, Magistrato del Tribunale di sorveglianza, intervenuto, a fine settembre, nell’ambito della presentazione della Convenzione tra il Dipartimento sammaritano ed il Garante dei detenuti: “L’espiazione della pena esprime un momento assai delicato. Il reo non deve essere concepito come cascame umano: di contro, è una persona il cui processo di riabilitazione l’autorità statale è tenuta, in conformità della Costituzione, a curare. Rimanere inoperosi, nonostante la pronuncia di condanna ricevuta dal nostro Paese per il caso Torregiani, che ha certificato la disumanità che imperversa nelle carceri italiane, è agghiacciante. Non è ammissibile che si rimanga inerti e silenti dinanzi alla barbarie cui, di fatto, viene costretta la popolazione carceraria”. 
Le attività seminariali contempleranno anche tirocini curriculari, a fronte delle convenzioni che il Dipartimento, su impulso del prof. Menna, ha stipulato con il Garante dei detenuti della Regione Campania Samuele Ciambriello, nonché con gli istituti penitenziari di Secondigliano ed Aversa, e conferenze con magistrati di sorveglianza, pubblici ministeri, direttori delle carceri ed esponenti della polizia penitenziaria. “Attraverso i seminari e le conferenze si consente allo studente di acquisire una maggiore padronanza della materia, con l’auspicabile maturazione di uno slancio critico. Bisogna che i ragazzi entrino nell’ordine di idee che l’università è la domus del sapere critico e non del sapere schematico”, conclude il prof. Menna.
Giovanni Lanzante
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