Intervista al prof. Francesco Di Donato, candidato sconfitto alle elezioni per la guida del Dipartimento
È amareggiato e non fa nulla per nasconderlo il prof. Francesco Di Donato, che insegna Storia delle Istituzioni Politiche. È lo sconfitto nella corsa alla direzione del Dipartimento. Come ha raccontato Ateneapoli, ha prevalso la professoressa Paola De Vivo con 66 preferenze. Di Donato ha ottenuto 54 voti (non 52 come pubblicato sul precedente numero) e si è dovuto arrendere. L’intervista che Di Donato rilascia ad Ateneapoli rimanda l’immagine di un Dipartimento nel quale le inevitabili tensioni elettorali sono tutt’altro che sopite.
Alla vigilia delle elezioni molti suoi colleghi davano per certa la necessità di un secondo turno. La prof.ssa De Vivo l’ha staccata sul filo di lana. Avevano fatto male i conti o c’è stato uno spostamento di preferenza a poche ore dal voto?
“La vigilia di ogni elezione è sempre caratterizzata da dichiarazioni avventate e propagandistiche da ambo le parti. I conti si fanno all’apertura delle urne. E le urne hanno parlato chiaro. La collega De Vivo ha superato la maggioranza prevista, anche se per soli 4 voti avendo totalizzato 66 preferenze su un quorum di 63. Come avrebbe detto Churchill: ce ne sono tre di troppo! Fa comunque circa il 53%. Io ho avuto 54 voti, che equivalgono a circa il 44%. Cambia poco: la sostanza politica è chiara. La De Vivo ha l’onere di governare, io e i miei elettori abbiamo quello di fare opposizione. È la legge della democrazia”.
Secondo lei come si sono schierati i diversi settori disciplinari?
“In diversi casi, che risultano decisivi, c’è stata una evidente sfasatura tra quello che è stato dichiarato e il risultato elettorale. Alcuni docenti di determinate aree che erano apertamente schierate a sostegno della mia candidatura hanno deposto nell’urna una scheda difforme da quanto avevano (anche pubblicamente) annunciato. Nel campo morale si chiama tradimento. Nel campo politico è una libera scelta. Ma perché non dichiararlo allora in modo trasparente? Perché si dice una cosa e se ne fa un’altra? C’è da chiedersi: quali sono i fattori che determinano un cambiamento (o, da altro punto di vista, un voltafaccia) così brusco? Peccato, perché non è un bell’esempio da trasmettere ai giovani ai quali poi si pretenderebbe d’insegnare valori che si calpestano così platealmente.
Le aree che hanno appoggiato ufficialmente la collega De Vivo sono state decisamente più compatte e coerenti. In particolare la statistica, la demografia, la sociologia, l’economia agraria. Tutte aree degnissime, intendiamoci, ma cresciute in modo esponenziale negli ultimi anni a detrimento delle materie storico-politologiche e socio-giuridico-umanistiche.
Niente di personale con colleghi che tra l’altro sono anche simpatici e stimabili, ma è una questione di coerenza scientifica in rapporto al nucleo tematico di una Facoltà come la nostra: davvero serve, in Corsi di Laurea che devono insegnare prevalentemente la politica in tutte le sue varie diramazioni, moltiplicare tutte queste competenze ‘tecniche’ (semplifico) quando da anni manca, per limitarsi a due esempi particolarmente clamorosi, un professore titolare di Scienza della politica o uno storico medievista? Chi potrebbe mai sostenere in buona fede che questa sia una situazione normale e accettabile? Si può immaginare una Facoltà di Medicina senza un professore di Anatomia, o una d’Ingegneria senza Scienza o Tecnica delle costruzioni o ancora un Corso di Giurisprudenza dove non vi siano Diritto privato e Diritto costituzionale o uno di Lettere senza Filologia o Storia della lingua?”.
La prof.ssa De Vivo ha lanciato un appello all’unità e alla collaborazione, ma Scienze Politiche appare oggi come un Dipartimento spaccato tra due anime. Come e quando è nata questa frattura?
