Il corpo docente del Dipartimento di Scienze sociali si arricchisce di una figura di grande rilievo del giornalismo politico italiano. Si tratta di Marco Damilano, già firma del Corriere della Sera in gioventù e Direttore de L’Espresso tra il 2017 e il 2022, ora conduttore televisivo su Rai 3, opinionista in diverse trasmissioni televisive, editorialista del quotidiano Domani, nonché saggista. Ebbene, dal 28 febbraio, giorno della prima lezione a Vico Monte di Pietà, pure professore a contratto di Scienze dell’Opinione Pubblica per il Corso Magistrale di Comunicazione pubblica, politica e sociale. Durante il primo incontro con gli studenti, evidente la soddisfazione della platea e soprattutto dei vertici di Dipartimento e Corso. A partire dalla Direttrice, prof.ssa Dora Gambardella, che giudica l’arrivo del giornalista “un’occasione irripetibile per i ragazzi, per porre questioni e domande ad un interlocutore di alto livello, tenendo presente soprattutto i cambiamenti in atto, basti pensare alla segreteria del Pd (riferimento alla vittoria inaspettata delle primarie da parte di Elly Schlein, preconizzata proprio da Damilano, da sempre in orbita dem, ndr.), e pure per una maggiore apertura del Corso”. Prospettiva, questa, confermata proprio dal Coordinatore, prof. Lello Savonardo, che si augura “sia solo l’inizio di molte iniziative che diano un taglio assolutamente innovativo al nostro percorso. Sociologia e comunicazione devono andare incontro ai cambiamenti non solo della tecnologia, ma anche della politica”. In tale ottica, Damilano è una parte importante “assieme a laboratori come quello di Social media management del prof. Dario De Notaris”, ancora Savonardo a latere ad Ateneapoli. Sostanziali pure gli interventi dei docenti Enrica Amaturo e Fortunato Musella. La prima sottolinea come l’incontro con l’ex Direttore de L’Espresso sia un’opportunità “anche per i dottorandi, che possono assorbire un approccio diverso da quello strettamente accademico”. Il secondo fa riferimento a quanto Damilano “sperimenti da sempre e per questo, in senso positivo, non risulta classificabile solo come giornalista”.
“I mezzi di comunicazione si sono fatti partito”
Fatte le dovute introduzioni, è toccato poi al protagonista di giornata prendere parola. E l’ha fatta sua in punta di piedi, presentandosi come se non fosse già noto al grande pubblico e dicendosi “molto onorato di insegnare alla Federico II”. Damilano ha poi raccontato le sue scelte universitarie: “nonostante la grande passione per la storia, sono laureato in Scienze Politiche a La Sapienza di Roma, perché pensavo potesse darmi la giusta base per realizzare il sogno che avevo fin da bambino” ovvero “diventare un giornalista politico”. Ambizione realizzata con discreto successo, si potrebbe aggiungere. Una carriera importante che ha generato la consapevolezza che “il cuore del giornalismo è l’approccio con la realtà e con l’altro, mai con sé stessi”. Chiusa la parentesi biografica, il neo-docente ha delineato le coordinate tematiche e metodologiche, nonché gli scopi delle lezioni che verranno. A partire da un assunto di base: “Nella storia della nostra Repubblica le fasi politiche, sociali e comunicative si sovrappongono”. Questo perché l’Italia “è un laboratorio politico dove i mezzi di comunicazione si sono fatti partito” (a più riprese il giornalista sfrutta come pezza d’appoggio suggestioni de ‘L’opinione pubblica’ di Walter Lippmann del 1922, nel quale si evidenzia come gli strumenti di comunicazione diventino mezzi di lotta politica). Lungo questa impostazione triadica, a partire dagli anni ’50 e andando avanti decennio per decennio, l’obiettivo di Damilano è quello di arrivare a fare un po’ di chiarezza sui dieci anni appena trascorsi, quelli tra il 2013 e il 2023, nei quali “si rintracciano crisi della politica e della comunicazione” e soprattutto avviene uno slittamento “della rappresentanza verso la rappresentazione, l’autorappresentazione e la recitazione, che diventano categorie politiche”. Anni aperti e chiusi da due eventi chiave secondo il giornalista: la sconfitta di Bersani alle politiche (2013) – “noi della stampa trasecolammo alla famosa affermazione dell’ex leader dem che il Pd aveva non vinto” – e che all’opposto sancì la definitiva ascesa del Movimento 5 Stelle (con l’affermazione della rete come mezzo di comunicazione e come classe dirigente stessa dei pentastellati) fino alla vittoria delle primarie di Elly Schlein, avvenuta solo pochi giorni fa, che Damilano definisce “storica”.
Dalla radio ai reality ai social
Ma al decennio in questione, il giornalista ci arriva tramite un’interessante carrellata su come si sia sostanziata la tripartizione metodologica nel corso degli anni precedenti. Dunque, gli anni ’50. Una radio verticale e centralizzata che si sovrappone al centrismo politico, in un periodo di forte crescita economica. Seguono gli anni ’60, dominati dalla televisione, caratterizzati dall’anomalo Governo a firma Partito socialista e Democrazia cristiana (unica eccezione in Europa) che deve gestire il boom economico. Ancora, gli anni ’70: un Esecutivo di solidarietà nazionale, con i due leader maximi, Moro e Berlinguer, che tentano una riforma repubblicana, naufragata con l’omicidio del primo da parte delle Brigate Rosse. Sono anni di forte inflazione economica, in cui si affacciano sul panorama della comunicazione tv e radio libere. Tra 1980 e 1990, secondo boom economico, stagnazione politica, profonda crisi del Partito Comunista (che crollerà assieme al Muro di Berlino). Fa la sua entrata in scena il modello Berlusconi: le tv private. Un decennio in cui, dice Damilano, “le televisioni private dell’ex Presidente del Consiglio sono lo specchio di una società che vuole fare a meno dello Stato, dei vincoli pubblici. I reality diventano la chiave del successo politico”. Si arriva così al ventennio 1990 – 2010, dominato prima dal crollo della classe dirigente (e della Prima Repubblica) sotto i fendenti di Mani Pulite e poi, secondo il giornalista, da “un bipolarismo con Berlusconi da un lato e il centrosinistra dell’Ulivo e Prodi dall’altro, pieno di contraddizioni”. Si fanno strada internet e globalizzazione, che “la sinistra ha recepito acriticamente, un grande errore”. Ultimo, il decennio appena trascorso. L’antipolitica, il Covid, una crisi economica senza precedenti e i social a prendersi l’intero spazio della comunicazione. Qui, Damilano chiude riprendendo lo scivolamento “rappresentanza-rappresentazione”, parlando di una classe dirigente che “ha solo inscenato, recitato, programmi politici, aderenza sociale e le istanze dei giovani”. Alla platea, in vista delle prossime lezioni, viene lasciato il quesito di fondo. Meloni e Schlein sembrano “il nuovo” del presente. Si tratta di un nuovo meramente propagandistico, cioè “volatile, come già accaduto con Renzi, Grillo, Salvini”, o un di nuovo che “può avere delle radici?”.
Claudio Tranchino