Quarant’anni, cinque lingue, una laurea in Giurisprudenza alla Federico II e tanti viaggi studio all’estero per specializzarsi. Ce ne sarebbe già abbastanza, ma a Genny Carretta, avvocato civilista fra Napoli e Avellino, dopo aver lavorato anche a Milano e Roma, e mamma di un bambino di tre anni, non basta e a luglio si è laureata in Viticoltura ed Enologia, Corso di Laurea presso il quale sta proseguendo con la Magistrale, con una tesi sulla Fisica della Bollicine, dal titolo ‘La Fisica del Perlage perfetto’. Relatore il prof. Giovanni Covone. “Per carattere, sono molto curiosa e non mi piace stare ferma. Sono diventata sommelier dal 2013, semplicemente per passione, per amore del vino, ma al termine del corso mi suggerirono di valutare la possibilità di seguire questo Corso di Laurea. Ho provato il test di ammissione e ce l’ho fatta – racconta Genny la quale, in virtù della sintonia sviluppata con il professore, ha deciso di cimentarsi in questa tesi di ‘rottura’ – Mi piacciono le persone che possono offrire di più. Nessuno sceglie questa materia, la maggior parte si concentra, giustamente, sulla Viticoltura, o sull’Enologia. Qualcuno sperimenta la Microbiologia, ma la Fisica mai”. Il risultato è un lavoro sperimentale, sviluppato nel Laboratorio di Nanottica del prof. Pasqualino Maddalena. “Abbiamo osservato al microscopio dei campioni di spumante, per osservare le bolle di gas che vi si formavano all’interno, partendo dalla loro genesi”. Gli esperimenti hanno rivelato che la produzione di bolle di anidride carbonica è un processo meccanico, dovuto all’attrito fra la superficie del calice, sul quale sono sempre presenti microscopici residui di cellulosa lasciati da tovaglioli di stoffa e o di carta, e il liquido. “È un processo di nucleazione, esogeno allo spumante, che genera delle cavità che si riempiono di gas, formando la bollicina che cresce fino a staccarsi dalla superficie. Se il bicchiere fosse assolutamente asettico, il vino sarebbe fermo”. Quanto ha a che fare questo con la qualità del prodotto finale? “Da sommelier, ho sempre saputo che un buono spumante ha un perlage fine e persistente, con bollicine molto piccole. Noi ci siamo convinti che questo effetto sia da attribuire all’invecchiamento, nel corso del quale, inevitabilmente, una parte dell’anidride carbonica si disperde. In pratica, un produttore mette a invecchiare i vini migliori, i quali, per ragioni fisiche, possiedono una minore concentrazione gassosa”. Dallo studio verrebbe da pensare, ma è da approfondire, che l’aerosol possa disperdere una parte dell’aromaticità: “bollicine dal diametro maggiore, con un più elevato contenuto aromatico, sarebbero indice di un prodotto migliore. Alla Magistrale non c’è la Fisica, ma mi piacerebbe trovare un modo di sviluppare questo punto di vista”.