“Le cause sono molto chiare: negli ultimi anni si sono aggravate le distanze tra quelle due anime, con l’enorme sproporzione delle risorse a favore di quelle aree che dovevano invece essere collaborative al disegno di Scienze Politiche e che hanno al contrario esaltato solo la propria autarchia, divenendo una sorta di Facoltà nella Facoltà. Io resto e resterò sempre ancorato ai magari vecchi ma per me mai invecchiati valori identitari delle Scienze Politiche. Quanto all’appello all’unità e alla collaborazione non ho ricevuto alcun segnale concreto. E gli appelli generici sono solo flatus vocis…”.
Dopo lo spoglio non ha telefonato alla prof.ssa De Vivo per augurarle buon lavoro o comunque non vi siete sentiti?
“No. Mi sono congratulato con la nuova direttrice con una stretta di mano appena terminato lo spoglio. Attendiamo per sapere se matura la volontà di un incontro per determinare con precisione e non con vaghe espressioni generiche i termini di un eventuale accordo collaborativo. Ma ho impressione che questa maggioranza sia arroccata nella più classica delle arroganze del potere e nel delirio di onnipotenza.
A cominciare dalla scelta della vicedirezione. Carica di scarso peso effettivo, ma di qualche valenza simbolica. Vede, come insegna la scienza politica, vinta una competizione elettorale ci sono due strade per governare: una è quella ispirata al principio ‘winner takes it all’ il vincitore si prende tutto; l’altra è ispirata a quello che Alcide De Gasperi indicava nel principio ‘mai soli al governo’. Ma, per imboccare questa seconda via, bisogna avere statura politica, senso dell’equilibrio e lungimiranza di vedute. Ho forti dubbi che l’entourage di Paola De Vivo sia animato da questi sentimenti politici. L’abilità nel prendere voti non si traduce automaticamente nella capacità di governare”.
Ritiene che sull’esito elettorale abbiano pesato fattori esterni, ingerenza extra dipartimentali e da parte di chi?
“Direi proprio di sì. E del resto non è un mistero. Oltre a diversi poteri extrauniversitari si sono mossi apertamente addirittura vertici di altri Atenei contro me e il gruppo che rappresento. Il motivo? È determinato da interessi che il prossimo futuro chiarirà. Una ennesima prova, se mai ce ne fosse bisogno, che siamo ancora molto lontani in questo Paese da una soglia almeno minima di quella che nei miei studi ho chiamato ‘civilizzazione statuale’”.
Teme uno snaturamento dell’identità di Scienze Politiche?
“Assolutamente sì. E la sensazione si rafforza per l’assenza, allo stato, di qualsiasi segnale che manifesti la volontà di governare inclusivamente. Il Dipartimento di Scienze Politiche rischia di diventare un Dipartimento di Statistica e di Servizi Sociali. Una cosa completamente diversa dalla sua identità storica e dalla domanda didattica. Ma su questo, la minoranza che rappresento sarà vigile e intransigente. Faremo una opposizione leale ma durissima. Senza indulgenze. E con attenzione massima su ogni provvedimento che incida sull’identità del Dipartimento. Nessun governo può pensare di procedere a colpi di maggioranza. Soprattutto quando la maggioranza è risicata”.
Nutre preoccupazioni in merito all’assegnazione di fondi e risorse solo a beneficio delle discipline legate alla Sociologia, alla Statistica e alla Demografia, quelle che hanno sostenuto la candidatura del nuovo direttore?
“Ma certamente. Tutto lascia credere che questo sarà il Leit-Motiv dei prossimi anni. Pronto a ricredermi se la realtà sarà diversa, ma oggi, per quel che osservo, è arduo ritenere il contrario. È bene chiarire, però, che, oltrepassata una soglia critica, non resteremo con le mani in mano e potremmo valutare, al momento opportuno, l’ipotesi di un distacco. Vedremo lo sviluppo degli eventi”.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n.15 – 2024 – Pagina 7